Presto lo vedremo affrontare sia i razzisti del Ku Klux Klan sia i mulini a vento come Don Chisciotte. A noi però Adam Driver racconta la sua carriera e la scelta di arruolarsi nei Marines perché aveva capito che nel cinema vince chi sa resistere sotto pressione
«Sento la responsabilità di ogni lavoro. Temo che non funzionerà, che fallirà o che non sarò abbastanza bravo. Anche per questo mi entusiasma collaborare con persone che hanno cercato di portare a termine un progetto per più di 20 anni, la loro tenacia nel resistere mi assicura che salterà fuori qualcosa di interessante». Come nelle altre occasioni in cui l’ho incontrato, Adam Driver indossa jeans, T-shirt e camicia aperta. Ma a differenza del solito, visto l’esordio, la nostra conversazione sarà più intensa.
Californiano cresciuto nell’Indiana, Driver era un ragazzino quando ha tentato di entrare alla Julliard di New York, la più prestigiosa scuola d’arte, musica e spettacolo, senza riuscirci. Allora si è arruolato nel corpo scelto dei Marines e, trascorsi due anni in Afganistan, lo hanno congedato dopo la frattura dello sterno. Depresso, è tornato all’attacco alla Julliard, e ce l’ha fatta. Poi, con la serie televisiva Girls è diventato un volto a Hollywood, e da quel momento non si è più fermato, conquistando il grande pubblico anche nel ruolo del guerriero Kylo Ren nella saga di Guerre Stellari.
All’ultimo festival di Cannes è finito nel fuoco incrociato dei fotografi perché era il protagonista di due dei film di punta sulla Croisette. Li vedremo entrambi nelle sale italiane dal 27 settembre.
Il primo è BlacKkKlansman, di Spike Lee, in cui Driver affianca John David Washington che interpreta il primo poliziotto nero infitratosi nel 1979 nel Ku Klux Klan, la società segreta che perseguitava le persone di colore. Una vicenda venuta alla luce quando l’ex agente Ron Stallworth ha scritto il libro da cui è tratta la pellicola.
L’altro film è L’uomo che uccise Don Chisciotte, ispirato al personaggio del classico della letteratura di Miguel de Cervantes. Un film che il suo regista, Terry Gilliam, ha impiegato 30 anni a portare a termine, funestato da ogni possibile disavventura produttiva.
Driver interpreta Toby, cinico regista pubblicitario che si ritrova intrappolato nelle bizzarre illusioni di un vecchio calzolaio spagnolo che crede di essere Don Chisciotte. Nel film l’attore appare più sexy che mai, nonostante debba affrontare milioni di peripezie. «Chisciotte è un sognatore, idealista e romantico, che non vuole accettare i limiti della realtà e che continua a camminare nonostante gli ostacoli», mi spiega.
A proposito di idealismo, che cosa si impara lavorando con un regista che non cede, nonostante nove tentativi andati male?
«Terry è una persona molto stimolante sul set. Non avevo mai lavorato con lui prima, quindi non so come sia stato girare capolavori come Il Barone di Münchhausen o La leggenda del re pescatore. So che è difficile vederlo sulla sedia del regista, è sempre in piedi al monitor che recita la scena con te. E non ha nessun filtro per mascherare quello che sente».
Se qualcosa non gli piace si capisce, insomma.
«È così. E considerato che sul set i cavalli guardavano sempre nel verso sbagliato, le pecore scappavano da tutte le parti e nel cast si parlavano sette lingue diverse, avrebbe potuto esserci un’atmosfera dittatoriale, ma Terry non è così. Pensava a questo film da più di 25 anni, eppure ha mantenuto l’atteggiamento possibilista che ho conosciuto solo nei grandi registi».
Che cosa ci racconta del suo personaggio?
«È un uomo che cerca disperatamente di avere il controllo della situazione. Io sono sia il servitore Sancho Panza sia Don Chisciotte, cerco di essere radicato nella realtà e di avere il controllo, ma sono anche Chisciotte, che è totalmente libero e seduttivo. Certo, trovare l’ispirazione giusta per un ruolo così può essere quasi devastante».
Mi sta dicendo che lei fa un lavoro devastante?
«Di sicuro recitare è un modo curioso di incontrare e conoscere le persone. Sei sotto pressione per 12-15 ore al giorno, per mesi. Poi quando finisce il film sei nel vuoto: non potrai mai tornare indietro ed essere la stessa persona che sei stato con quei colleghi».
Come si resta con i piedi per terra facendo l’attore?
«Mi circondo di persone concrete. Io non ho un buon equilibrio fra vita e lavoro, e non so se lo avrò mai».
« Non ho un buon equilibrio fra vita e lavoro »
Scegliere progetti “dannati” come un film che non si è portato a termine per decenni non aiuta.
«Finita la prima settimana di riprese abbiamo festeggiato, andare oltre lo scoglio a cui Terry si era fermato prima era già una vittoria. Di fatto ogni film che arriva al ciak finale è un piccolo miracolo».
Con Spike Lee, invece, com’è andata?
«BlacKkKlansman è stato il contrario: è successo tutto rapidamente. Mi hanno avvisato solo un mese e mezzo prima dell’inizio delle riprese». Lei è passato da non essere nessuno ad avere una grande fama. Come ha gestito questa transizione? «Certo, è un problema positivo da avere, ma devi anche vivere una vita tua. Improvvisamente sei in un posto e la gente ti guarda. Come reagisci? Ma spaventarsi sarebbe controproducente».
La sua popolarità è colpa di Kylo Ren, il guerriero che interpreta nella saga di Guerre Stellari.
«Ho vissuto per molto tempo senza che la gente sapesse chi fossi. Per fortuna non mi ci vuole molto per cercare di rendere significativi gli aspetti della mia vita».
Ovvero?
«Sono consapevole che non abbiamo molto tempo da vivere, e voglio cercare di fare le cose che sono importanti senza prenderle troppo sul serio. Sono disponibile con tutti, ma faccio del mio meglio per proteggere la mia esistenza dalla stampa».
Sta venendo fuori che lei, alla fine, è un grande combattente.
«Devi ragionare per forza così, quando hai a che fare con altre persone. Sono sicuro che per lei sia lo stesso: la storia che desidera scrivere è diversa da quello che gli altri vogliono che scriva, giusto? Questo dev’essere frustrante. Lo stesso vale per me, non c’è nulla che renda le cose più facili. E non capita solo a me o a chi è famoso, ma a tutti».
Essere stato un soldato l’ha preparata per questa vita?
«Lavorare in una squadra è stata la più grande lezione che abbia mai ricevuto. Essere in un campo militare e trovarsi su un set cinematografico non sono cose così diverse: devi conoscere il tuo ruolo all’interno del gruppo. Sei parte di una storia che va oltre i singoli e devi essere presente per i tuoi partner di scena, assicurarti di fare il lavoro migliore, in modo che anche i tuoi compagni possano farlo. Quando ciò accade, il risultato è la missione più importante».
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