Il favorito del mondiale di MotoGP è lo spagnolo Marc Marquez e qui il campione del mondo più giovane di sempre ci spiega che quando vivi a 340 chilometri orari superi tutto. Anche la paura
Marc Márquez ha infranto così tanti record che a 25 anni è già entrato nella storia del motociclismo. È stato il più giovane a vincere il mondiale di MotoGP nel 2013, il campionato di velocità più ambito dai piloti.
Aveva 20 anni e oggi ha raggiunto quota sei Mondiali in carriera: tre in meno di Valentino Rossi, suo idolo da bambino. Autentico fenomeno in pista (il soprannome “Marcziano” rende l’idea), il rider spagnolo, nuovo testimonial Tissot, ha un altro pregio: non si atteggia a divo.
Quando chiedo di intervistarlo, mi aspetto di ricevere una risposta negativa: siamo alla vigilia del campionato, che inizia il 18 marzo in Qatar e lui, campione del mondo in carica, è il favorito e l’uomo da battere. Invece il fuoriclasse del team Repsol Honda accetta con entusiasmo. «Da piccolo sognavo questa vita e, adesso che è diventata realtà, mi godo ogni istante», spiega.
Che cosa la mette di buonumore?
«La mia squadra: ingegneri, meccanici e il resto dello staff sono super professionali sul lavoro, ma nei momenti liberi ci divertiamo parecchio».
Sarà sui circuiti di tutto il mondo fino a novembre. Non sentirà la mancanza di casa?
«Certo. Però, ci sono i ragazzi della scuderia a compensare la lontananza. Li considero la mia seconda famiglia: la maggior parte di loro mi sta accanto da una decina d’anni e abbiamo costruito un legame profondo».
Chi deve ringraziare per i suoi risultati?
«Oltre al team, che spesso finisce di sistemare il mio prototipo sabato notte pur di consegnarmelo competitivo la domenica, i miei genitori: a 4 anni mi hanno regalato una moto per Natale e mi hanno sempre sostenuto. Con grande coraggio: il mio non è esattamente un mestiere tranquillo».
È vero che abita ancora con loro?
«Sì, a Cervera (a un centinaio di chilometri da Barcellona, ndr), dove sono cresciuto. Fino a non molto tempo fa dividevo la camera con mio fratello Álex, minore di tre anni, adesso ciascuno ha la propria».
E se un giorno diventasse suo avversario?
«Non vedo l’ora, il Mondiale vinto (nella categoria Moto3, nel 2014, ndr) dimostra che ha stoffa. Intanto, ci alleniamo insieme: le nostre sfide in sella e i consigli che mi dà mi aiutano a migliorare in gara».
Dedicarsi totalmente alla sua passione ha comportato delle rinunce?
«Sì, ma l’obiettivo di laurearmi campione del mondo ancora oggi batte qualsiasi sacrificio».
Per esempio?
«La dieta rigida, oppure le sedute interminabili in palestra. Dobbiamo rispettare una disciplina inflessibile perché lo sforzo fisico di un Gran Premio è notevole: domare per 40 minuti un bolide da 150 chili che sfreccia a 300 chilometri orari esige muscoli d’acciaio».
Alla partenza non le capita mai di avere paura?
«No, se ti assale l’ansia, non sei competitivo. Nel 2013, però, mi sono davvero spaventato: sul rettilineo del Mugello sono finito a terra a quasi 340 chilometri all’ora. Grazie al cielo ho rimediato solo una brutta botta al mento».
Gli addetti ai lavori la chiamano “gatto” perché nel 2017 è caduto 27 volte senza riportare gravi infortuni.
«Merito degli esercizi di elasticità, stretching compreso, che mi assegna il mio allenatore. E della fortuna, naturalmente».
Si affida a qualche rituale scaramantico?
«Ammetto di essere un po’ superstizioso, ma i gesti che ripeto servono a focalizzare l’attenzione sulla prestazione, più che a portare bene».
Che cosa prevede la routine?
«Salire sulla moto dallo stesso lato e indossare intimo di colore diverso: blu per le prove e rosso in gara».
È cresciuto con il mito di Valentino Rossi: che effetto le ha fatto duellare con lui la prima volta?
«Ero il ritratto della felicità: da ragazzino tenevo il suo poster in camera e collezionavo i modellini delle sue moto. Valentino mi ha insegnato molto, soprattutto agli inizi. È intelligente e caparbio, conosce i tracciati a memoria e ha un’esperienza ineguagliabile».
Anche lei è un idolo per i giovani: sente la responsabilità del ruolo?
«Credo che l’atteggiamento giusto sia essere me stesso».
Cambierebbe qualcosa della sua vita?
«Neanche una virgola».
Essere il migliore pilota del pianeta non ha lati negativi?
«No. Se proprio devo dirne uno, l’unico che mi viene in mente, è lo stress, che ogni tanto si impenna».
Ci racconta un episodio?
«Lo scorso giugno mi sono accorto che iniziavo a perdere qualche capello. A 24 anni, e con mio padre e mio nonno che non hanno problemi di calvizie, mi sono preoccupato e sono andato dal medico. Mi ha detto che stavo attraversando un periodo complicato: “Devi cambiare mentalità. Se metabolizzi le difficoltà con maggiore serenità, i capelli ricresceranno”, mi ha detto. Aveva ragione».
Il suo metodo per staccare la spina?
«Guardo in tv una partita della mia squadra del cuore, il Barcellona, da cui ho appena ricevuto la maglia con il 93, il mio numero di gara, e il mio nome, oppure faccio motocross, ceno con gli amici».
Nessuna fidanzata da incontrare? Quando gareggia è braccato dalle fan...
«Per ora la mia ragazza mi aspetta al box: è la Honda RC213V. Siamo praticamente inseparabili».
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