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Lifestyle

Marco Lodola: vivere d’arte

Marco Lodola: vivere d'arte

foto di Barbara Venturini Vergnano Barbara Venturini Vergnano — 3 Aprile 2012

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Siamo a Pavia nel loft di Marco Lodola, tra le sue sculture di luce e installazioni pop. I mobili? Pochi, per fare spazio all’energia del colore

Siamo a Pavia nel loft di Marco Lodola , tra le sue sculture di luce e installazioni pop. I mobili? Pochi, per fare spazio all’energia del colore.

Che Marco Lodola sia un artista pop è subito chiaro appena si entra nella sua casa, un loft in un ex edificio industriale di Pavia che è anche il suo laboratorio di installazioni e idee.

La sua visual art, i quadri e le sculture luminose, che spesso hanno fatto da filo conduttore alle performance di musicisti come Vasco Rossi, Max Pezzali e Jovanotti o sono stati la scenografia di programmi come X Factor e di sfilate di moda per Vivienne Westwood, sono ovunque.

Oltre che dagli assistenti del maestro (una squadra creativa che sa tutto di materiali, circuiti, luci...) veniamo accolti da Lulù, un’affascinante ballerina con il corpo di plexiglas e l’anima che è un groviglio di led. È lei che ci invita a entrare nel montacarichi dove saliamo per raggiungere l’abitazione vera e propria. L’arredo intorno è fatto di grandi tele, sculture a parete e tridimensionali. Pochi mobili, tutti basic e lineari.

Lodola è elegantissimo in una giacca sartoriale, regalo di Liam Gallagher degli Oasis, gentile nei modi, affettuoso con la sua giovane figlia Bianca, che gli siede a fianco silenziosa. «Prima delle 11 di mattina non ragiono. Dopo? Dipende...», debutta sorridendo e sapendo bene che a un artista si perdona ben altro.

Perché, nonostante fama e successo internazionali, è rimasto a vivere a Pavia?
«Proprio perché qui non succede mai niente: si può riflettere, pensare e mantenere alta la qualità della vita. Per un artista anche questi sono vantaggi».

Pensa che la sua vita coincida con le sue opere?
«Il mio psicoanalista sostiene che, grazie al mio lavoro, ho risparmiato molti soldi in sedute di analisi!».

Ha alle spalle una lunga formazione accademica, a Milano e Firenze. Si considera un artista puro?
«No, come può capire da molti miei pezzi, mi definisco un artigiano, anzi un elettricista...».

Che cosa vuol dire eleganza? Lei è sempre impeccabile...
«Dice? Sono le donne della famiglia a vestirmi, fosse per me comprerei la prima cosa che trovo».

Abbiamo conosciuto i suoi assistenti e li abbiamo trovati... speciali. Come li sceglie?
«Più sono strampalati più mi fanno sentire normale...».

Questa casa è un concentrato di tutte le sue opere più famose e importanti. Ovunque ci si volta è come essere a una sua mostra. Come si è evoluta la sua arte in questi anni?
«Penso di essere molto cambiato, di aver sperimentato e provato diverse strade. Sono passato dalla pittura
a olio con il pennello, piatta, a sculture luminose tridimensionali. E naturalmente non è finita qui...».

Che cosa ha in mente?
«A giugno, a Palazzo Medici Riccardi di Firenze, città che mi è molto cara e dove ho compiuto parte dei miei studi, si inaugura una mia mostra sul Rinascimento italiano, movimento che ha influenzato molto il mio lavoro».

Pensa che il suo talento sia arrivato anche alle sue figlie?
«Non credo sia importante. Però Anita, la maggiore, sta per aprire una galleria di arte contemporanea a Sanremo, dove vive. Bianca, la più piccola, è bravissima a fotografare. Certo io non posso dirglielo. Smetterebbe subito....».

© Riproduzione riservata

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