Cosa pensano davvero gli americani degli italiani?
Colpi d'aria (condizionata), colazione dolce e frugale e code in ordine sparso: altro che pizza e maccheroni, ecco cosa pensano gli americani degli italiani
Nonostante i miei sette anni vissuti negli USA fra New York e Los Angeles e gli innumerevoli viaggi che effettuo ancora oggi tra Italia e America, mi sembra di essermi appena resa conto – ora che sto per sposare un italoamericano – di ciò che pensano davvero gli americani di noi.
E intendo quello che pensano quando dicono «Oh the Italians» pronunciata quasi con un ghigno di soddisfazione, riferendosi a chissà cosa.
Posto che quando sento parlare di noi sento sempre un forte orgoglio riaffiorare e mi sento in dovere di difendere peculiarità nazionali quali l'insopportazione verso il colpo d'aria ecco da cosa rimangono davvero perplessi gli americani quando si parla di noi italiani.
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Mangiare il dessert a colazione
Per loro questa è una delle cose più strane che facciamo.
Non si capacitano di come al suono della sveglia, dopo qualche imprecazione sul perché sia di nuovo lunedì, non ci alziamo dal letto con la voglia di tirare fuori padella, burro e olio, cucinare uova, soffriggere bacon e rosolare salsicce.
Insomma, di ingurgitare almeno 1500 calorie prima delle 8.30 del mattino sorseggiando un cappuccino.
Noi siamo quelli strani, perché ci accontentiamo di espresso, brioche e succo d'arancia. Le stranezze...
La chiusura per pausa pranzo o la siesta, come la amano chiamare
Loro, lavoratori incalliti che sono abituati a mangiare panini dai contenuti dubbi di fronte al computer senza mai osare pensare di effettuare una pausa caffè, quando si trovano in Italia e si avvicinano a un negozio alle 12.29 trovandolo chiuso, serrande abbassate, cartelli “Torno fra 5 minuti, se non sono ancora tornato rileggi il cartello” - “Scusi, ma ho già chiuso la cassa, può tornare alle 16?” non possono far altro che sedersi su qualche panchina al sole e godersi per una volta anche loro una meritata pausa pranzo.
Il colpo d'aria (condizionata)
La cosa da cui rimangono più straniti è quando ci sediamo con gli amici al ristorante e capitiamo per sventura sotto il getto di aria gelida sparato dal condizionatore d'estate o uno spiffero dalla porta finestra di inverno. Puntualmente, sbuffando, chiediamo di cambiare tavolo o di abbassare l'intensità dell'aria.
Ecco, gli americani ci guardano straniti non capendo la nostra preoccupazione e persino mettendosi a ridere dicendo «the famous Italian hit of air» (il famoso colpo d'aria italiano).
Noi annuiamo, ma la cosa stranissima, qui ve lo dico, è che gli americani sono convinti che il colpo d'aria non esista.
Ho provato più volte a spiegare di cosa si tratti, convinta che magari non avessero afferrato il concetto: parlo di “cervicale”, faccio gesti maldestri per indicare dove effettivamente ti colpisce questa sventura del colpo d'aria. Cerco un supporto scientifico, Google vienimi in aiuto tu. Ma la cosa strana è che non trovo mai nessuna prova a mio favore. Non c'è un corrispettivo termine medico, avere la cervicale non è considerata una patologia.
Spiego che il colpo d'aria è una delle cose a cui bisogna stare attenti sia di inverno che in estate, come non uscire con i capelli bagnati, come aspettare 2 ore dopo mangiato per fare il bagno, come mettersi una sciarpa quando si entra nei negozi della Fifth a NY in estate quando fuori ci sono 38 gradi all'ombra e dentro si formano i ghiaccioli sugli appendiabiti.
Niente, non sanno di cosa io parli. Loro escono dalla palestra ancora sudati, in inverno, con il giubbino leggero. E non gli viene il colpo d'aria.
Non sappiamo fare le code
Un'altra differenza che loro non capiscono, e mal sopportano, è la nostra incapacità di metterci in fila indiana in ambienti comuni e aspettare il nostro turno.
Ricordo ancora la volta che al terminal Delta del JFK aspettavo di imbarcarmi su un aereo per Venezia dopo uno dei miei primi periodi lunghi all'estero. Mancavano ancora 30 minuti all'imbarco, ma il personale di terra si era messo in posizione e stava preparando le carte.
Appena preso l'altoparlante in mano, il tempo di alzare lo sguardo dal mio cellulare e vedo una fila di americani, in fila indiana appunto lungo i muri del gate, lentamente invasa da una nebulosa di italiani che senza seguire nessun ordine preciso, business, priority, gruppo 1-2-3, si era diffusa occupando il nostro gate e perché no anche quelli vicini.
Stavo proprio tornando a casa.
Ah, gli italiani!
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