L'ingegnoso trucco usato per evitare che la Regina Elisabetta venga avvelenata

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Lo staff di Buckingham Palace segue regole ben precise per assicurarsi che i piatti serviti alla Regina Elisabetta durante gli eventi non vengano avvelenati

La regina Elisabetta e gli altri membri della famiglia reale, come il principe Carlo e il principe William, partecipano spesso a banchetti di stato in varie parti del mondo, inclusa la residenza ufficiale della regina a Londra, Buckingham Palace.

E sebbene queste siano senza dubbio occasioni estremamente glamour, ci sono anche molte implicazioni per la loro sicurezza

Ciò include ad esempio un attento monitoraggio di tutti i pasti serviti, in particolare quelli consumati da Sua Maestà.

Ma come fa il personale del palazzo a essere sicuro che la regina non venga avvelenata?

Sembra ci sia un modo piuttosto semplice.

Come è stato rivelato nel documentario Secrets of the Royal Kitchen, alla regina non viene mai servito un piatto specifico.

**Volete cenare con la Regina Elisabetta? Allora memorizzate queste 5 regole**

La corrispondente reale Emily Andrews, parlando con il New York Post, ha spiegato meglio come funziona la cosa:

«Dopo che tutto è impiattato e finito, pronto per essere portato in tavola, un paggio sceglie a caso uno dei piatti da servire a Sua Maestà».

Quindi, se qualcuno vuole davvero avvelenare la regina dovrebbe avvelenare anche tutti gli altri ospiti della cena».

**Lo sapete che la regina Elisabetta ha un McDonald's di proprietà?**

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Il menù di Sua Maestà: ecco cosa mangia la regina Elisabetta

Anche se è un membro dello staff reale a scegliere quale piatto esatto verrà servito alla regina, è la stessa Elisabetta II a scegliere il menù servito a un evento ufficiale; così come il menù servitole quotidianamente.

Lo chef reale Darren McGrady, che ha cucinato per la regina, la principessa Diana, il principe William e il principe Harry nel corso della sua carriera, ha rivelato che alla monarca vengono proposti menù specifici che lei controlla e seleziona con regolarità.

«Lo chef prepara i menù per tre giorni, e questo ci dà abbastanza tempo per comprare tutti i prodotti e preparare i pasti», ha spiegato.

«Quando le opzioni di menù arrivano alla Regina, lei tira una riga su tutti i piatti che non vuole».

**5 cibi vietati che la Regina Elisabetta non può mangiare**

E quando si tratta di gusti personali, pare che la regina Elisabetta sia un po' difficile. Secondo i racconti, infatti, ci sono alcuni cibi estremamente popolari che però, sorprendentemente, non le piacciono affatto.

Per esempio, la regina Elisabetta non ha mai mangiato una pizza.

Darren McGrady ha infatti raccontato che «Non ho mai servito la pizza a Sua Maestà, nemmeno una volta» negli 11 anni in cui ha lavorato per lei. 

Inoltre, Darren ha rivelato che c'è un divieto sull'uso dell'aglio e un limite alla quantità di cipolla usata.

** 5 cibi vietati che la Regina non può mangiare **

Il cibo preferito da Sua Maestà? Un buon piatto di selvaggina mista. 

**Ecco quali sono i piatti preferiti dei Windsor**

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A Natale sono tutti più tristi? La psicologa spiega perché

Più aumenta l’aspettativa di felicità, più stare male diventa difficile: ecco come attraversare le feste senza forzarsi a stare bene

Per molti il Natale è sinonimo di calore, famiglia, magia. Per altri – spesso silenziosamente – è un periodo emotivamente più faticoso del resto dell’anno. A dicembre, infatti, si attiva un copione sociale potentissimo: dovresti essere felice adesso; e quando non lo sei, la tristezza pesa il doppio.

È quello che la dott.ssa Angela Persico, psicologa di Doctolib.it - piattaforma digitale che consente di prenotare visite e gestire la propria salute in modo semplice e gratuito - definisce “pressione della felicità”.

“La fatica psicologica del Natale spesso non è nella tristezza in sé, ma nel peso schiacciante del giudizio che le riversiamo addosso. Siamo immersi in una narrazione di felicità obbligatoria che trasforma emozioni normali in fonte di grande disagio”.

Il “divario emotivo” che fa male

Alla base c’è un meccanismo preciso: lo scarto tra come ci sentiamo e come “dovremmo” sentirci.

“Il dolore scaturisce dalla frattura tra il nostro mondo interno, autentico, e il copione di felicità obbligatoria che la società ci consegna a dicembre”, spiega Persico.

In psicologia si parla di “emotional mismatch”, il “divario emotivo”: quando l’esperienza reale (stanchezza, malinconia, stress) collide con l’imperativo esterno (gioia, armonia, gratitudine), si attiva un “giudice interiore” ipercritico che rifiuta un'emozione legittima come la tristezza, perché percepita "fuori luogo" (a causa della vergogna di provarla in maniera dissonante al contesto).

Il paradosso è che la sofferenza aumenta proprio perché proviamo a combatterla. “Cerchiamo di fuggire da stati interni legittimi perché li consideriamo ‘inaccettabili’ in quel contesto. Più combattiamo un’emozione, più le diamo potere”, sottolinea la psicologa.

Social e “Natale editato”: quando il confronto diventa tossico

A rendere più difficile il periodo, oggi, c’è un amplificatore enorme: i social.

“A dicembre ci mostrano un Natale ‘editato’, dove ogni momento è un highlight, ogni relazione è armoniosa, ogni tavola impeccabile. Così confrontiamo il nostro dietro le quinte con il palcoscenico altrui”, dice Persico. Il risultato è un confronto sociale “truccato” che alimenta inadeguatezza e una vera e propria “FOMO natalizia”: la sensazione che “tutti stiano vivendo il Natale perfetto tranne me”.

Spot e film: lo “script” che promette un lieto fine garantito

Anche la narrazione cinematografica tradizionale contribuisce a costruire un modello irraggiungibile. “Spot e film ci propongono un Natale da fiction: una trama semplice con un lieto fine garantito dalla magia. Promettono che i conflitti taceranno, le assenze saranno colmate e la felicità sarà uniforme”, spiega Persico. Quando la realtà non coincide con quello script, non arriva solo delusione, ma il rischio di svalutare la propria storia: “Ci sentiamo in difetto per non corrispondere a una finzione”.

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Perché dicembre riapre ferite: il Natale come “faro emotivo”

C’è poi un altro motivo per cui le feste “riattivano” ciò che sembrava sopito. “Le feste sono marcatori temporali potenti: il Natale è un faro emotivo che illumina il divario tra ‘cosa era’ e ‘cosa è’”, dice Persico. Odori, luci, musiche e rituali diventano trigger che riportano alla mente ricordi e stati emotivi, rendendo più presente ciò che manca: lutti, separazioni, cambiamenti. Si tratta di una reazione legata al significato profondo di ciò che abbiamo vissuto.

I nuovi volti della solitudine (spesso invisibili)

Quando si parla di solitudine natalizia, si pensa subito agli anziani. Ma oggi i “volti” della fragilità sono ancora di più e spesso invisibili: “È una solitudine di transizione o di ruolo: persone perfettamente inserite nella vita sociale che a Natale si sentono psicologicamente fuori posto perché la loro verità non ha spazio nello script della festa”.

Tra chi può soffrire di più, la psicologa indica giovani fuori sede o expat, sospesi tra autonomia e bisogno di radici; genitori separati, che vivono la frammentazione dei tempi con i figli contro il mito della “famiglia unita”; chi vive un lutto, una malattia o un cambiamento importante, per cui le feste diventano un attivatore; chi affronta difficoltà economiche, amplificate dall’obbligo implicito di regali e cene; chi vive infertilità o lutti perinatali, il cui dolore è spesso reso invisibile “per non rovinare la festa”.

Tutti possono sentirsi soli, anche in mezzo agli altri

La solitudine più dolorosa non coincide con l’assenza di persone, ma con l’assenza di risonanza emotiva. “Ci si sente soli quando si è presenti con il corpo, ma il sé autentico deve rimanere nascosto. È la solitudine della performance obbligatoria: sei guardato, ma non visto”, spiega Persico. E nelle riunioni familiari si riattivano copioni antichi: ruoli infantili, aspettative, paragoni e “domande scomode” che diventano richieste di conformità.

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Domande scomode: come rispondere senza farsi travolgere

“Quelle domande spesso non cercano risposte, ma riaffermano gerarchie e aspettative. La strategia non è trovare la risposta perfetta, ma proteggere il proprio spazio emotivo”, dice la psicologa. La chiave è disinnescare e reindirizzare: rispondere con eleganza, senza entrare in un campo minato.

Un “kit di primo soccorso emotivo” per un Natale più sostenibile

La buona notizia è che non serve “farsi andare bene tutto”, né inseguire il Natale perfetto. “Il vero benessere non si costruisce aggiungendo obblighi: si costruisce con discernimento, sottraendo il superfluo per fare spazio all’essenziale”.

Tra i consigli pratici dati dalla dottoressa Persico:

Micro-ancoraggi sensoriali: un minuto sui cinque sensi o sul respiro per interrompere la spirale del rimuginio.
Auto-compassione: sostituire il “non dovrei sentirmi così” con una voce interna più gentile e realistica.
Confini: imparare a dire “no” con assertività gentile; un “no” alla pressione può essere un “sì” al proprio benessere.
Social più consapevoli: ridurre lo “scroll automatico” e ricordarsi che si stanno guardando momenti scelti, non la vita reale.
Nuovi rituali: creare un Natale “su misura”, senza colpa.
Persico propone anche un modello semplice, i “tre permessi”: il permesso di scegliere (ridurre e selezionare ciò che conta davvero), di creare (inventare rituali nuovi che rispecchino chi siamo oggi) e di riposare (pianificare il recupero, non arrivarci per sfinimento).

“La via d’uscita non è lottare per sentirsi diversi, ma riconoscere ciò che si prova con gentilezza e ridurre la pressione di aderire a copioni emotivi che non ci appartengono”, conclude la psicologa. “Un Natale sostenibile è un Natale intenzionale: non significa fare di meno, ma fare con più autenticità”.

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È meglio fare la doccia la sera o la mattina? Ecco cosa dicono gli esperti

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È meglio fare la doccia la mattina o la sera? Ecco cosa cambia per il corpo, la pelle e la qualità del sonno secondo gli esperti

C’è chi non riesce a iniziare la giornata senza una doccia energizzante e chi, invece, la considera il rituale perfetto per rilassarsi prima di dormire. Ma quando fa davvero meglio lavarsi? Meglio fare la doccia la mattina o la sera?

Una domanda che, in realtà, non riguarda solo le abitudini quotidiane, ma anche la salute della pelle, la qualità del sonno e perfino il nostro equilibrio mentale.

Gli esperti spiegano che non esiste una regola universale: il momento giusto per fare la doccia dipende da cosa vogliamo ottenere. C’è chi la usa come una sveglia naturale e chi come un piccolo gesto di self-care per concludere la giornata. Tuttavia, medici e specialisti concordano su un punto: entrambe le opzioni hanno benefici specifici, e la differenza può essere più importante di quanto sembri.

**Ecco perché fare la doccia con l'acqua fredda fa bene alla salute**

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doccia fredda

Fare la doccia la mattina porta energia, buonumore e concentrazione

Fare la doccia al mattino è il modo più semplice e naturale per svegliare corpo e mente. Il getto d’acqua, soprattutto se tiepido o leggermente freddo, stimola la circolazione, aumenta il livello di ossigeno nel sangue e aiuta a sentirsi subito più concentrati e attivi. È l’alleata ideale per chi fatica ad alzarsi presto, per chi deve affrontare giornate intense o semplicemente per chi ama iniziare la mattina con una sensazione di pulizia e leggerezza.

Inoltre, dal punto di vista psicologico, la doccia mattutina agisce come un vero e proprio “reset”: libera dai residui del sonno, rinfresca la pelle e regala un momento tutto per sé prima di entrare nel ritmo della giornata. 

Ma attenzione: se l’obiettivo è prendersi cura della pelle, la doccia del mattino potrebbe non essere sempre la scelta più indicata. Chi vive in città, ad esempio, trascorre l’intera giornata esposto a smog, polveri sottili e agenti irritanti che si depositano su pelle e capelli. Lavarsi solo la mattina, in questo caso, significa portare con sé lo sporco per tutto il giorno - e poi anche nel letto.

Fare la doccia di sera assicura relax, pulizia profonda e sonno migliore

Chi preferisce fare la doccia la sera ha invece dalla sua diversi vantaggi. Secondo gli esperti, lavarsi prima di dormire aiuta a scaricare la tensione muscolare, alleviare lo stress e preparare il corpo al riposo. L’acqua calda agisce come un naturale rilassante: ammorbidisce la pelle, distende i muscoli e favorisce la produzione di melatonina, l’ormone che regola il sonno.

Dal punto di vista igienico, la doccia serale è considerata la più efficace. Durante la giornata, la pelle accumula polvere, sudore, sebo, allergeni e batteri che, se non rimossi, finiscono inevitabilmente su lenzuola e cuscini. Questo può favorire irritazioni, secchezza cutanea e anche piccoli problemi come brufoletti o acne, soprattutto sul viso e sulla schiena. Fare la doccia la sera permette di andare a dormire puliti e rigenerati, con un effetto benefico non solo sulla pelle ma anche sulla qualità del sonno.

C’è anche una spiegazione fisiologica: dopo una doccia calda, la temperatura del corpo tende a scendere, e questo raffreddamento naturale induce una sensazione di sonnolenza. È il motivo per cui gli esperti consigliano di lavarsi circa 30-45 minuti prima di andare a letto, così da sfruttare al meglio l’effetto rilassante.

Dal punto di vista dermatologico, inoltre, la sera è il momento ideale per prendersi cura della pelle con creme nutrienti o oli, che penetrano meglio dopo la detersione. Il risultato è una pelle più morbida, pulita e pronta a rigenerarsi durante la notte.

doccia e prodotti contro il caldo

Allora, è meglio fare la doccia la mattina o la sera?

In realtà, la risposta dipende molto dal vostro stile di vita. Se avete bisogno di energia e concentrazione, la doccia al mattino è la soluzione perfetta. Se invece cercate relax, pulizia e un sonno migliore, la doccia serale è imbattibile.

Al di là del momento, gli esperti raccomandano anche di prestare attenzione a temperatura e durata: l’acqua non dovrebbe mai essere troppo calda e il tempo sotto il getto non dovrebbe superare i 10 minuti. Le docce eccessivamente lunghe o bollenti, infatti, rischiano di eliminare i lipidi naturali della pelle, lasciandola secca e più sensibile.

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4 mise en place originali per Natale

Dal gusto scandinavo o tradizionale, la tavola delle feste merita un tocco di originalità: ecco 4 idee di mise en place di Natale da provare

Durante le festività natalizie, la tavola diventa il cuore della casa e curarne l’allestimento è fondamentale per creare l’atmosfera giusta. Ecco 4 idee originali per una mise en place natalizia.

A suggerirle è Stars for Europe, l’associazione europea impegnata a valorizzare e diffondere la Stella di Natale, fiore simbolo delle feste.

4 idee originali per la mise en place di Natale

(Continua sotto la foto)

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Tavola in stile cottage

Per gli amanti delle decorazioni colorate e vivaci: piatti con delicati motivi di cerbiatti si abbinano a mini Stelle di Natale rosse e color pesca, pigne e rametti di abete. Il risultato è una tavola allegra e originale per stupire i propri ospiti.

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Decorazioni scandinave

L’eleganza delle decorazioni in stile nordico è inconfondibile.

Mini Stelle di Natale color crema, abbinate a decorazioni di carta sospese, danno alla tavola delle feste un tocco di classe ed eleganza.

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Centrotavola DIY

Per chi ama creare decorazioni personalizzate, le Stelle di Natale diventano protagoniste di composizioni DIY. Abbellite con della carta da regalo e disposte sulla tavola, sono perfette per aggiungere un dettaglio unico e originale al pranzo o alla cena di Natale.

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Colori a contrasto

Il Natale non deve essere per forza tradizionale.

Bicchieri e candele nelle tonalità dell'azzurro si abbinano a un centrotavola diffuso composto da Stelle di Natale dai colori accesi, disposte in piccoli vasetti di vetro, creando un gioco di contrasti che rende la tavola moderna e raffinata.

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Ansia del “cosa fai a Capodanno?”: perché questa domanda ci manda nel panico

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Ecco perché la domanda “Cosa fai a Capodanno” ci mette sotto pressione, tra aspettative sociali e l’illusione della festa perfetta

C’è una domanda che, puntuale come un conto alla rovescia, inizia a circolare già a metà dicembre: “Cosa fai a Capodanno?”.

Una frase semplice, detta spesso senza cattive intenzioni, che però ha il potere di farci irrigidire all’istante. Perché non chiede solo un’informazione pratica, ma sembra pretendere una risposta che dica qualcosa di noi, della nostra vita sociale, del nostro modo di stare al mondo.

L’ansia che accompagna questa domanda non nasce infatti dalla serata in sé, ma da tutto ciò che Capodanno rappresenta simbolicamente. È la fine di un anno, l’inizio di un altro, un momento caricato di aspettative, bilanci e confronti. Ed è proprio questa concentrazione di significati a trasformare una festa qualunque in una fonte di pressione.

**Ecco perché (quasi) tutti odiano il Capodanno**

(Continua sotto la foto)

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Perché proprio Capodanno ci mette così sotto pressione

Capodanno è diventato, negli anni, molto più di una notte sul calendario. È una specie di esame collettivo, una prova di socialità e di felicità da superare.

A differenza di altre occasioni, qui non basta “fare qualcosa”: sembra necessario fare la cosa giusta, nel modo giusto, con le persone giuste. Il risultato è che la domanda “cosa fai a Capodanno?” viene vissuta come una valutazione implicita, quasi un giudizio preventivo.

Non rispondere subito, non avere un piano definito o ammettere di voler trascorrere la serata in modo semplice può farci sentire fuori posto, come se stessimo sbagliando qualcosa. Questo accade perché Capodanno viene percepito come una vetrina sociale: una notte che dovrebbe dimostrare quanto siamo circondati, quanto ci divertiamo, quanto la nostra vita sia piena. E quando una serata assume questo peso simbolico, anche la più banale incertezza può trasformarsi in disagio.

L’illusione del Capodanno perfetto (e dei social)

A rendere tutto ancora più complesso contribuisce l’immaginario che circonda il Capodanno. Film, pubblicità e soprattutto social hanno costruito l’idea che quella notte debba essere memorabile, scintillante, indimenticabile. Cene spettacolari, viaggi last minute, feste affollate, brindisi perfetti allo scoccare della mezzanotte: un racconto continuo che suggerisce che esista un modo corretto di vivere l’ultima notte dell’anno.

Il problema è che questo racconto è spesso una versione filtrata e idealizzata della realtà. Molti Capodanni vissuti come “epici” finiscono per essere stancanti, caotici o semplicemente diversi da come li avevamo immaginati. Ma ciò che resta, nella memoria collettiva, è il racconto patinato. Così il confronto diventa inevitabile: se tutti sembrano avere programmi incredibili, il nostro silenzio o la nostra indecisione assumono un peso sproporzionato.

In questo scenario, l’ansia non nasce tanto dal desiderio di fare qualcosa di speciale, quanto dalla paura di non essere all’altezza di un modello che in realtà pochi vivono davvero.

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Non avere un piano per Capodanno è un ottimo piano

E se il problema non fosse non avere un piano, ma sentirsi obbligati ad averne uno?

Negli ultimi anni sta emergendo una prospettiva diversa, decisamente più sana: non tutto deve essere performativo, nemmeno le feste. Non ogni scelta ha bisogno di essere spiegata, giustificata o difesa.

Capodanno può quindi essere una sera come tante altre, a cui attribuiamo un significato personale, non universale.

Per alcune persone sarà una festa, per altre una cena tranquilla, per altre ancora una notte come le altre, magari da passare a casa, in pigiama, con un film o un libro. Nessuna di queste opzioni è meno valida delle altre.

Il disagio nasce quando interiorizziamo l’idea che esista una risposta giusta alla domanda “cosa fai a Capodanno?”, dimenticando che il senso di quella notte non è uguale per tutti.

Rinunciare alla performance significa anche concedersi il diritto di non dover dimostrare nulla. Di non trasformare ogni momento in un contenuto da raccontare o in un’esperienza da ottimizzare.

In fondo, l’ansia che questa domanda scatena racconta molto più delle aspettative sociali che gravano su di noi che non della serata in sé. E forse il vero gesto liberatorio, a Capodanno, è proprio questo: scegliere come stare, senza sentirsi in dovere di spiegare perché.