Ecco perché vedere Hanno ucciso l'uomo ragno, la serie sugli 883


Hanno ucciso l'uomo ragno arriva finalmente su Sky e Now, dopo mesi di teaser, trailer, dietro le quinte e promo. La serie che racconta “la leggendaria storia degli 883”, come dice il sottotitolo, è molto più di quanto ci aspettavamo e promette di conquistarvi tutti - soprattutto se siete cresciuti insieme al loro successo - e non solo per l'effetto nostalgia come si potrebbe ingenuamente pensare.
Al di là del racconto, infatti, – più o meno romanzato – di come Max Pezzali e Mauro Repetto si siano conosciuti e abbiano dato vita alla band più amata di quel periodo, c'è di più. C'è un sottotesto che racconta la provincia italiana, il desiderio di evasione giovanile e la capacità di emergere contro ogni aspettativa.
Di cosa parla la serie sugli 883
Hanno ucciso l'uomo ragno ci mostra come un liceale Max Pezzali, interpretato da Elia Nuzzolo, incontri la musica, prima punk, poi hip hop, e ne faccia la sua passione. Passione che diventa anche il mezzo per far colpo sulle ragazze. E sempre la musica diventa la missione di vita di Mauro Repetto (Matteo Oscar Giuggioli), desideroso di eccellere in qualcosa. Il caso (o il destino) vuole che i due diventino compagni di banco e che da quel liceo di Pavia inizi la loro incredibile (e imprevedibile) scalata verso il successo.
Perché fare una serie sulla storia degli 883?
La trama della serie, in fondo, la conosciamo un po' tutti. Perlomeno tutti quelli nati a metà degli anni Ottanta, cresciuti con le hit di questa coppia un po' strampalata e sicuramente fuori dagli schemi. Perché mentre all'estero imperversavano i Take That, in Italia muovevano i primi passi questi due ragazzi che oggi possiamo tranquillamente definire degli underdog.
Non solo per l'aspetto estetico, ma anche per il tipo di canzoni che proponevano. I testi delle canzoni degli 883 non avevano la pretesa di essere presi troppo sul serio. Erano schietti, diretti e raccontavano una realtà semplice e condivisa da molti.
Come lo stesso Max Pezzali ha ammesso qualche anno fa in un'intervista su Rolling Stone, “Ero convinto che la mia realtà di provincia fosse una riserva indiana: probabilmente, l’Italia è stata a lungo insieme di riserve indiane simili fra loro. Io e Mauro abbiamo raccontato, all’epoca, un mondo average, di mezzo, che non trovava spazio nelle canzoni degli altri, quasi ritenuto indegno, non all’altezza della musica. Forse c’era un vuoto”.

Perché vi piacerà Hanno ucciso l'uomo ragno
Quelle degli 883 erano canzoni di amicizia, di amore, di una gioventù in cerca di evasione e di un posto nel mondo. Allo stesso modo la serie ripercorre quei momenti e riesce a restituire con ironia - sia nella scrittura che nella regia – quelle sensazioni. E lo fa utilizzando una colonna sonora che, soprattutto all'inizio, non appartiene agli 883, ma al loro (e al nostro) universo dell'epoca: dal punk all'hip hop, dai Sex Pistols ai Beastie Boys.
A rendere credibile e intenso il racconto ci sono anche fotografia e costumi, che ci riportano agli anni Novanta e a un'epoca fatta di serate con gli amici al pub e in sala giochi. Con i telefoni fissi e senza smartphone o social a semplificare (e banalizzare) tutto.
In fondo, sono anni che gli 883 sono tornati a far parte di noi e a mancarci. E lo dimostra il grande successo degli ultimi tour di Max Pezzali, dei veri e propri party anni Novanta, dei grandi karaoke a cielo aperto (perlomeno negli stadi) che ci hanno riportato in un'epoca fatta di spensieratezza e grandi sogni. E allora tornare indietro nel tempo ancora una volta, per 8 episodi, è forse il modo migliore per tornare agli “anni dei Roy Rogers come jeans” e del “tranquillo, siam qui noi”.
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