Sam Claflin: È il mio corpo che vi parla
Al cinema lo abbiamo conosciuto prima come guerriero e poi ci ha commosso nel ruolo di un disabile. Ora Sam Claflin si trasforma ancora, in un naufrago. Perché, dice, ogni film per lui è un’avventura che lo cambia, dentro e fuori.
Sognava di fare il calciatore ed era pure una promessa, ma a 16 anni, dopo un grave infortunio, Sam Claflin ha dovuto appendere le scarpette al chiodo e lasciar perdere. Da quel giorno sono passati altri 16 anni. «Non smetterò mai di ringraziare il mio professore del liceo», racconta. «Dopo quella traumatica delusione in campo, mi ha incoraggiato a tentare una nuova avventura nel mondo dello spettacolo».
Dal suo debutto, nel 2010, nella miniserie I pilastri della Terra, Sam Claflin ha recitato in oltre 15 film e questa carriera di ripiego, culminata due anni fa nel ruolo di paraplegico nel commovente Io prima di te, con Emilia Clarke, non pare avere battute d’arresto.
Sguardo azzurro intenso, gentilezza disarmante e faccia da bravo ragazzo, l’attore britannico il 29 agosto arriva nelle sale con il film Resta con me, molto applaudito al Giffoni Film Festival dove è stato presentato in anteprima. La pellicola è tratta dall’omonimo libro, pubblicato da HarperCollins, e racconta l’incredibile storia vera dell’autrice Tami Oldham e della sua travagliata regata nell’oceano Pacifico col fidanzato Richard Sharp.
Durante lo sfortunato viaggio, la coppia è travolta da un violentissimo uragano. Tami si è ritrovata con una barca semidistrutta e il fidanzato gravemente ferito e ha dovuto fare leva su tutto il suo spirito di sopravvivenza per superare una situazione così terribile.
A fianco di Sam nel film e nel ruolo di Tami c’è l’attrice Shailene Woodley che, come si affretta ad anticiparmi l’attore, è stata una presenza fondamentale nella preparazione di questo ruolo.
Perché Shailene le è stata tanto d’aiuto?
«Non avrei mai potuto farcela senza di lei. Abbiamo patito insieme la fame, manon per copione.Io venivo dal film The Nightingale, per il quale ho dovuto prendere molto peso e la prima volta che mi sono presentato sul set di Resta con me, nelle isole Fiji, il regista Baltasar Kormákur mi ha detto: “Non ci siamo proprio Sam, non sembri affatto un marinaio”. Ho dovuto sudare, mangiare poco o nulla, allenarmi due volte al giorno e allo stesso tempo imparare a navigare. E in tutto questo io e Shailene abbiamo condiviso ogni sacrificio incoraggiandoci a vicenda. Siamo stati fortunati perché ci conosciamo da tanto tempo e ci vogliamo bene. Un particolare non da poco, se devi affrontare un film così difficile».
E in effetti questa è una storia molto intensa. Come si è preparato, invece, emotivamente al ruolo di Richard?
«È stato un personaggio che mi ha fatto sentire più vicino a me stesso. Io e Richard ci somigliamo e la sua storia d’amore con Tami ha molti punti in comune col mio matrimonio (l’attore è sposato da cinque anni con la collega Laura Haddock, ndr). Io e mia moglie siamo complici, non litighiamo quasi mai, e il nostro è un rapporto sincero e maturo. Spesso sul set non recitavo neanche, ero semplicemente me stesso».
Questo avrà facilitato le riprese.
«Sì. Sul set c’era la vera Tami Oldham e ricordo che durante una pausa, mentre le stavo raccontando un aneddoto, lei è scoppiata a piangere all’improvviso. Le ho chiesto che cos’avesse e mi ha risposto: “Ti sei espresso allo stesso, identico, modo di Richard”».
Che cosa le ha insegnato questo film?
«Spero che gli spettatori si lascino ispirare quanto me dalle incredibili gesta della protagonista. Il film mi ha dato tantissima speranza. C’è sempre una ragione per cui andare avanti, combattere e vivere. Anche nella peggiore delle situazioni, c’è un motivo per cui essere la migliore versione di noi stessi».
Le è già capitato in passato di trasmettere messaggi forti tramite i suoi film. Io prima di te, per esempio, affrontava il tema dell’eutanasia. Ritiene che il cinema sia la sede giusta per far arrivare agli spettatori più giovani argomenti così importanti?
«La verità è che oggi le tematiche sono quasi tutte spinose e difficili. La saga di Hunger Games, che mi ha visto protagonista, racconta, per esempio, che spesso la politica è sbagliata. I ragazzi hanno una libertà di pensiero che spesso noi adulti abbiamo perso. Il nostro compito è di aiutarli a crescere, senza trattarli per sempre da ragazzini».
Più facile a dirsi che a farsi. Che suggerimenti ha in proposito?
«Penso, per esempio, che sui social le cattive notizie viaggino troppo velocemente e spesso siano trattate in modo superficiale. È fondamentale iniziare le conversazioni su argomenti importanti partendo da film o libri. Sono questi, a mio parere, gli unici strumenti che possono portare i giovani a ragionare e a farsi opinioni consapevoli».
In autunno la vedremo fisicamente molto trasformato in due thriller, The Corrupted e Borderland.Quali sono i criteri con cui sceglie i suoi personaggi?
«In passato sono stato uno sportivo e anche nel mio lavoro d’attore ho un approccio molto fisico, mi piace dare a ogni nuovo ruolo un corpo diverso rispetto al personaggio precedente. In questo senso sono un grande ammiratore di Christian Bale e della sua capacità di trasformarsi in ogni film. Non trovo credibili quegli attori che, forse anche un po’ per vanità, restano sempre uguali a loro stessi in tutte le interpretazioni. Cambiare pelle è anche un modo per mettermi alla prova, sfidare me stesso.
Mi è capitato, per esempio, di raggiungere i 95 chili per un personaggio e dover ritornare nel giro di un mese a 79, che è il mio peso forma. Ma la cosa che mi diverte è quella di non riconoscermi proprio quando mi rivedo in un vecchio film. Questo per me significa che ho vinto e sono stato bravo a fare il mio lavoro».
A proposito di cambiamenti fisici, viviamo in un’epoca in cui il “body shaming”, cioè gli attacchi all’immagine dei personaggi famosi sono all’ordine del giorno. Molti suoi colleghi ne sono stati vittime. Quanto conta per lei l’opinione degli altri?
«Niente potrebbe importarmi di meno. Mi spiego meglio: abbiamo tutti il diritto di esprimere opinioni, ma alla fine devono restare tali, senza ferirci o senza influenzare il modo in cui ci guardiamo allo specchio. Quello che conta davvero è ciò che pensiamo di noi stessi.
In genere, cerco sempre di utilizzare in modo intelligente le critiche dirette che leggo o ricevo sul mio conto, ne traggo forza e motivazione. Ma sui social le persone spesso si nascondono dietro alle parole senza metterci la faccia. E noi non viviamo per rappresentare ciò che desidera la gente, ma per fare ed essere ciò che ci rende felici. E in questo senso credo che basti circondarsi di persone positive, sincere e costruttive. È l’unico antidoto che funziona davvero quando i social diventano troppo velenosi»
Intervista Federica Volpe / Foto Getty Images
© Riproduzione riservata