In Spagna le portano tutti, dal re a Penelope Cruz. Il merito è anche di Isabel Castañer che, con zeppe-vertigine e colori accesi, ha trasformato le scarpe dei pescatori baschi in icone fashion. conquistando stilisti come Saint Laurent e celeb come Gwyneth Paltrow.

Il tassista, che dall’aeroporto di Girona mi deposita a destinazione, sa già tutto: «Ah, italiana, deve vedere la señora!».
La señora è Isabel Castañer - un velo di cipria, rossetto rosa, camicia e pantaloni casual, espadrillas marroni - che incontro nella sua “finca” bianca, in mezzo agli ulivi. Mi invita a pranzo, mentre attorno alla tavola si dispone l’intera famiglia: oltre a Isabel, indaffarata tra mille impegni (un pomeriggio con Lanvin a Parigi per la nuova collezione, la cresima del nipotino...), ci sono una bisnonna centenaria, tre dei suoi cinque figli (quattro maschi e una femmina) che, tranne uno impegnato nel cinema, lavorano tutti con lei, e i figli dei figli, adolescenti, con occhi chiari e sopracciglia ben disegnate, il tratto di famiglia.
Mentre sorseggio un calice di cava, lo champagne catalano, e aspetto il gazpacho, le chiedo di raccontarmi la sua vita.
Quando inizia la sua storia d’amore con la moda?
«Fin da ragazzina leggevo le riviste francesi e poi, con una sarta, riproducevo, su misura per me e fedelmente, le toilette copiate dalle pagine patinate. Mia zia Alicia Buñuel, la sorella di Luis, il regista di Belle de jour, era il mio mito. Per lei un abito di Balenciaga era come una divisa. Metteva solo i modelli del grande couturier e li portava con gioielli pazzeschi, con aria di sfida, attenta a non bruciarli con la cenere delle sue sigarette. Ho imparato dall’esempio di Alicia ad apprezzare il lusso e il talento e a detestare la mediocrità, anche nella moda».
Che cosa sono e da dove vengono le espadrillas?
«Sono calzature popolari, fatte di tela, con la suola di sparto, una fibra naturale intrecciata. Le hanno inventate, quasi due secoli fa, i pescatori della costa basca che va da Biarritz, Saint Jean de Luz a San Sebastián, e da allora in Spagna le portano tutti, uomini, donne e bambini, giovani e vecchi, poveri e ricchi, snob e alternativi. E... geni, come Pablo Picasso, Salvador Dalí, Federico García Lorca o lo scrittore Adolfo Bioy Casares. Durante la guerra civile le portavano anche gli anarchici e i soldati al fronte, tanto è vero che, se ci fate caso, il miliziano fotografato da Robert Capa, muore folgorato con le espadrillas ai piedi. La nostra fabbrica, fondata nel 1927, in quegli anni venne nazionalizzata, le espadrillas infatti erano davvero le scarpe della Repubblica».
Come comincia la sua storia con il marchio Castañer?
«Studiavo a Barcellona, avevo tante cose interessanti da imparare, tante amiche simpatiche. A 23 anni mi sono innamorata: il mio futuro marito, un avvocato catalano, era Lorenzo Castañer, di Girona, vicino a Figueras, dove è nato Dalí, a due passi dalla frontiera con la Francia. Né lui, né tantomeno io, avevamo la minima intenzione di occuparci dell’impresa di famiglia, ma, dopo la guerra, la Spagna era ferita, malridotta, depressa e ansiosa di cose nuove. La gente, negli Anni 60, voleva solo scarpe da ginnastica, jeans e radioline a transistor. Di conseguenza la Castañer versava in cattivissime acque, quasi sull’orlo del fallimento, il che voleva dire mettere sul lastrico 200 famiglie che lavoravano per noi da decenni... Un disastro. Alla fine Lorenzo ha deciso di intervenire e anch’io ho voluto dare una mano, fare la mia parte».
Come avete affrontato la situazione?
«Ci siamo fatti conoscere all’estero, partecipando alle fiere, e ho introdotto il colore: fino ad allora le scarpe erano solo bianche o nere. Intanto, fuori dalla Spagna, le espadrillas stavano diventando di moda. A Saint-Tropez, una bionda, bellissima e disinibita Brigitte Bardot le portava sulla spiaggia. A Cadaqués, dove viveva Dalí, e a Ibiza, gli stranieri in vacanza non compravano altro. Perché stupirsi? Le espadrillas sono comode, agili, fanno marciare spedite le donne, lasciando la testa libera per pensare e sognare. Si adattavano perfettamente alla nuova voglia di libertà, al nuovo stile di vita. All’epoca erano le scarpe del sole, delle vacanze».
Quando ha sentito che ce l’avevate fatta?
«La stampa si stava accorgendo di noi, ma decisivo è stato l’incontro con Yves Saint Laurent, nel ’72. Ci aveva visti a una fiera e stava cercando chi gli facesse delle espadrillas con la zeppa, di satin, rosso, verde, giallo, per sfilare con gli abiti da sera, tutti oro e colore, dalle gonne lunghissime e svolazzanti. All’inizio c’è venuto il panico, ma poi siamo riusciti a risolvere il problema. Fu un successo incredibile, una pagina intera sul Figaro! Abbiamo lavorato con Saint Laurent per anni e, grazie a lui, tutto è cambiato. Ci hanno cercato gli americani: Saks, Bergdorf Goodmann, Neiman Marcus, e poi, da Parigi, il Bon Marché, le Galéries Lafayette. In Italia c’era Fiorucci, che comprava moltissimo».
Ci racconti l’episodio più divertente che le è capitato.
«Quella volta che a New York ho pedinato Jacqueline Kennedy. Ero sulla Madison a spasso, guardavo le vetrine e l’occhio mi cade su un paio di piedi che calzano delle Castañer. Alzo la testa ed è lei: Jackie. Allora mi metto a seguirla: entra in una boutique e, incredibilmente, compra ancora delle Castañer. Esce e la seguo ancora... Finché lei non mi guarda male e cambia marciapiede».
Oggi Jackie che modello sceglierebbe?
«Avrebbe solo l’imbarazzo della scelta. Ogni stagione la collezione cambia: quest’estate ci sono il bicolore, bianco e nero, beige e arancione, le applicazioni di fiori, i quadretti vichy, le platform oro e argento. Per l’inverno, propongo la riedizione di un mio modello Anni 70 per Saint Laurent, con il tacco squadrato. Si chiama Yoyo, e piace molto».
Com’è riuscita a conciliare il lavoro e la sua grande famiglia?
«Oggi tante donne lavorano e si costruiscono magnifiche carriere, ma una volta era molto insolito. Io ho sempre cercato di stare il più possibile con i miei bambini e me li portavo perfino nei viaggi di lavoro. Cercavo di vederli sempre, forse per questo oggi tutti i miei figli, tranne uno, lavorano con me. Certamente, quando ho cominciato non immaginavo che mi sarei occupata delle collezioni, che avrei collaborato con personaggi del calibro di Yves Saint Laurent e, oggi, con i team di Balenciaga, Lanvin, Hermès e Louis Vuitton».
Qual è il suo stile personale?
«Detesto la femminilità esibita. Per me, less is more. Mi sento bene in Lanvin, in Jil Sander, nel look un po’ androgino, fatto di giacche maschili, pantaloni, bei tessuti».
Che cosa fa nel tempo libero?
«Non mi mancano i cari amici e mi piace incontrarli spesso. Adoro lavorare in giardino, leggere, soprattutto la letteratura sudamericana e le ultime novità in francese. Sono anche una buona cuoca, apprezzo il cibo vero, so fare ottimi dolci».
Sono molte le celeb in espadrillas oggi?
«Quasi non ci facciamo più caso, in Spagna tutti possiedono un paio di Castañer, anche il re e la principessa Letizia, oltre a Penélope Cruz e Almodóvar. Tra le straniere mi piace Gwyneth Paltrow, che le porta spesso».
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