Settimana del Fuori Salone: manuale per darsi un'aria cosmopolita (almeno in questi giorni)

A Milano inizia la settimana del Fuori Salone: cosa dire, fare e vestire per darsi un'aria cosmopolita (almeno in questi giorni)
A Milano inizia la settimana del FuoriSalone. Vi sentite provinciali? Volete sembrare dei veri cosmopoliti del design e integrarvi all'ambiente? Immedesimatevi. Recitate una parte. Mentite. Ecco come.
1. Regola d'oro: tirate fuori gli occhiali neri con la montatura spessa da nerd. (Questa vale almeno il 60% del lavoro)
2. Riprendete la bicicletta in cantina
3. Cavalcatela come se fosse da sempre il vostro unico mezzo di locomozione. L'ecosostenibilità è il primo comandamento del fuorisalonista
4. (Meglio se con una sciarpetta di seta al collo)
5. Non avete la macchina
6. Abitate in un loft in zona Savona
7. Tutto quello che vi serve è in zona Savona - Tortona
8. Casa vostra non ha i mobili, ha delle installazioni
9. Non andate dal parrucchiere. Viene da voi in casa una ragazza bravissima che vi ha consigliato un amico
10. Conoscete poco Milano, la circonvallazione esterna l'avete fatta solo una volta da bambini quando vi hanno portato a Gardaland
11. Se vi dovessero mai citare posti come Lambrate, Baggio, Corsico, Barona, fate finta di pensare che siano in provincia di Nairobi
12. I vostri amici sono quasi tutti di Londra, Parigi, Berlino
13. Buttate qualche parola inglese in mezzo ai discorsi. Se avete da spendere pure una anziana nonna di Liverpool, meglio
14. I vostri studi: un erasmus a Barcellona fatelo passare come 6 anni in Spagna. Uno a Londra vale perlomeno tutta l'adolescenza là
15. Che mestiere fate: "avete un progetto" con un paio di amici fidati
16. Voi non siete lavoratori dipendenti. Siete liberi professionisti. Imprenditori o creativi è ancora meglio
17. Lo stage inteso all'italiana, voi, non lo avete mai fatto. Nel design ci si mette alla prova sul prodotto
18. A 23 anni avete inventato una sedia
19. Avete l'iPhone. Però i tempi del Nokia 3310 con lo snake erano tutta un'altra cosa
20. Non vi fidanzate: vi frequentate. In questo momento però avete la testa su troppe cose e state bene da soli
21. Uscite a mangiare solo in ristoranti bio. Il giapponese ormai è da poveri
22. Il Nespresso è una religione
23. Non frequentate la grande distribuzione, tipo Esselunga e Coop. Avete il verdumaio, il lattaio, il macellaio di zona
24. Se proprio dovete uscire a Milano, di solito andate al Plastic. Ma preferite prendervi un RyanAir il venerdì pomeriggio
25. Nell'iPod potete ascoltare quello che volete (anche se l'elettronica minimal è fortemente consigliata)
26. L'importante sono le cuffie, che devono essere il più grandi possibile. Come Balotelli all'ingresso degli spogliatoi
27. A Milano voi siete sempre e solo di passaggio
28. Milano ha sempre le solite due mostre in croce
29. La creatività da noi è morta. Vogliono zittirci con i Talent Show alla televisione
30. Anche il Fuorisalone non è che un derivato povero di altri grandi eventi internazionali. Ci andate solo per curiosità
31. Non votate da quando avete 18 anni
32. Lamentatevi: vi stanno tempestando la casella mail di inviti riservati per il Fuorisalone
33. Domani avete degli appuntamenti con alcuni designer famosi. Se vi svegliate in tempo ci andate, altrimenti aspettano
34. La crisi ha distrutto i buffet del Fuorisalone. Una volta si mangiava e ti davano i regali
35. Il Fuorisalone è diventato commerciale. Guarda che gente c'è in giro, zarri e impiegati per la maggior parte
36. Il vino bianco che ti servono è Tavernello. Guarda quei barboni come si ammassano per un flute di plastica. Roba da chiamare Piero Angela
37. Le ragazze di Milano se la tirano. A Londra e New York non sono mica così
38. Berlino ha il centro sociale e culturale più grande d'Europa
39. E voi avete un amico che vive e dipinge lì
40. Non amate particolarmente lo sport e non tenete per nessuna squadra, la bici vi tiene già in forma
41. In vacanza o fate la Transiberiana oppure andate in Patagonia. Siete stati in Perù
42. Se non state bene, ricorrete esclusivamente alla medicina alternativa e omeopatica
43. Baricco, Erri De Luca, Giordano, sono troppo commerciali
44. Leggete prevalentemente autori sudamericani
45. Comunque leggete moltissimo
46. State progettando di andare via definitivamente da Milano. Non c'è più lavoro, non c'è più creatività. Siamo morti
47. Milano è inquinata
48. L'Area C è una buona idea, ma realizzata male, mica come a Londra
49. Salutate tutti, è finita la serata
50. Riprendete la bici e ritornate verso Viale Padova, che domani dovete essere in ufficio alle 8.30
© Riproduzione riservata
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4 mise en place originali per Natale
Durante le festività natalizie, la tavola diventa il cuore della casa e curarne l’allestimento è fondamentale per creare l’atmosfera giusta. Ecco 4 idee originali per una mise en place natalizia.
A suggerirle è Stars for Europe, l’associazione europea impegnata a valorizzare e diffondere la Stella di Natale, fiore simbolo delle feste.
4 idee originali per la mise en place di Natale
(Continua sotto la foto)
Tavola in stile cottage
Per gli amanti delle decorazioni colorate e vivaci: piatti con delicati motivi di cerbiatti si abbinano a mini Stelle di Natale rosse e color pesca, pigne e rametti di abete. Il risultato è una tavola allegra e originale per stupire i propri ospiti.
Decorazioni scandinave
L’eleganza delle decorazioni in stile nordico è inconfondibile.
Mini Stelle di Natale color crema, abbinate a decorazioni di carta sospese, danno alla tavola delle feste un tocco di classe ed eleganza.
Centrotavola DIY
Per chi ama creare decorazioni personalizzate, le Stelle di Natale diventano protagoniste di composizioni DIY. Abbellite con della carta da regalo e disposte sulla tavola, sono perfette per aggiungere un dettaglio unico e originale al pranzo o alla cena di Natale.
Colori a contrasto
Il Natale non deve essere per forza tradizionale.
Bicchieri e candele nelle tonalità dell'azzurro si abbinano a un centrotavola diffuso composto da Stelle di Natale dai colori accesi, disposte in piccoli vasetti di vetro, creando un gioco di contrasti che rende la tavola moderna e raffinata.
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Parenti serpenti: come disinnescare le dinamiche familiari tossiche durante le feste

È il pranzo di Natale: i parenti ci sono tutti, la tavola è apparecchiata a festa. E puntuale ogni anno arriva quella frase: la domanda che non volevate sentire, il commento fuori posto, l’allusione che vi colpisce più forte di qualsiasi critica esplicita.
Succede perché, a Natale, qualcosa si riattiva. Non siamo solo adulti con vite piene e identità costruite negli anni: torniamo automaticamente ai ruoli famigliari di sempre. Figlie, sorelle, cugine, nipoti. Ruoli che conosciamo bene, ma che spesso non ci rappresentano più.
E in questo ritorno al passato, le dinamiche tossiche familiari trovano terreno fertile.
Perché proprio durante le feste certe persone sentono il bisogno di dire tutto quello che gli passa per la mente senza pensarci due volte? E soprattutto: come possiamo proteggerci senza trasformare un pranzo in una guerra di trincea? Qui, qualche risposta.
**SOS suoceri: come gestire la famiglia del partner a Natale**
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Perché a Natale riemergono le dinamiche familiari tossiche
Le feste mettono insieme persone che, spesso, condividono più sangue che affinità. Ma la ragione per cui commenti, giudizi e stoccate diventano più frequenti non è solo la convivenza forzata attorno a una tavola imbandita.
A livello psicologico, il periodo natalizio riattiva memorie antiche: ruoli infantili, equilibri familiari sedimentati, aspettative che conosciamo fin troppo bene. A questo si aggiungono lo stress accumulato durante l’anno, la pressione sociale di mostrarsi “tutti felici” e la convinzione, diffusa ma pericolosa, che in famiglia “si possa dire tutto”.
Così, frasi che in un altro contesto verrebbero riconosciute come inappropriate diventano quasi rituali: una sorta di tradizione malsana a cui sembra impossibile sottrarsi.
Quelle frasi che fanno male (e cosa significano davvero)
In ogni famiglia esistono battute che non sono battute, domande che non sono domande, e complimenti che non hanno nulla del complimento. Sono formule recitate da anni, sempre uguali, che nascondono molto più di ciò che dicono.
Alcuni esempli classici: «E allora, a quando un figlio?», «Il tuo ex mi piaceva più di questo», «Lavori ancora lì? Pensavo avessi ambizioni diverse», «Hai un po’ preso peso… stai bene?», «A trent’anni io avevo già casa, marito e due figli».
Dietro queste frasi non c’è quasi mai un reale interesse per voi: piuttosto, c’è l’esigenza di riaffermare un ruolo, di confermare una narrazione familiare, o semplicemente la proiezione delle loro insicurezze.
Non è una giustificazione, ma un chiarimento: capire da dove arrivano certe dinamiche permette di ridurre il loro impatto emotivo. Non siete voi il problema. Non lo siete mai state.
Strategie che funzionano davvero contro le dinamiche familiari tossiche
La domanda che molte persone si fanno è: come rispondere senza rovinare la giornata per tutti? La risposta non è “sopportare”, ma scegliere consapevolmente come proteggersi.
Il confine gentile
Basta dire: «Preferisco non parlarne oggi, grazie». È una frase semplice, educata, definitiva; che funziona più di quanto si pensi
La deviazione elegante
Cambiare argomento senza sensi di colpa non è maleducazione: è autodifesa. «Ne parliamo un’altra volta. Hai visto cosa ha cucinato la nonna?».
Scegliete il vostro alleato
A tavola, sedetevi accanto a chi vi fa sentire al sicuro: una sorella, un cugino, l’amica invitata all’ultimo minuto. Anche questo è self-care.
La pausa strategica
Quando le domande si fanno sempre più insistenti, uscite cinque minuti, fate un giro in cucina, prendete aria sul balcone. A volte allontanarsi è il modo più efficace per evitare uno scontro inutile.
Il mantra dell’autoprotezione
Non siete obbligate a compiacere tutti. Le feste non chiedono perfezione: chiedono presenza. E quella la potete offrire solo se vi sentite rispettate.
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Ansia del “cosa fai a Capodanno?”: perché questa domanda ci manda nel panico

C’è una domanda che, puntuale come un conto alla rovescia, inizia a circolare già a metà dicembre: “Cosa fai a Capodanno?”.
Una frase semplice, detta spesso senza cattive intenzioni, che però ha il potere di farci irrigidire all’istante. Perché non chiede solo un’informazione pratica, ma sembra pretendere una risposta che dica qualcosa di noi, della nostra vita sociale, del nostro modo di stare al mondo.
L’ansia che accompagna questa domanda non nasce infatti dalla serata in sé, ma da tutto ciò che Capodanno rappresenta simbolicamente. È la fine di un anno, l’inizio di un altro, un momento caricato di aspettative, bilanci e confronti. Ed è proprio questa concentrazione di significati a trasformare una festa qualunque in una fonte di pressione.
**Ecco perché (quasi) tutti odiano il Capodanno**
(Continua sotto la foto)
Perché proprio Capodanno ci mette così sotto pressione
Capodanno è diventato, negli anni, molto più di una notte sul calendario. È una specie di esame collettivo, una prova di socialità e di felicità da superare.
A differenza di altre occasioni, qui non basta “fare qualcosa”: sembra necessario fare la cosa giusta, nel modo giusto, con le persone giuste. Il risultato è che la domanda “cosa fai a Capodanno?” viene vissuta come una valutazione implicita, quasi un giudizio preventivo.
Non rispondere subito, non avere un piano definito o ammettere di voler trascorrere la serata in modo semplice può farci sentire fuori posto, come se stessimo sbagliando qualcosa. Questo accade perché Capodanno viene percepito come una vetrina sociale: una notte che dovrebbe dimostrare quanto siamo circondati, quanto ci divertiamo, quanto la nostra vita sia piena. E quando una serata assume questo peso simbolico, anche la più banale incertezza può trasformarsi in disagio.
L’illusione del Capodanno perfetto (e dei social)
A rendere tutto ancora più complesso contribuisce l’immaginario che circonda il Capodanno. Film, pubblicità e soprattutto social hanno costruito l’idea che quella notte debba essere memorabile, scintillante, indimenticabile. Cene spettacolari, viaggi last minute, feste affollate, brindisi perfetti allo scoccare della mezzanotte: un racconto continuo che suggerisce che esista un modo corretto di vivere l’ultima notte dell’anno.
Il problema è che questo racconto è spesso una versione filtrata e idealizzata della realtà. Molti Capodanni vissuti come “epici” finiscono per essere stancanti, caotici o semplicemente diversi da come li avevamo immaginati. Ma ciò che resta, nella memoria collettiva, è il racconto patinato. Così il confronto diventa inevitabile: se tutti sembrano avere programmi incredibili, il nostro silenzio o la nostra indecisione assumono un peso sproporzionato.
In questo scenario, l’ansia non nasce tanto dal desiderio di fare qualcosa di speciale, quanto dalla paura di non essere all’altezza di un modello che in realtà pochi vivono davvero.
Non avere un piano per Capodanno è un ottimo piano
E se il problema non fosse non avere un piano, ma sentirsi obbligati ad averne uno?
Negli ultimi anni sta emergendo una prospettiva diversa, decisamente più sana: non tutto deve essere performativo, nemmeno le feste. Non ogni scelta ha bisogno di essere spiegata, giustificata o difesa.
Capodanno può quindi essere una sera come tante altre, a cui attribuiamo un significato personale, non universale.
Per alcune persone sarà una festa, per altre una cena tranquilla, per altre ancora una notte come le altre, magari da passare a casa, in pigiama, con un film o un libro. Nessuna di queste opzioni è meno valida delle altre.
Il disagio nasce quando interiorizziamo l’idea che esista una risposta giusta alla domanda “cosa fai a Capodanno?”, dimenticando che il senso di quella notte non è uguale per tutti.
Rinunciare alla performance significa anche concedersi il diritto di non dover dimostrare nulla. Di non trasformare ogni momento in un contenuto da raccontare o in un’esperienza da ottimizzare.
In fondo, l’ansia che questa domanda scatena racconta molto più delle aspettative sociali che gravano su di noi che non della serata in sé. E forse il vero gesto liberatorio, a Capodanno, è proprio questo: scegliere come stare, senza sentirsi in dovere di spiegare perché.
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Capodanno a Napoli: un rito collettivo che diventa visione
A Napoli il Capodanno non è una semplice notte di festa: è un rito collettivo, un gesto identitario che coinvolge l’intera città. Allo scoccare della mezzanotte, migliaia di fuochi d’artificio accenderanno il cielo, e così anche i quartieri, le colline, il mare e il Vesuvio diventeranno un unico palcoscenico luminoso.
Il Capodanno è un evento che appartiene alla storia urbana, alla cultura popolare e all’immaginario visivo della città. Da questo rito nasce Napoli Explosion, la nuova grande mostra di Mario Amura, in programma al Real Albergo dei Poveri fino all’8 marzo 2026.
La mostra è il risultato di quindici anni di documentazione del Capodanno napoletano: ogni 31 dicembre, dal Monte Faito, Mario Amura (nella foto sotto) osserva e registra l’immenso spettacolo luminoso che avvolge la città. Un’azione collettiva, anonima e simultanea che, fissata attraverso la fotografia, diventa forma, ritmo, materia visiva. Attraverso un uso magistrale del tempo di esposizione e del movimento della camera, le immagini superano il reportage per assumere una dimensione astratta e pittorica, dove la luce diventa linguaggio.
Napoli Explosion - mostra a cura di Sylvain Bellenger, storico dell’arte ed ex Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, prodotta dalla Casa delle Tecnologie Emergenti Infiniti Mondi del Comune di Napoli, in collaborazione con il creative tech studio Napex di Mario Amura e con il patrocinio di Napoli 2500 - propone un’indagine che intreccia fotografia, pittura, scienza e poesia, restituendo la complessità percettiva e culturale dei fenomeni luminosi che caratterizzano Napoli.
«Le immagini di Amura – sottolinea il curatore Sylvain Bellenger – superano la descrizione per diventare forme autonome. Ne emerge una riflessione sul rapporto tra luce, tempo e percezione, che rimette al centro la fotografia come linguaggio conoscitivo».
La mostra si inserisce nella tradizione visiva di Napoli, città storicamente legata allo sviluppo della fotografia e del cinema grazie a condizioni luministiche uniche. Nell’anno in cui Neapolis celebra i 2.500 anni, “Napoli Explosion” diventa anche una meditazione sul tempo: il tempo lungo della civiltà napoletana, quello geologico del Vesuvio e l’istante infinitesimale dello scatto fotografico.
«Ho immaginato un’esposizione capace di provocare la nostra idea di tempo – racconta Mario Amura – immergendo le opere in un rosso incandescente, lo stesso della camera magmatica del vulcano e della camera oscura del fotografo».
Il percorso espositivo presenta trenta opere inedite, una sala cinema, un catalogo scientifico è un programma pubblico dedicato ai rapporti tra arte, percezione e cultura visiva contemporanea. Completa la mostra l’area immersiva NYA – Now Your Art, che permette al visitatore di assistere alla festa dei fuochi dalla stessa prospettiva dell’artista e di creare la propria opera, immediatamente condivisibile.
«Napoli Explosion è un’opera autobiografica, un inno di Napoli a se stessa», afferma Salvatore Settis, sottolineandone la dimensione corale.
Erri De Luca scrive: «Qui Mario Amura ha impresso l’orma di un popolo, calcata dentro alcuni minuti di spensierata gloria».
“Napoli Explosion” trasforma il Capodanno a Napoli in una potente esperienza visiva e culturale: non solo una festa, ma una visione collettiva che interroga il nostro modo di vedere, di percepire il tempo e di abitare la città.
Informazioni sulla Mostra “Napoli Explosion RAP”
Dal 15 dicembre 2025 all’8 marzo 2026, tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 9.00 alle ore 18.00 nel Real Albergo dei Poveri di Napoli, in piazza Carlo III, 1, a ingresso libero. Info sul sito
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