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Moda

Genderless fashion: quando la moda sfida gli stereotipi di genere

Genderless fashion: quando la moda sfida gli stereotipi di genere

GUCCI - Runway - Milan Collections Men SS16GUCCI - Runway - Milan Collections Men SS16
Dall'invenzione della tuta alle prime collezioni unisex, ecco come la moda ha sfidato nel tempo stereotipi e categorizzazioni.

«La moda dovrebbe essere senza genere. Il modo in cui ti vesti è il modo in cui ti senti, il modo in cui vivi, ciò che leggi, le tue scelte».
Una riflessione quanto mai attuale quella che Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, porta avanti sin dal suo esordio nel gennaio 2015 al timone del marchio fiorentino, dopo l’uscita di scena di Frida Giannini.

A cinque anni da quella prima sfilata - la Fall Winter Uomo 2015 preparata a tempo di record, pochi giorni prima della Fashion Week - la tematica genderless continua a trovare sempre più spazio all’interno dell’ambito moda.

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(Nella foto: Sfilata Gucci Fall Winter 2015-16. Credits: Getty Images)

Lo dimostrano le numerosissime griffe e fashion houses che nel corso delle ultime stagioni hanno fatto della fluidità di genere il punto di partenza per la costruzione delle proprie collezioni. L’ultima in ordine di tempo è quella lanciata recentemente da Stella McCartney, “Shared”: una linea di pezzi unisex pensata in un’ottica di guardaroba condiviso - “shared” appunto - che interpreta «l'innata necessità di essere connessi con le future generazioni».

A giocare un ruolo fondamentale sono proprio i ragazzi e le ragazze di oggi - la cosiddetta Generazione Z - molto poco inclini a categorizzazioni e modelli di genere precostituiti. Non a caso, anche i colossi del fast fashion si sono adeguati per stare al passo, aggiungendo proposte ad hoc concepite per essere indossate indifferentemente da lei e lui, ma anche da chi non si riconosce in un’identità sessuale binaria.

 

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(Nella foto: La collezione Billie Eilish x Bershka. Credits: bershka.com)

Esempio ne sono i capi della linea Denim Wo(Man) di Zara o quelli dell’ultima collezione siglata da Billie Eilish e Bershka composta da pezzi basic e oversize, gli stessi che vediamo spesso indosso alla cantante e icona della Gen Z. Che tiene a specificare: «Indosso quello che mi va di indossare. Non ho regole prestabilite».

Il realtà l’interesse verso il genderless ha radici lontane e sono diversi i momenti in cui la moda ha sfidato gli stereotipi di genere. 

La tuta, il primo capo “senza sesso” della storia del costume contemporaneo

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El futurista italiano Ernesto Michahelles o Thayaht, es de esos artistas involucrados en más de una disciplina, incluso en la moda. Thayaht integro la geometría a los diseños de Madeleine Vionnet mientras trabajo con ella en el boom artístico previo a los años 20s. El fue quien diseño el logotipo de esta casa de moda. Entre sus más notables aportaciones a la moda se encuentra la 'tuta' en 1920 junto a su hermano RAM, este fue también el año en que se autonombro bajo el seudónimo de Thayaht. Thayaht, se dedico a educarse constantemente en Cambridge y Harvard en disciplinas como coloración y geometría dinámica e incluso se involucró en el conocimiento esotérico hacia el final de su vida y carrera a finales de los 50s. ° ° ° #thayaht #ernestomichahelles #vionnet #madeleinevionnet #fashionhistory #tuta #historiadelamoda #moda #italiandesign #futurismo #arte #esoterismo #overall

A post shared by Aesthetics (@aesthetics.lab) on Aug 23, 2020 at 2:04pm PDT

Un unico pezzo di tessuto tagliato a T, sette bottoni, una cintura e poche cuciture. Queste le caratteristiche di quello che può essere considerato il primo capo unisex della storia del costume contemporaneo: la tuta. Creata nel 1919 dall’artista futurista Ernesto Michaelles - in arte Thayaht - come “abito universale” con l’intento rivoluzionario di andare contro schemi prefissati e pregiudizi, ottiene persino una pubblicazione su “La Nazione”. Il giornale fiorentino inserì nelle edizioni del 17 giugno e del 2 luglio del 1920 le istruzioni e il cartamodello per permettere a chiunque di poterla confezionare con le proprie mani. «Tuta la gente sarà in tuta», profetizzerà l’artista, giocando con l’etimologia del termine da lui stesso coniato.

 

Jacques Esterel e la prima gonna da uomo

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«Per fare couture bisogna avere il coraggio di osare». Ne è sempre stato fermamente convinto il poliedrico stilista francese Jacques Esterel, ricordato, tra le altre cose, per aver disegnato l’abito da sposa di Brigitte Bardot nel 1959, ma soprattutto per il suo approccio alla moda estremamente avanguardista. Basti pensare alle sue presentazioni, degli show a tutti gli effetti in bilico tra moda, poesia e spettacolo dove poteva succedere di tutto. Anche di veder sfilare una serie di modelle con la testa completamente rasata, come accadde nel 1964. «Volevo provare a dare risalto al viso in modo nuovo», questa la dichiarazione del couturier, che qualche anno dopo introdurrà nelle sue collezioni gonne da uomo e capi d’abbigliamento in jersey unisex.

(Nella foto: Collezione Jacques Esterel 1966. Credits: Getty Images)

Vivienne Westwood, la musa del punk

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Antesignana della contaminazione tra generi, l’eccentrica stilista inglese ha dato voce con i suoi capi controcorrente al punk così come lo conosciamo, capovolgendo le idee convenzionali. Dalle prime creazioni - vendute negli anni ‘70 nella sua boutique di Londra, al civico 430 di King’s Road - fino alle vere e proprie collezioni (un connubio di citazioni storiche, sperimentazioni sartoriali e inediti dettagli) portate in passerella a partire dall’inizio degli anni ‘80, Vivienne Westwood ha modificato radicalmente il modo in cui la gente percepisce la moda.

(Nella foto: uno scatto della prima collezione disegnata dalla stilista, la Fall Winter 1981-82 dal titolo "Pirates", con la quale lancia il look "New Romantic". Credits: Getty Images) 

Jean Paul Gaultier, l'Enfant Terrible che ha infranto cliché e categorizzazioni

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Da sempre portato a infrangere le regole, l’Enfant Terrible della moda francese - che ha dato il suo addio alle passerelle lo scorso gennaio con uno show che rimarrà negli annali - ha manifestato costantemente nel corso della sua carriera la volontà di andare oltre le categorizzazioni, rompendo cliché e confini tra i sessi, le razze, la sessualità. Tra le collezioni che hanno destato più scalpore, quella del 1988 intitolata “Un guardaroba per due”, un attacco tutt’altro che velato al guardaroba dei due sessi, parodiato attraverso busti con stecche a vista e smoking da donna, camicie da uomo dalle texture evanescenti e boxer indossati al posto degli shorts.

(Nella foto: Sfilata Spring Summer 1985 "Un guardaroba per due". Credits: Getty Images) 

I “maestri” giapponesi

Yohji-Yamamoto

«Quando ho iniziato a disegnare, volevo realizzare abiti da uomo per le donne. Mi chiedo sempre chi abbia deciso che dovessero esserci differenze nell'abbigliamento di uomini e donne. Forse lo hanno deciso gli uomini». Ad affermarlo è Yohji Yamamoto nel 1983 - a pochi anni di distanza dal suo debutto a Parigi - durante un’intervista. Il designer nipponico annoverato dalla rivista i-D tra i creatori di moda più importanti e autorevoli della scena attuale, resta ancora oggi uno dei fermi promotori del gender neutral, insieme a due autorevoli colleghi: Rei Kawakubo, sua compagna degli esordi e fondatrice del brand Comme des Garçons (che con le sue creazioni concettuali ha sempre messo in discussione le idee della civiltà occidentale in merito alla forma del corpo e alla discriminazione sessuale) e Issey Miyake tra i primi stilisti giapponesi a presentare le proprie collezioni sulle passerelle europee, nel 1973. Miyake è anche il primo che ha “applicato” le nozioni dell’abbigliamento giapponese alle linee occidentali, come il concetto di taglia universale.

(Nella foto: Sfilata Yohji Yamamoto Fall/Winter 2020/2021. Credits: Getty Images)

Genderless contemporaneo: non solo Gucci

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(Nella foto: Sfilata Maison Margiela Spring Summer 2020. Credits: Getty Images)

Lo abbiamo detto all’inizio: sono sempre più numerosi i brand e le griffes che nel corso degli ultimi anni hanno messo al centro delle proprie collezioni la tematica della fluidità di genere. Tra questi c’è il controverso e geniale John Galliano, dal 2014 alla direzione di Maison Margiela che stagione dopo stagione ha assottigliato sempre di più il confine tra generi fino ad annullarlo. Lo stilista non si è limitato a lavorare sull’abbigliamento e ha lanciato la scorsa primavera “Snatched”, una borsa genderless che rende omaggio al gergo della nuova generazione e ai valori di diversità e inclusività: «Non ci sono regole. Sei tu a scrivere la tua storia».

A condividere il suo pensiero è l’inglese Jonathan Anderson, fondatore del brand J.W. Anderson che sin dagli esordi, nel 2008, non ha mai mostrato molto interesse per il divario tra l'abbigliamento maschile e quello femminile. «I vestiti sono solo vestiti. Chiunque può indossarli». A spingerlo a introdurre una linea femminile accanto al menswear sono state proprio le donne che compravano i suoi capi dallo stile rilassato già in tempi “non sospetti”.
E che dire di Stefano Pilati e delle sue Random Identities, la linea di abbigliamento agender e aseasonal lanciata su Instagram nel 2017? Come ha affermato lo stesso designer, «Random rappresenta la casualità dell’esistenza, e Identities è la risposta a quella casualità. I due termini definiscono lo spazio in cui le persone possono identificarsi non con i trend, ma con la personalità, la funzione, la qualità e il design». L’ultima collezione, che include scarpe e stivali con tacco realizzati in collaborazione con Birkenstock e con il brand di sportswear cinese Li-Ning è stata presentata a Pitti Uomo 2020.

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FW2020: LOOK 24 Open-sided Hoodie, Velour/T-shirt Track Pant, large Silver Bag, Bag-Loafer

A post shared by @ telfarglobal on Feb 2, 2020 at 7:51am PST

Ma l'edizione invernale del salone fiorentino ha visto protagonista anche Telfar Clemens, brand newyorkese amatissimo dai fashion insider che si è aggiudicato nel 2017 il prestigioso CFDA award (l’ambìto premio assegnato ogni anno dal Council of fashion designers of America), noto soprattutto per le sue borse che in tempi recenti hanno raccolto una foltissima schiera di addicted. In realtà si tratta di un marchio che da oltre 15 anni porta avanti un concetto di moda inclusivo e democratico, ben rappresentato dallo slogan "It's not for you, it's for everyone". 

© Riproduzione riservata

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