Nella sua ultima commedia è una madre che cerca di liberarsinin tutti i modi dei suoi ragazzi terribili. Invece, con la sua bambina, Paola Cortellesindice di essere seria in modo maniacale. tranne quando scioglie la tensione nelnmodo che le riesce meglio: con quell’umorismo un po’ pazzo che porterà anche anSanremo
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Sorridente nonostante il freddo polare, diligente come un soldatino, simpatica con tutti. L’attrice Paola Cortellesi ha posato per le foto che vedete in queste pagine, poi si è infilata una tuta ed è corsa a provare lo sketch segretissimo che presenterà al Teatro Ariston in coppia con l’attore Antonio Albanese nella prima serata del Festival di Sanremo, il 7 febbraio. Una volta finite le prove, mi ha dato appuntamento per l’intervista calcolando con precisione cronometrica l’uscita della figlia Laura, 4 anni, dall’asilo. In tre-quattro mosse, nella sua giornata piena, ha trovato tutti gli incastri.
Un filo di acciaio ricoperto di velluto: è la prima immagine che mi viene in mente per descrivere Pao-la. La stessa leggerezza e determinazione che l’attrice, 43 anni, dispensa nella commedia Mamma o papà? diretta dal marito Riccardo Milani e da lei interpretata in coppia con Antonio Albanese (nelle sale dal 13 febbraio). Rifacimento di un successo comico francese, il film racconta la lotta senza esclusione di colpi tra due coniugi che hanno deciso di divorziare e litigano per evitare la custodia dei figli, tre adolescenti arrabbiati e viziati che renderebbero infelice chiunque. Pur di sventare il rischio di averli a carico, i due protagonisti si rimpallano bugie e colpi bassi, ma le sorprese non mancano e il finale non è scontato. «Si tratta di una commedia divertente perché scorretta», mi racconta Paola. Fa una pausa, sorride: «Il sottotitolo potrebbe essere: “Tutto quello che avreste voluto sapere sulla famiglia ma non avete mai osato chiedere”. Bisogna avere il coraggio di ribaltare i luoghi comuni».
Che cosa intende dire?
«Ogni tanto anche i migliori genitori del mondo sognano la liberazione dai figli e il film, sia pure con il tono paradossale della commedia, è un invito a riconoscere questa verità inconfessabile. A non farsi schiavizzare dai ragazzi».
Ed è possibile riuscirci, secondo lei? Si pone già il problema con la sua Laura?
«La bambina è ancora piccola, ma è senza ombra di dubbio il fulcro della famiglia, il centro dell’universo. La vita, in casa, ruota intorno a lei. È inevitabile, del resto non oso nemmeno pensare che cosa succederà quando sarà adolescente e qualche no bisognerà pur dirglielo».
Lei che tipo di ragazza è stata?
«Le rispondo con una sola parola: terribile. Contestavo i genitori, i professori, la società. Non riconoscevo l’autorità. Erano altri tempi: il dialogo fra adulti e ragazzi era limitato e noi giovani incassavamo anche tanti bei no. Se a scuola qualcosa non andava, mamma e papà si schieravano dalla parte degli insegnanti. Oggi, invece, danno ragione ai ragazzi a scatola chiusa e in queste condizioni nessun progetto educativo è possibile. Quando sei troppo permissivo, i figli ti mangiano la vita».
Nella divisione dei ruoli, a casa, lei è il poliziotto buono o quello cattivo?
«Quello cattivo, per forza di cose. Mio marito è di manica più larga ma un po’ di severità è indispensabile. Mia figlia ha un carattere giocoso, è scalmanata come tutti i bambini e io, quando posso, la assecondo. A dire la verità, sono fortunata: è una bambina piuttosto obbediente, ma ci sono momenti in cui non transigo. Non tollero che si metta in pericolo, per esempio. E so bene come superare i momenti difficili».
Sono tutta orecchie: mi rivela come fa?
«La butto sul ridere. Me lo ha insegnato mio padre, che doveva gestire tre figli turbolenti. Liti e tensioni, in casa, erano continue, ma la sua arma segreta era la risata. Aveva ragione. Quando la situazione rischia di degenerare, una battuta o uno scherzo aiutano a riportare la calma. La “stupidèra” ha sempre salvato le famiglie».
A proposito di famiglia: nel film, il suo personaggio ottiene una promozione che la porterebbe all’estero ma, per non turbare l’equilibrio del ménage, in un primo momento rinuncia. Le donne sono ineluttabilmente portate a fare un passo indietro?
«La situazione descritta nel film, sia pure nei toni esasperati della commedia, è del tutto verosimile. Una donna antepone le responsabilità e i sensi di colpa a qualunque decisione che riguardi il suo presente e il suo futuro. S’interroga, si tortura e spesso rinuncia in nome dell’“interesse superiore” della famiglia. A un uomo, invece, non salterebbe mai in mente di lasciar andare un’opportunità di carriera, costi quel che costi. Non si pone proprio il problema. E non perché sia egoista: il maschio è semplicemente costruito in un altro modo».
A lei è capitato di rinunciare a un lavoro perché temeva creasse ripercussioni in famiglia?
«No, mai. Ma sono una donna fortunata: con mio marito decidiamo tutto insieme, passo dopo passo, e non c’è mai stato motivo di discutere su una scelta dell’uno o dell’altra».
Dica la verità, Paola: non teme che il film possa risultare un po’ spiazzante perché rompe il tabù della mamma intesa come angelo del focolare, sempre e comunque al servizio dei figli?
«L’umorismo è la chiave di volta della vita. Anche quando finisce per risultare un po’ urticante, come nel caso della nostra commedia. Mi auguro che gli spettatori lo capiscano. Ma sono ottimista e sotto sotto penso che finiranno per invidiare i nostri personaggi: almeno per una giornata, chi non vorrebbe liberarsi dei figli rompiscatole e prendere una boccata di ossigeno?».
Da qualche tempo lei scrive le sceneggiature dei suoi film: sente il bisogno di avere un maggiore controllo sul lavoro?
«Da più di vent’anni sono autrice dei miei spettacoli teatrali e televisivi. E quando i registi hanno cominciato a chiedermi di mettere qualcosa di mio anche nei personaggi per il cinema, ho preso coraggio. Ho cominciato a scrivere le sceneggiature insieme con professionisti di cui mi fido, come Massimiliano Bruno e Giulia Calenda. Così sento di avere maggiore controllo, certo, ma posso anche raccontare storie in cui mi rispecchio o a cui tengo particolarmente: come il film Scusate se esisto. La protagonista che, per lavorare, deve fingersi uomo mi pareva emblematica».
Lei è una persona molto coraggiosa?
«Sì. Nella vita privata mi butto nelle cose senza pensarci troppo o calcolare le conseguenze. E nel lavoro mi considero addirittura spericolata perché non mi accontento e sento il bisogno di alzare sempre più l’asticella della qualità. Mi piace sperimentare, non ho paura dei rischi e delle novità. Cerco di arrivare agli appuntamenti professionali maniacalmente preparata. E le confesso che ho già messo nel conto il dopo».
Dopo che cosa? Intende dire che un giorno smetterà di lavorare?
«No, amo troppo il mio mestiere per rinunciarci, ma prima o poi la voglia di esibirmi in pubblico verrà meno. Allora intraprenderò un nuovo cammino esclusivamente come autrice. Aspetto quel momento con serenità, sono certa che sarà ugualmente appassionante».
Rispetto a vent’anni fa si sente molto cambiata?
«Oggi ho la capacità di conoscermi di più e prevedere le mie reazioni. A volte guardo me stessa come un’estranea e vedo una donna molto più consapevole e avveduta. Ormai sento quel campanello di allarme che suona ogni volta che rischio di inciampare. Diciamo che ho imparato a evitare gli errori».
Quali, in particolare?
«Ho smesso di fidarmi di tutti e di prendere le cose a scatola chiusa. Oggi riconosco più in fretta chi ho davanti e soprattutto capisco al volo le intenzioni che ha nei miei confronti».
Essere diretta da suo marito le dà più tranquillità o, al contrario, rischia di limitarla?
«Girare un film con Riccardo è un’esperienza fantastica. Sul set dà il meglio perché si trova nel suo elemento naturale: si alza all’alba, è pieno di energia e non vede l’ora di guidare la troupe. Per quanto riguarda i nostri rapporti, tiene a mantenere un contegno serio e apparentemente distaccato perché nessuno possa accusarlo di favorirmi. Ma proprio per questo mi diverto a metterlo in imbarazzo, rivolgendomi a lui con i nomignoli della nostra intimità. La lavorazione di Mamma o papà? è stata scandita dalle risate».
Se dico la parola “sogno” che cosa le viene in mente?
«Sono talmente appagata che, sul momento, non saprei che cosa risponderle. Ho tutto e non desidero niente. Un momento, forse un sogno ce l’ho: io, che ho sempre cantato, ora vorrei interpretare un musical a teatro. È un’esperienza che ancora mi manca».
Ne ha parlato per caso con la sua amica popstar Laura Pausini?
«Certo, le ho confidato il mio desiderio. Laura è una persona che amo. Abbiamo passato un Capodanno insieme, con i nostri compagni e le rispettive bambine, nella sua casa in Romagna. Siamo due tipi completamente diversi per carattere, abitudini e stili di vita, ma fra noi è scattata un’alchimia inaspettata e solidissima. Ci siamo conosciute l’anno scorso, quando abbiamo presentato insieme lo show di Rai Uno Laura & Paola, ma fin dal primo incontro abbiamo avuto la sensazione di conoscerci da sempre e oggi il nostro legame va ben oltre il lavoro. Io non conosco tutte le sue canzoni, lei non ha visto ogni mio film. Eppure ci sentiamo sorelle».
Che cosa invidia alla sua amica?
«La capacità di prendere le cose con leggerezza. Laura è bravissima a sdrammatizzare e ama condividere i sentimenti e le esperienze. Ammiro inoltre la sua empatia. Fa una vita folle, sempre in giro per il mondo ma, se sente che ho una giornata no, trova comunque il modo di starmi vicina. Questa è la vera amicizia. Un motivo di più per essere grata alla vita».
Che cosa si aspetta dal passaggio a Sanremo?
«Antonio Albanese e io staremo in scena pochi minuti, promuoveremo il nostro film e sono certa che ci divertiremo da pazzi. Sul set abbiamo legato talmente tanto».
Non è la sua prima volta al Festival della canzone.
«È vero, ho partecipato all’edizione 2004 condotta da Simona Ventura, ero in scena ogni sera con i miei personaggi e i miei sketch. Ne conservo un ricordo bellissimo anche perché non avevo addosso la tensione dei cantanti in gara. Pensavo solo a fare spettacolo e mi fu data una grande libertà. È un bene di cui non posso mai fare a meno».
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