Alla Mostra del Cinema Josafat Vagni recita in un film su un genocidio dimenticato. «Per sembrare un sopravvissuto sotto shock», dice, «non ho parlato con nessuno per due settimane»
Trentun anni, romano, nato in una famiglia di operai, Josafat Vagni sognava una carriera da attore fin da bambino. Adesso debutta da protagonista nel dramma Dove cadono le ombre, il nuovo film di Valentina Pedicini in concorso alle Giornate degli autori alla Mostra del Cinema di Venezia, e poi nelle sale.
È un film che racconta una storia terribile.
«Quella di due giovani, Hans e Anna. Raccontiamo così la vicenda del genocidio degli Jenisch, un’etnia nomade che fu sottoposta a un processo di eugenetica in Svizzera. I loro bambini venivano sottratti alle famiglie e chiusi in istituti dove si tentava di riprogrammarli. È successo fino agli Anni 80».
Chi è Hans, il suo personaggio?
«Uno di quei bambini. Un “uomo cancellato”, privo di coscienza, che parla di sé in terza persona. Sempre arruffato, sporco, in preda agli incubi. Interpretarlo è stato difficilissimo».
Come ci è riuscito?
«Quando costruisco un personaggio sono maniacale. Ho fatto una ricerca sugli effetti delle torture e dell’elettroshock. Poi, per immedesimarmi meglio nel sopravvissuto, ho chiesto alla regista il permesso di non parlare con nessuno sul set: siamo stati due settimane nell’ala abbandonata di un ospedale romano, il Forlanini. Se fosse durata di più, non so se psicologicamente ce l’avrei fatta».
A casa qualcuno l’aiutava?
«La mia fidanzata, Cristina Pelliccia, che è attrice anche lei. E che, per fortuna, mi comprendeva bene».
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