L’attrice napoletana Pina Turco è la protagonista di un film che si ispira alla cronaca e denuncia il traffico illecito dei neonati partoriti dalle prostitute. Con Grazia ha parlato del dolore di quelle donne alle quali la camorra ha negato ogni diritto
Una storia sconvolgente, che ha per protagonista una giovane donna, rivela una realtà degradata e ti colpisce come un pugno nello stomaco. Il vizio della speranza è il nuovo film di Edoardo De Angelis, l’applaudito regista napoletano di Indivisibili. Tornato a Castel Volturno, la cittadina in provincia di Caserta presa in ostaggio dalla criminalità, racconta questa volta una vicenda che si ispira alla cronaca e mette i brividi: la vendita dei neonati partoriti dalle prostitute, un traffico gestito dalla camorra.
In questo scenario desolato, tra cieli lividi e pozzanghere, case in rovina e traffici illeciti si muove Maria, una donna con un passato troppo pesante da dimenticare e un presente rappresentato da un “lavoro” abietto: è lei che, scortata da un pit bull e arruolata da una megera ingioiellata ed eroinomane,trasporta in barca lungo il fiume Volturno le donne incinte al nono mese, quasi tutte extracomunitarie, in un luogo sordido dove daranno alla luce i loro bambini per cederli agli acquirenti. Ma la natura può essere più potente della camorra e un evento imprevisto offrirà a Maria la possibilità di cambiare le cose.
Pina Turco, 34 anni, interpreta Maria ed è il punto di forza di questo film. Moglie del regista, da cui ha avuto 14 mesi fa il piccolo Giorgio, in Gomorra 2 era Deborah e veniva uccisa dal marito boss Ciro l’Immortale. Poi ha interpretato la commedia di Stefano Incerti La parrucchiera, sarà una trans nella serie di Ivan Cotroneo La compagnia del cigno e ora, in Il vizio della speranza, senza trucco e infagottata in abiti informi affronta la prima prova da protagonista.
Napoletana di Torre del Greco, capelli scuri, occhi vivaci, una laurea a pieni voti in antropologia culturale, Pina racconta a Grazia la sua esperienza sul set. Che somiglia a una discesa negli inferi della camorra.
Prima delle riprese, aveva sentito parlare del traffico dei neonati?
«Sì. Poi Edoardo e lo sceneggiatore Umberto Contarello, assistiti da giornalisti e fotoreporter esperti del territorio campano, hanno a lungo indagato su questo atroce giro d’affari».
E che cosa hanno scoperto?
«Questa compravendita coinvolge un buon numero di persone nelle campagne e nei piccoli paesi. Gente ignobile che si arricchisce sulla pelle delle donne più indifese. Molti sanno, nessuno parla».
Come si è preparata a interpretare Maria, che all’inizio fa parte del giro?
«Innanzitutto ho parlato notte e giorno con mio marito: avere il regista in casa è un vantaggio, anche se rischia di trasformare il tuo lavoro in un’ossessione. Edoardo era convinto che, per diventare Maria, dovessi mangiare la sua stessa polvere. Così, portando con noi nostro figlio di appena 4 mesi, ci siamo trasferiti dal centro di Napoli, dove abitiamo, in una casetta del Villaggio Coppola a Castel Volturno: è un luogo che ci è caro perché lì ci siamo incontrati e poi sposati».
E sul posto che cosa ha fatto?
«Mi sono avvicinata e poi entrata nel contesto in cui si muove Maria. Mi sono esercitata ad andare in barca e ho fatto amicizia con il cane, una bestia martoriata e dolcissima che abbiamo preso in un canile».
Ha incontrato le vittime della vendita dei neonati?
«Certo. Ho trascorso molto tempo nella Casa di Alice, una struttura confiscata alla camorra che, proprio a Castel Volturno, offre rifugio e un lavoro dignitoso alle prostitute decise a cambiare vita. Alcune, tra le lacrime, mi hanno raccontato di aver accettato di vendere il figlio appena nato perché non avevano scelta. Ma tutte sognavano di uscire dal fango per garantirsi un futuro».
Quale storia l’ha colpita?
«Quella, tristissima, di una ex prostituta nigeriana di 60 anni che oggi fa la sarta ed è in causa con l’ex compagno, uno sfruttatore napoletano: è sospettato di aver annegato il loro bambino per vendetta quando lei decise di togliersi dalla strada. La donna non può permettersi un grande avvocato, così dopo nove anni non sono ancora riusciti a incastrarlo. Ma lei è determinatissima, va avanti».
Com’è uscita da questa esperienza?
«Finite le riprese, ho continuato a provare rabbia e un dolore immenso. Mi sono sentita come picchiata, ho avuto difficoltà a tornare alla vita normale. Il mondo terribile di Maria, che ho interpretato dando sfogo alle mie emozioni più intime e seguendo le severissime indicazioni di mio marito, continuava a restarmi appiccicato addosso».
« Finite le riprese, ho continuato a provare rabbia e un dolore immenso. Mi sono sentita come picchiata, ho avuto difficoltà a tornare alla vita normale »
Ha provato le stesse sensazioni quando ha girato Gomorra?
«È stata in un modo diverso un’altra esperienza sconvolgente. Sento ancora risuonare le urla che lancio quando Ciro mi uccide perché mi considera un ostacolo alla sua scalata al potere criminale. E provo un brivido quando ripenso alla scena in cui perdo di vista la mia bambina al parco e vado nel panico temendo che l’abbiano rapita».
Malavitose, vittime, disperate: a giudicare da alcuni film e serie di successo, le donne di certe zone della Campania sembrano non avere speranze.
«Perché cadono nella trappola più insidiosa: accettano la loro vita dominata da illegalità e violenza senza lamentarsi o porsi domande. Per ribellarsi a un destino che sembra ineluttabile, spesso devono imbattersi in un evento inaspettato come capita Maria, la protagonista del film: può essere una gravidanza imprevista, o la vergogna provata di fronte a un parente, o un incontro».
Ma nell’attesa, che cosa si può fare?
«Coltivare l’emancipazione attraverso la crescita intellettuale, come afferma la scrittrice Virginia Woolf nel saggio Una stanza tutta per sé. Contro il degrado ci vuole l’educazione al bello. Ma mettere una statua antica al centro di Castel Volturno non serve a niente. Serve di più portare la spesa a una vecchietta del Villaggio Coppola: gentilezza e generosità possono contrastare l’orrore della violenza. Lo dico da buddhista, senza pretendere di parlare a nome di tutte le donne: c’è speranza ovunque, anche in fondo a quell’abisso che io ho visto da vicino».
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