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Lifestyle

Baby K: «Ho cambiato le regole del gioco»

Baby K: «Ho cambiato le regole del gioco»

foto di Fiamma Sanò Fiamma Sanò — 7 Novembre 2018
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È la regina dell’urban pop, ogni sua canzone polverizza un record e diventa un tormentone. Baby K spiega come abbia trovato in se stessa il potere di essere un’icona

Da zero a 100. Anzi, 101 milioni. Tante sono le visualizzazioni su YouTube del video della sua hit dell’estate.

I clic sulle precedenti? Voglio ballare con te: oltre 124 milioni, Roma-Bangkok, 226. Sul suo canale, gli iscritti superano il milione e 200 mila: è l’unica donna da sei zeri in Italia. Su Spotify le canzoni hanno una media di 37 milioni di streaming ciascuna. E in più ha vinto 16 dischi di platino. Sono numeri pazzeschi.

«Nessuno può mettere Baby K in un angolo», le dico, all’inizio di questa intervista adattando al suo nome d’arte la battuta culto del film Dirty Dancing. Quella che per tutti è Baby K, la regina dei tormentoni, in realtà è un’artista sempre in equilibrio tra due anime.

La prima è la cantante che polverizza ogni record nella musica italiana, la regina dell’urban pop, questo è il suo genere, che il 16 novembre pubblica il suo terzo album, con l’etichetta Sony. Si intitola Icona, ed è stato anticipato dal singolo Come no.

L’altra è Claudia Nahum, una ragazza gentile, educatissima, cresciuta in una famiglia di professionisti che lavorano all’estero per due multinazionali.


Baby K/Claudia ha uno sguardo che se vuole ti trafigge, ma lo mette da parte mentre si racconta nello studio di registrazione dove ci incontriamo, a Milano, città dove vive oggi.

Mi accoglie con gli inconfondibili capelli color platino, un berretto da baseball argento e un sorriso divertito.

È nata a Singapore il 5 febbraio del 1983 ed è cresciuta a Londra, dove ha frequentato il liceo musicale. Canta da quando era bambina nei cori, e per qualche anno ha studiato flauto traverso. La sua famiglia la descrive in modo essenziale: «Il mio papà è cittadino del mondo, figlio di una veneziana e di un italiano nato a Tripoli. La mia mamma, invece, è romana da generazioni, mio nonno si chiamava Cesare. Ho una sorella e un fratello, di dieci anni più grandi».

Claudia è cresciuta come una perfetta adolescente inglese. «Poi un giorno», racconta, «mio padre ha avuto problemi di cuore, ha dovuto andare in pensione anticipata». I Nahum tornano a vivere a Roma. È suo padre a dirle: «Resta in Inghilterra, l’Italia non è un Paese per giovani».

Perché non ha seguito questo consiglio?
«Per me l’Italia rappresentava il luogo dove c’erano il mio cuore e la mia famiglia. Quando cresci all’estero metti sul piedistallo il tuo Paese d’origine. Io a 16 anni già pensavo che avrei voluto far crescere i miei figli qui. Allora mi sono detta che era meglio andarci il prima possibile, per ambientarmi. Ci ho messo dieci anni per “italianizzarmi” e smettere di sentirmi un’aliena».

Lo sa che ancora oggi non sembra tanto italiana?
«E pensi che prima faticavo anche a parlare».

Per questo tutti pensano che lei sia timida?
«Sì. In realtà non lo sono moltissimo, ma mi mettono in difficoltà la telecamera in faccia all’improvviso e le domande a bruciapelo».

Perché il nuovo album si intitola Icona?
«Se apri i social, ti accorgi che tutti vogliono diventare non solo famosi, ma “personaggi”, opinionisti, trendsetter riconoscibili e seguiti. Tutti hanno voglia di essere icone».

E lei?
«Solo il tempo può dirlo. Un conto è essere un’icona, riconoscibile per sempre. Un altro è avere dei momenti in cui dimostri che hai lasciato un segno».


Baby-K

Qual è stato, per esempio, il suo?
«In settembre, quando a Tale e Quale Show hanno scelto di farmi imitare dalla showgirl Guendalina Tavassi».

Non è sta una grande performance, va detto.
«Ma dal momento in cui un programma del genere sceglie di rappresentare te usando gli scacchi e le macchine presenti nel video di Da zero a cento, vuol dire che c’è un elemento subito riconducibile alla tua immagine. E hai fatto centro».

Chi sono icone per lei?
«Michael Jackson: basta un guanto glitterato e pensi subito a lui. Ma anche Madonna e Stevie Wonder».

Da che cosa si riconosce Baby K?
«Penso che ormai si riescano a captare il mio stile e la mia personalità musicale. Penso di avere portato certe novità del rap nel pop italiano: alcune sonorità come il reggaeton elettronico, prima di Roma-Bangkok, non c’erano proprio. Ci sono voluti un po’ di coraggio e strafottenza per rischiare una cosa che nessuno aveva mai fatto. Ho voluto cambiare un po’ di regole del gioco. Inoltre penso di avere ridato forza al ruolo femminile in un ambiente, il rap, dove si è sempre detto che le donne non fossero capaci, o credibili, che non avessero le rime e l’attitudine».

La rima che la identifica?
«Questo mio momento è eterno, attento / Non guardare chi sono ma guarda chi divento».

Si tratta di un verso tratto da Femmina Alfa, brano del 2011. Chi è diventata, da allora?
«Una donna più articolata, più temeraria, un’artista a 360 gradi, che si racconta in maniera più approfondita con l’album in uscita e che si è voluta scrollare di dosso dei limiti».



Qual è il primo che ha superato?
«Il conflitto tra volere “spaccare” con il genere urban e il fatto che mi stessi sempre più innamorando della melodia. Allora mi sono detta: nessuno mi obbliga a scegliere, la musica per me è espressione e libertà».

Qual è la sua forza?
«Sempre la musica. Non sono stata mai legata a nessuno, nemmeno alle crew (i gruppi di rapper, ndr). Ero una lupa solitaria, che stava in piedi da sola, e che solo dopo è stata notata da altri rapper».

E anche dalla popostar Tiziano Ferro. Quanto è stato importante l’incontro con un personaggio di questo calibro?
«Il mio percorso musicale è stato lungo e a tappe. Sono uscita fuori da una nicchia per affacciarmi a un pubblico più vasto. Sarò sempre grata a tutti i passaggi che mi hanno portato a finire nel radar di Tiziano, che ha voluto fare il direttore artistico del disco Una seria».

Come è accaduto?
«Un giorno il mio Twitter esplode: Tiziano Ferro mi aveva citata in un’intervista. Alla domanda su chi ascoltasse nel tempo libero, lui rispose che ultimamente aveva scoperto questa rapper di Roma, che gli piaceva tanto, Baby K. Un amico, poi, mi dice: “Guarda che ti sta cercando”. Penso a uno scherzo legato all’intervista e non chiamo il numero che mi danno. Ricevo, invece, una chiamata e sento la voce di Tiziano, che è unica».

Uno dei comandamenti della sua Femmina Alfa è non “rosicare”, non essere cioè invidiosi degli altri.
«Io penso che ognuno sia artefice del proprio destino. L’invidia non fa parte della mia educazione. Quando ero in Inghilterra, nel mio liceo erano tutte belle, bionde, alte, mentre io sono un metro e 62, mora, con i capelli ricci e gli occhi piccolini. Allora pesavo anche molto di più di oggi, però, non ho mai provato invidia. Magari non piacevo all’inglese biondino, ma a quello indiano, perché ero più esotica. Non mi sono mai sentita inadeguata. La diversità in Inghilterra era una caratteristica in più. Qui, invece, vince un modello più piatto. Certo, ora mi darebbe fastidio se arrivasse una mia “clone”».

Perché?
«Ma come? Dopo 12 anni di carriera che mi costruisco da sola, arriva un’altra uguale a me? Anche se, in realtà, io penso che ognuno abbia la propria identità, suono e immagine».


Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Baby K (@babykmusic) in data: Nov 1, 2018 at 5:24 PDT

Quanti, invece, sono invidiosi di lei?
«Non lo so. So solo che dal momento in cui è uscito l’album Una seria mi sono ritrovata tutto d’un tratto a non sentire più le vecchie amicizie».

Le donne invidiano di più?
«No, lo credevo anch’io. Invece, sono gli uomini. Il problema delle donne in Italia è un altro».

Quale?
«Troppe chiacchiere e pochi fatti. Anche in un movimento globale anti molestie come #MeToo: si poteva fare una rivoluzione, invece non c’è stato modo di unirci, siamo rimaste lì a criticarci a vicenda. Le donne non hanno ancora capito che hanno il potere che serve. Ci si lamenta e poi, alla fine, ogni momento è buono per farsi la guerra, spargere negatività, soprattutto sui social. Me ne sono sempre tenuta lontana, pur rischiando di diventare noiosa: non ho scoop per nessuno, né scandali o litigi. Non alimento chiacchiere, non rispondo mai, passo oltre».

A proposito di movimenti virali, che mi dice di #Nomakeup? Glielo chiedo perché lei non appare mai struccata.
«Non lo amo. Non sono una modella e mi piace venire bene in foto. Amo molto truccarmi. Mi piace valorizzarmi e giocare con il mio aspetto. Il trucco, a volte, ti fa sentire più forte e più pronta per affrontare il mondo. È una sfera così intima e personale che non dovrebbero esserci giudizi».

Lei è femminista?
«Sì, se vuol dire che donne e uomini sono pari. Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui senza distinzione si parlerà di persone con le stesse opportunità».


« Amo molto truccarmi. Mi piace valorizzarmi e giocare con il mio aspetto. Il trucco, a volte, ti fa sentire più forte e più pronta per affrontare il mondo »

A proposito di donne del futuro, lei piace tantissimo alle bambine, lo sa?
«Sì. E mi dicono che il video di Da zero a cento ha anche un effetto ipnotico sui bebè. Sa qual è la domanda che mi fanno più spesso i bambini? Questa: perché non fai rifai una canzone come Sparami? Quel pezzo è una denuncia su come le donne vengono rappresentate in Italia. Questo dovrebbe far capire quanto i più piccoli siano avanti».

La domanda che odia sentirsi fare?
«Come ti senti a essere l’unica donna nel rap? È poco fantasiosa e riduttiva».

Quella che vorrebbe le facessero?
«Come componi le tue canzoni?»

Risponda, allora.
«Parto dal ritornello, capisco che cosa mi ispira: il genere, una certa frase. Allora inizio a comporre la melodia, cerco il linguaggio giusto. È una canzone riflessiva, aggressiva, triste? Cerco di rispondermi ed esce un concetto, che poi sviluppo nelle strofe».

È vero che tutti i rapper sognano il pop?
«Non posso rispondere. Lo deve chiedere a loro. Ma la risposta la so già. Diranno: “Io? Mai!”».


(Photos credits: Simone Falcetta)

© Riproduzione riservata

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