I suoi 200 giorni in orbita l’hanno resa l’astronauta più famosa del mondo. Ora Astrosam è tornata sulla Terra. Si sente pesante, lancia gli oggetti pensando di essere in assenza di gravità e racconta a Grazia la lezione più importante imparata lassù

Questa volta ho deciso di fare così: ho chiesto ai miei “amici” di Facebook di suggerirmi le domande per questa intervista. Ne ho ricevute subito tantissime. Dal mio piccolo osservatorio, l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti scatena molto più interesse e partecipazione di un premio Oscar o di una popstar. Forse perché è entrata nel cuore di ognuno di noi. E forse proprio perché non ha mai voluto diventare una star: «Ho prestato le mie mani e i miei occhi alla scienza, ma sono un’astronauta, non una celebrità».
Quando l’ho conosciuta quattro anni fa, in una trattoria abruzzese a Milano, era già una donna speciale: la prima astronauta italiana dell’Agenzia spaziale europea e capitano pilota dell’Aeronautica militare. Ma non sapeva ancora che, poco tempo dopo, sarebbe stata scelta per una missione. L’idea di fluttuare nello spazio per lei era ancora un sogno, nato quando da piccola guardava la serie Star Trek in tv. Invece ora è realtà.
Quella volta l’avevo accompagnata alla scuola elementare dei miei figli, dove aveva tenuto una lezione davanti a un gruppo di classi, catturando l’attenzione di tutti. Con i bambini parlava in modo immediato, un po’ ironico, quasi affettuoso. Un po’ come si è rivolta ai suoi 574 mila follower su Twitter nei sette mesi in cui ha viaggiato a 28 mila chilometri orari nel cosmo, come protagonista di Futura, la seconda missione di lunga durata dell’Agenzia spaziale italiana, terminata l’11 giugno. Sarà per questo che dopo il suo rientro sulla Terra, Charles Bolden, l’amministratore della Nasa, ha detto: «Gli astronauti italiani sono eccezionali comunicatori. Samantha ha riscosso davvero un grande successo». Conquistando soprattutto le bambine. Mi ha scritto su Facebook la mia amica Francesca: «Le mie figlie, 7 e 4 anni, parlano tantissimo di lei. Hanno visto le sue foto, si sono appassionate alle costellazioni, mi hanno chiesto di guardare decine di volte su YouTube il video in cui Samantha atterra e sorride. Ecco: chiedete a Cristoforetti se è consapevole di essere diventata un modello per tante bambine come le mie. E poi ringraziala da parte delle mamme come me».
Che effetto le fa essere un esempio per tante ragazze?
«Mi fa piacere. Non mi aspetto che facciano la mia stessa scelta, perché nella vita ci sono tante altre strade, tutte di valore. Probabilmente rappresento un’idea diversa di carriera, che le bambine italiane non avevano così presente e che in alcune può far nascere un interesse, una passione o addirittura un sogno. Com’è successo nel mio caso».
Perché è importante avere un sogno?
«Perché, indipendentemente dal fatto che tu riesca a realizzarlo, può trasformarsi in una forte motivazione nella vita quotidiana. Ti permette di fare cose che altrimenti non avresti potuto ottenere».
Gli obiettivi si raggiungono solo con lo studio e la tenacia?
«Sì, ed è importante dirlo. Alcuni sostengono che basta credere in un sogno per realizzarlo. Non è esattamente così. Serve l’impegno quotidiano, lo sforzo, l’accettazione della fatica».
Tutte le donne possono raggiungere i loro sogni?
«Certo, ma non mi piace insistere su questo tema, perché si rischia di creare dei complessi che non esistono. Oggi le bambine crescono serenamente senza avere dubbi sulle proprie capacità. Se invece continuiamo a parlare di differenze di genere, si rischia di instillare un dubbio, che invece non avrebbero».
Oggi, a poco più di in un mese dal suo ritorno, che cosa le manca di più dello spazio?
«Fluttuare, quel senso di leggerezza assoluta, di libertà. Qui si “abita” solo sul pavimento, nella Stazione spaziale internazionale, invece, possiedi lo spazio in tutte e tre le sue dimensioni. Il soffitto diventa un luogo accessibile. Mi è piaciuto un sacco».
Alla fine della missione sembrava non avere così tanta voglia di tornare sulla Terra. Dal punto di vista mentale, vivere nello spazio dà anche la sensazione di liberarsi dalle complicazioni della vita quotidiana, della nostra normalità?
«Quando sei lì, vivi in un ambiente molto complesso, ma sei addestrato a quella complessità. È come se la vita si riducesse a qualcosa di essenziale, lontano dai piccoli problemi quotidiani, come fare la spesa o affrontare il traffico. I primi giorni dopo il mio rientro, perfino pensare: “Adesso esco: che cosa metto nello zaino?”, richiedeva un grande sforzo. Era una cosa a cui non avevo pensato per sette mesi, vivendo sempre nello stesso posto e avendo tutto sotto mano. Sì, lo so, è un po’ ridicolo, ma è così».
Sembrava che nello spazio fosse più semplice perfino passarsi gli oggetti.
«In effetti, qualche giorno dopo il mio rientro, dovevo dare un telefono cellulare a un medico che si trovava dalla parte opposta della stanza e, per un soffio, non l’ho fatto finire sul pavimento: d’istinto stavo per lasciarlo galleggiare a mezz’aria per dargli solo una piccola spinta. È così, quasi per magia, che ci si passano gli oggetti nella Stazione spaziale».
Come cambiano le emozioni lassù? Se già si fa fatica a convivere per qualche giorno in barca in mezzo al mare in vacanza, chissà com’è gestire le relazioni per sette mesi in uno spazio ristretto come la Stazione. Ci si arrabbia spesso con gli altri compagni?
«Né io né uno degli altri astronauti abbiamo mai avuto un attacco di rabbia. Mi sarei stupita del contrario. Un momento d’irritazione, forse sì, c’è stato, ma siamo persone controllate dal punto di vista emotivo, senza eccessi, né in senso positivo, né negativo. In un ambiente come la Stazione spaziale ci si concentra consapevolmente sulle cose allegre, in modo che il tono dell’umore sia costruttivo. Le emozioni negative sono contagiose e cerchiamo di non alimentare la tristezza o le lamentele. Siamo addestrati a questo».
Nella sua vita in orbita, i suoi compagni le hanno trasmesso qualche passione?
«L’astronauta americano Scott Kelly ci ha fatto ridere molto. Tutti i giorni si faceva mandare le puntate del Daily Show di Jon Stewart e di altri comici americani».
Dallo spazio ha scritto molti tweet che l’hanno resa più vicina alla gente. È stato anche un modo per cercare un legame con la Terra e sentire meno la nostalgia?
«No, ma avevo la consapevolezza che con il tempo molti ricordi tendono a sbiadire. Raccontare il mio adattamento nello spazio o descrivere le cose che mi stupivano era un modo per creare un diario. È stato qualcosa d’importante per me, poi è diventato anche un impegno nei confronti di chi mi ha seguito».
È stato più difficile abituarsi allo spazio quando è andata in orbita o riabituarsi alla vita sulla Terra?
«Rientrare è più faticoso, la gravità pesa, è difficile stare dritti e all’inizio mi sembrava di avere addosso 500 chili. Ora mi fanno ancora un po’ male i muscoli. Bisognerà aspettare qualche mese prima di tornare alla normalità. All’inizio avevo la sensazione di essere una bambina che, in modo accelerato, deve imparare di nuovo ad andare in bicicletta».
È ingrassata in orbita?
«Peso più o meno lo stesso, ma ho perso un po’ di massa muscolare. I menù erano molto vari: c’erano perfino i fusilli con i gamberi. Ma disidratati».
Che sensazione si ha guardando la Terra dall’alto?
«Ti sembra che la Terra sia come un’astronave che ci tiene in vita e noi, tutta l’umanità, siamo il suo equipaggio. Non è diversa dalla Stazione spaziale: nessuno può tirarsi indietro e tutti devono rimboccarsi le maniche».
© Riproduzione riservata
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