Fotogallery Kasia Smutniak: «Pietro mi ha insegnato la libertà, Domenico la calma»
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Kasia: stella cometa, elfo della campagna dove Pietro aveva deciso di vivere, modella internazionale, attrice sempre chiamata a confrontarsi con sfide nuove, niente a che vedere con il radical, lo chic, lo shock, con quelle che «io sono una molto sensibile, sapete».
Ci sono persone che “escono”, ma lasciano la luce accesa.
Una di loro è senz’altro Pietro Taricone. Io l’avevo conosciuto proprio in quel Centro di Paracadutismo di Terni, dove da un giorno all’altro niente sarebbe stato come prima.
Kasia in quel periodo era a Hollywood a girare con John Travolta From Paris with love di Luc Besson: eppure c’era da tutte le parti. Nei commenti degli istruttori («lei non ha mai paura di niente!»), nelle conversazioni degli amici e c’era nelle parole, nei silenzi, negli incisi di Pietro («Perché Kasia è una diversa da tutte, Kasia è femmina ma è più maschio di me, è una bambina ma pure una madre pazzesca, speriamo che quel John Travolta se ne stia al posto tuo, finalmente fra tre giorni Kasia torna»).
Kasia Kasia Kasia: stella cometa, elfo della campagna dove Pietro aveva deciso di vivere, modella internazionale, attrice sempre chiamata a confrontarsi con sfide nuove, niente a che vedere con il radical, lo chic, lo shock, con quelle che «io sono una molto sensibile, sapete». Uguale solo a se stessa.
Così mi è sempre stata raccontata e così mi appare subito, nell’albergo di Roma dove la incontro, appena prende una pausa dal servizio fotografico, infila gli occhi di velluto nero nei miei e fa un sorriso. Melanconico e nello stesso istante vivace, bellissimo e un po’ matto. Ci ritiriamo in una stanza, ancora prima di aprire la porta si sfila i tacchi e li calcia via.
«Ho sempre paura di farmi male con ’sti cosi».
Eppure ha la fama di una senza paure.
«Io? Macché. Sono piena, di paure. Ho paura dell’acqua profonda, di perdere tempo, della vecchiaia e delle cose che non sarò più in grado di fare. Quello che gli altri considerano coraggio forse è il movimento naturale di sopravvivenza che mi scatta dentro di fronte alle difficoltà».
Per la maggior parte delle persone il movimento naturale è quello di abbattersi.
«Ma nella famiglia da dove vengo, in Polonia, non ci si arrende. Mai. In guerra si va e basta: mio padre è un generale e diceva sempre che i più deboli devono abbandonare il campo di battaglia. Lo diceva scherzando, ma è tremendo venire educati così».
Forse è più tremendo venire educati a soccombere.
«Senza forse, sicuramente. In questo Paese, poi (che io adoro, non sai quanto), purtroppo sta diventando un vizio pericolosissimo alzare bandiera bianca».
Certo resistere non è facile: e anche “Tutti contro tutti”, il film di Rolando Ravello dove lei è fra i protagonisti, lo dimostra.
«Vero: il film racconta, in una maniera personale e non patinata, la crisi economica che stiamo attraversando e che può spingere le persone a fare i gesti più assurdi».
Come occupare la casa di una famiglia approfittando della sua assenza per la comunione della figlia...
«Infatti. Ma Ravello con questa storia non vuole solo denunciare una situazione. Piuttosto vuole dire: sveglia! Mica possiamo continuare a fare finta di niente».
In generale a lei riesce?
«Fare finta di niente? Mai. Però appunto, se mi rendo conto che qualcosa non va provo a risolverla, tiro fuori le palle».
Da bravo soldatino di papà...
(Ride): «Già».
Una benedizione o una maledizione, in definitiva, essere cresciuta con un uomo così?
«Aiuto! Dovrei pensarci tutta la vita per rispondere. Certo, mio padre mi ha trasmesso la tempra, la necessità di reagire. Però mi ha talmente abituata a stringere i denti che, anche quando tutto va bene, ho la sensazione che stia per arrivare una tragedia. Insomma, altro che donna con le palle. Nel fondo dell’anima, proprio nei momenti in cui bisognerebbe godersi la vita e stop, sono una catastrofe e una catastrofista».
Come la protagonista di “Melancholia” di Lars Von Trier, che riesce a proteggere gli altri quando arriva la fine del mondo proprio perché dentro di sé la aspettava da sempre…
«Sì! E proprio per questo ho sempre avuto bisogno di compagni molto più forti di come apparentemente posso sembrare io. Pratici, protettivi».
Uno di quegli uomini diceva che lei è una bambina, ma nello stesso tempo una madre straordinaria.
(Di nuovo quel sorriso intenso): «Essere una buona madre è il vero scopo della mia vita, ma non so e non credo che purtroppo mi riesca sempre. A proposito, scusa. (Prende il cellulare, digita velocissima un numero, dall’altra parte risponde una voce femminile: “Ti prego, prima di passarla a prendere e venire qui da me, ricordati di mettere nello zainetto di Sophie il suo vestitino da Carnevale. Grazie, grazie, grazie”. Chiude la telefonata, sospira). Lo vedi? Se mi dimenticavo del vestito di mia figlia stasera mi sarei sentita una madre pessima, altro che straordinaria».
E la sua parte bambina?
Per la prima volta rimane in silenzio. Guarda fuori dalla finestra, fa girare gli occhi per la stanza come cercando qualcosa. Poi: «Forse non c’è più. Cioè, è rimasta la curiosità pura e instancabile che ho per tutto quello che ancora non conosco, che non ho ancora provato. In questo sì, sono più bambina io di mia figlia. Ma qualcosa di me “quel giorno lì” si è persa, o comunque è cresciuta per sempre».
Dove si mettono giorni come “quello lì”, per sopportare tutti gli altri?
«Non lo so dove si mettono. Dipende dai periodi. La primavera per esempio mi ammazza. Quando c’è la pioggia o fa freddo quello che è successo mi è più sopportabile, come se il sole mi invitasse a una festa a cui non me la sento di partecipare totalmente (guarda di nuovo fuori dalla finestra). Pietro era davvero uno diverso, sai».
Anche lui sosteneva la stessa cosa di lei.
«Io non sono e non ho fatto proprio niente di speciale».
Non direi: sta per uscire in tivù (il 18-19) la fiction “Volare” sulla storia di Domenico Modugno, dove lei recita nel ruolo della moglie, e poi la vedremo al cinema con due film, quello di Ravello e “Benvenuto Presidente” di Riccardo Milani.
«Vabbe’, ma che c’entra? Questo è lavoro!».
E?
«Il lavoro mi permette di essere indipendente, e ho la fortuna di farne uno che mi diverte. Ma mi sento realizzata anche se vado in montagna e scalo una nuova parete. E comunque da ragazzina sognavo ben altre cose per me».
Per esempio?
«Avrei voluto essere la prima donna ad arrivare sulla luna o a scoprire una pianta magica che può guarire tutte le malattie».
Ma magari si sarebbe sentita comunque insoddisfatta.
«Senz’altro la mia è una natura difficile, sì, ma per fortuna sto cominciando a domarla».
Nella serie tv “In Treatment”, sarà una paziente innamorata del suo psicanalista, Sergio Castellitto. È mai stata in terapia?
«È proprio la mia psicanalista che mi ha aiutato a fare i conti con quella parte di me incapace di serenità, sempre alla ricerca, o forse in fuga. Sei depressa? Stai depressa, mi diceva. Non riesci a prendere una decisione? Non la prendere, stai ferma. Sai, fin da quando ero piccola e mia madre provava a farmi addormentare dopo pranzo, io smaniavo per quello che gli altri bambini da svegli avrebbero fatto nel frattempo. Mi sembrava di sprecare la vita, a dormire...».
E ora?
«Sto imparando l’arte di perdere tempo. Di annoiarmi, di non fare niente. Che è comunque un meraviglioso fare qualcosa».
In questo il suo compagno Domenico (Procacci, ndr) l’ aiuta?
«Anche Domenico è iperattivo, non a caso abbiamo tanti interessi in comune, a cominciare dalla montagna. Però a differenza di me ha un equilibrio reale, profondo. Altrimenti non avrebbe l’umanità e l’intelligenza di comprendere che il dolore con cui convivo non toglie niente al nostro legame, e il nostro legame non toglie niente a quel dolore».
C’è un filo rosso che accomuna gli uomini della sua vita?
«A me da una storia d’amore piace imparare qualcosa che prima non sapevo, non avevo neanche messo in conto. Pietro mi ha insegnato la libertà di fare scelte dettate solo dal mio cuore e dalla mia testa. Domenico oggi mi sta insegnando soprattutto la calma. La possibilità di aggrapparmi a qualcosa di stabile, concreto. Di dormire senza smaniare per quello che gli altri, là fuori, stanno facendo nel frattempo».
Ecco. Sì.
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