Fotogallery Pierfrancesco Favino: «Sono biondo dentro»
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Faccia da bullo e cuore da sartina. Così si descrive Pierfrancesco Favino, che ci ha rivelato, a sorpresa,
la sua anima “frivola e casalinga”. Sarà perché sta diventando papà, per la seconda volta?
Faccia da bullo e cuore da sartina. Così si descrive Pierfrancesco Favino , che ci ha rivelato, a sorpresa,
la sua anima “frivola e casalinga”. Sarà perché sta diventando papà, per la seconda volta?
Prima osservazione su Pierfrancesco Favino: è molto più snello che nei film. La seconda: piace alle donne (e questo già lo sapevamo) al punto di dover superare una staffetta di autografi per i corridoi della Mondadori prima di arrivare da noi.
La terza: dentro all’uomo tutto d’un pezzo, doverista e serio, tanto serio (tutta colpa delle sue sorelle, lo scoprirete), c’è un altro Favino: biondo, frivolo, che pensa solo a divertirsi: «Peccato che si faccia vedere troppo poco», dice l’attore. Leggete e scoprirete perché.
Iniziamo dai film di quest’anno: “L’industriale” di Giuliano Montaldo, “Acab” di Stefano Sollima, “Posti in piedi in paradiso” di Carlo Verdone, “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana. Non si può dire che lei sia uno scansafatiche…
«Il mio lavoro mi piace molto, in più questi erano progetti interessanti: difficile dire di no. In realtà, sono film girati in tempi diversi. Per motivi imperscrutabili, la distribuzione ha deciso di farli uscire tutti insieme. Al pubblico verrò a nausea».
È più difficile interpretare personaggi realmente esistiti? Come si prepara?
«Bartali è stato il primo personaggio protagonista che mi hanno offerto. Ho tappezzato una stanza con le sue foto e mi ci sono chiuso dentro. L’ho studiato per sei mesi e ho fatto 5 mila chilometri in bici. Volevo capire cosa vuol dire pedalare su una bicicletta che pesa 17 chili. Oggi c’è chi per capire come si vive in fabbrica va su Internet, ma il mio mestiere ha a che fare con il corpo, prima ancora che con la mente. Un conto è pensare, un altro è fare un’esperienza fisica».
Quando rientra a casa riesce a chiudere fuori tutto?
«Ho imparato a farlo. Ma mentre interpretavo Acab ho sempre dormito male: la violenza mi disturba».
Mai stato un bullo, insomma…
«Mai. Del bullo ho solo la faccia. Faccia da bullo e cuore da sartina».
Che cosa prova nel rivedersi in un suo film?
«Soffro, sono allergico a me stesso. Mi vedo troppa bocca, troppa faccia, troppi peli… La verità è che io dentro sono biondo e glabro» (ridiamo).
Ma lei è ipercritico...
«Sì, sono molto esigente, ma a cominciare da me: la trovo una forma di democrazia (ma il biondo dentro magari è frivolo!)».
Com’è nata la sua collaborazione con Maurizio Crozza?
«Sono andato alla sua trasmissione (Italialand, ndr) come ospite e ci siamo talmente divertiti… Io le imitazioni le ho sempre fatte, ma a cena con gli amici o in famiglia: mio nonno era un estimatore della mia imitazione di Tina Pica» (parte un coro di “Ce la fa?”).
Ma a quale età ha cominciato a fare le imitazioni?
«Da bambino, intorno agli otto anni. È un istinto che ho sempre avuto: ascolto una voce, un suono e mi viene spontaneo riprodurlo. Al cinema, se mi piace una battuta, la ripeto, infatti mi prendo delle gran gomitate dai miei vicini».
Nasce da qui il desiderio di fare l’attore?
«Già a sei anni facevo l’intrattenitore della mia famiglia. Cantavo, ballavo, raccontavo barzellette, non capendo che le mie sorelle ridevano solo perché era troppo lunga».
Lei ha fatto teatro, fiction tv, cinema. Cosa le piace di più?
«La sensazione che hai quando percepisci il pubblico davanti, inizi a sentire l’aria che cambia, la densità delle molecole, una cosa molto erotica che la macchina da presa non ti dà. Io, alla fine, penso di essere un animale da palcoscenico».
Se Luca Ronconi la chiamasse…
«Di corsa! Io pagherei per assistere a tutte le prove di Luca Ronconi: è un faro che ti illumina, un’intelligenza superiore. Ho lavorato quattro anni nella sua compagnia ed è stata una grande esperienza».
Facendo un salto: di Hollywood che cosa l’ha colpita di più? (Il 2007-2008 è stato quasi tutto made in Usa: lavora ne “Le cronache di Narnia”, nel film di Spike Lee “Miracolo a Sant’Anna” e a fianco di Tom Hanks in “Angeli e Demoni”, ndr).
«La professionalità e il rispetto del lavoro di tutti, da quello che cambia la lampadina all’attore protagonista. Gli studios sono un’organizzazione colossale, che marcia a ritmi precisissimi, il lato creativo è nelle mani di 7-8 persone in tutto».
Quindi starebbe volentieri qualche anno a Hollywood?
«Dipende dalle storie. Mi piace molto il cinema indipendente americano, film come Le idi di marzo, The Black Swan, The Wrestler. Comunque un progetto hollywoodiano ce l’ho già, ma si girerà in Europa: altro non posso dire per ora».
Ha mai recitato con la sua compagna (Anna Ferzetti, anche lei attrice, figlia del famoso attore Gabriele Ferzetti, ndr)?
«Abbiamo fatto qualcosa in tv, ma mantenendo una distanza minima di 30 metri. Penso che sia meglio così: ci si mette un attimo a dire che ha avuto un ruolo perché ci sono di mezzo io. Anna ha molte qualità e ce la può fare da sola».
Dica la verità, a casa chi lavora di più?
«Tanto per cominciare, cucino io. E persino menu differenziati: petto di pollo per Anna, filetto per Greta (sua figlia, 5 anni, ndr), bistecca per me».
Il suo peggior difetto? Ne avrà uno…
«La rigidità. Sono l’opposto della leggerezza. Sono menoso, incline ai retropensieri: tu mi dici una cosa qualsiasi e io comincio a elucubrare “ma che cosa avrà voluto dire?”. È un modo tipicamente femminile, lo so, d’altronde sono cresciuto circondato da donne e con un padre taciturno».
Ma non sarà rigido anche con sua figlia?
«Quando serve sì. Questo nuovo modo di fare i genitori, sempre presenti, sempre comprensivi, sempre disposti a spiegare tutto, secondo me, non funziona, anzi sta facendo incazzare di brutto i figli che non sanno più perché sono arrabbiati».
Le piace fare il papà?
«Moltissimo. Fosse per me, farei altri 4 o 5 bambini».
È sulla buona strada: è il arrivo il secondogenito...
«Sì, sarà un’altra bambina, nascerà quest’estate. Ma non chiedetemi il nome perché ancora non l’abbiamo deciso».
È contrario al matrimonio?
«Tutt’altro, credo sia un’unione molto importante, significa condividere una visione del mondo. Secondo me, io e Anna non siamo ancora pronti. Ma ci sto pensando…» (ride).
Anna, la sua compagna, non vorrebbe sposarsi?
«Sì. Ogni tanto butta lì scherzando: “Martedì che fai, sei impegnato? Ci possiamo sposare?”».
Lei non ha l’aria del traditore, ma, si sa, l’aspetto inganna…
«Se provassi attrazione per un’altra persona vorrebbe dire che c’è qualcosa di serio… Anche qui sono piuttosto intransigente, con me stesso».
Che cosa fa per rilassarsi?
«Suono la chitarra (ho studiato il sassofono senza alcun risultato) e canto. Mi piace il calcio, andare al ristorante con gli amici, stare con mia figlia».
C’è stato un momento in cui si è detto: “Ce l’ho fatta”?
«Quando sono andato a vivere per conto mio e sapevo che per un anno e mezzo avrei potuto pagarmi l’affitto da solo».
C’è qualcosa che la turba del mestiere di attore?
«Le scene di nudo e di violenza».
Un’ultima domanda: tutti la chiamano Picchio. Perché?
«Mio padre mi ha dato questo soprannome, credo perché non stavo mai fermo. Picchio mi è più familiare di Pierfrancesco. Avrei voluto mantenerlo nel lavoro, ma immaginate un cartellone: Amleto, con Picchio Favino. No, non ci sta proprio».
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