#HairHasNoGender di Pantene: dai capelli parte la battaglia per l'inclusività
Una bellezza che supera le barriere delle differenze di genere: il racconto di un progetto che fa del rispetto del prossimo un punto imprescindibile. Anche (e soprattutto) quando si parla di beauty
Soltanto una donna su 10, secondo uno studio globale con Yale del 2017, è davvero contenta dei propri capelli, lo strumento che utilizziamo per dare voce alla nostra unicità e alla nostra identità. I capelli parlano di noi e riescono a dare forza alle persone: ecco, allora, che diventano importanti per aprire la porta a valori come l'inclusività e la diversità.
Nasce da questa riflessione la campagna #HairHasNoGender di Pantene il cui obiettivo è celebrare il potere che hanno i capelli nel trasformare la nostra sfera emotiva e sociale e il modo in cui affrontiamo le sfide quotidiane. «Siamo partiti da #stophairshaming, per dire no ai pregiudizi sui capelli, e siamo arrivati oggi con #HairHasNoGender a rafforzare l’impegno verso una cultura di inclusione basata sulla conoscenza e il rispetto della diversità, con un’attenzione specifica all'identità di genere», dice Valeria Consorte, Direttrice Marketing P&G Beauty care che, durante il racconto della campagna alla stampa, ci presenta la portavoce italiana e Ambasciatrice Pantene Italia, Lea T.
Top model brasiliana e persona transgender attivista per i diritti della comunità LGBTQI+, dopo un lungo percorso, Lea ha compiuto la sua transizione che, come è facile intuire, non è stata priva di dolore e sofferenza. L'esperienza, però, le ha fatto capire che la sua storia poteva essere utile a molte persone: da anni, infatti, Lea “sfrutta” la sua notorietà per dare voce a numerosi progetti d'impegno sociale e ambientale; dalle minoranze indigene in Brasile fino ai diritti delle persone transgender e delle persone transessuali, oggi la sua agenda è scandita da eventi, incontri e battaglie: «Faccio di tutto per il mio popolo – racconta a Grazia.it – e per i diritti delle minoranze. Cerco di dare i messaggi giusti e combattere razzismo e transfobia che hanno la stessa radice; entrambi sono frutto di problemi strutturali della società e non di una educazione ricevuta perché l'educazione comporta libertà e scelta».
Che Lea T sia determinata è fuori discussione, ma con i minuti che scorrono durante l'intervista, a emergere è un lato emotivo e una tenerezza non comuni. Sbircia una foto sul cellulare, vede una neonata, le si illuminano gli occhi perché «anche io sono zia, adoro i miei nipoti e ho scelto di vivere in Italia per essere più vicina alla mia famiglia». Lea è dolce ma sa di non essere una persona “comoda” e per questo ringrazia Pantene che, con la sua iniziativa, ha dato visibilità a tante altre persone come lei che non hanno avuto una vita facile. «Portare le persone transessuali a parlare dei loro capelli – dice con una certa dose di emozione – significa vedere finalmente i nostri corpi abitare in spazi sociali condivisi. Il mio corpo è un atto politico oltre che un modo per esprimere me stessa, esattamente come i capelli: li ho cambiati molte volte e ogni volta li ho “usati” per dare voce a un momento particolare della mia vita».
«I miei capelli – precisa - sono la memoria del mio passato. Aggiungono forza al nostro spirito. Gran parte della nostra esistenza è resistenza; il fatto che siamo ancora qui, significa che siamo sopravvissuti».
Resistenza è la parola giusta e ricorre molto spesso in questa intervista: resistenza agli stereotipi e a chi «vuole concepire la transizione come una patologia mentre è soltanto un percorso libero verso l'autodeterminazione», afferma Samantha Trapanotto, Vice Presidente di Associazione Libellula. Samantha punta il dito contro un problema che, anche in Italia «dove la situazione è migliore rispetto agli altri paesi, se parliamo di violenze perpetuate contro i transessuali e transgender» è realtà: la discriminazione sul posto di lavoro «che causa un peggioramento della situazione perché il percorso di transizione è oneroso per via dei farmaci; se non hai autonomia finanziaria, hai molte difficoltà». Ecco perché l'Associazione Libellula, nata nel 1998 dalla volontà di Leila Pereira Daianis, con il supporto di Pantene ha deciso di aprire una nuova sede a Roma dedicata alle persone LGBTQI+ dove, accanto ai servizi di accoglienza e primo ascolto e assistenza sui percorsi psico-medico-legali da intraprendere, ci sarà anche sostegno legale per coloro che subiscono discriminazioni e mobbing nell’ambiente lavorativo, e, infine, sostegno economico per percorsi di formazione professionali legati al mondo della bellezza, tutti finalizzati all'inserimento. Samantha e Tea ne sono convinte: «In questo momento storico le persone transessuali e transgender hanno bisogno di sentirsi incluse e il lavoro è il mezzo migliore». Per combattere contro «la visione “machista” e “patriarcale” della società che ci insegna a essere tutti in riga - dice Tea - la solidarietà si rivela l'arma più potente».
In quest'ottica anche il mondo dell'haircare può fare la differenza. A testimoniarlo è un'iniziativa davvero unica nel suo genere: si chiama “Dresscode Project” e nasce nel 2017 da un'idea di Kristin Rankin, hair stylist di Toronto. «Un giorno di tre anni fa – ci racconta – ho tagliato i capelli a una donna transgender. Nel mio salone siamo sempre stati molto inclusivi – da anni abbiamo un adesivo ben visibile a forma di arcobaleno – ma quell'incontro ha smosso qualcosa dentro di me perché la cliente mi ha confessato di essersi sentita trattata, per la prima volta nella sua vita, come una donna e questo dopo cinque anni dalla fine del suo percorso di transizione». Kristin rimane colpita da questa affermazione e decide che è ora di fare qualcosa per la comunità. «Mi sono resa conto - continua –che era arrivato il momento di rivedere i percorsi di formazione. Ci hanno sempre insegnato che esistono tagli da donna e da uomo e invece non è così. Non c'è niente di sbagliato se una donna desidera una haircut molto corto - nonostante alla femminilità sia associata un'immagine di softness che rende più difficile alle donne fare quello che vogliono – come non c'è niente di male se un uomo vuole sfoggiare un capello molto lungo». Nessuna imposizione, nessun giudizio: se «il mio compito attraverso il taglio è restituire alle persone una parte di loro stesse», allora non c'è spazio per stereotipi e cliché.
È proprio questo il messaggio della campagna #HairHasNoGender di Pantene che ha chiesto a Kristin di portare il suo modello di network di saloni e barber shop “no gender” anche in Europa, a partire dall'Italia, dove, la speranza è quella di poter creare 15 eventi "Gender Free Hair Cut Club" per fornire servizi ai membri della società LGBTQI che non possono permettersi di andare in un hair salon per motivi economici o personali. Affinché possano essere felici del loro hair look. Tutti, finalmente.
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