Olga Kurylenko: «Sono diventata cattiva»
Dieci anni fa Olga Kurylenko è diventata popolarissima grazie al ruolo di Bond Girl. Ma la parte della ragazza tutta curve non le è mai piacoiuta. Ora la vedremo al cinema in un ruolo inedito e a Grazia l’attrice parla dei no che ha dovuto dire per restare fedele a se stessa e di quelli che dirà per rimanere accanto a suo figlio
Mi scusi se parlo a voce bassa», mi dice Olga Kurylenko, 38 anni, ex “Bond girl”, mentre si siede accanto a me su un divano di velluto grigio nella suite Marlene Dietrich dell’hotel Lancaster di Parigi. «Mio figlio mi ha attaccato un bel mal di gola: due giorni d’asilo, ed è già malato», si lamenta l’attrice d’origine ucraina, naturalizzata francese, che oggi vive a Londra.
Alexander, 3 anni in ottobre, nato dalla relazione (ora terminata) con l’attore e giornalista britannico Max Benitz, è rimasto Oltremanica con la nonna. «Prima mi accompagnava regolarmente sul set», mi spiega Kurylenko con un profondo sospiro. «Adesso che ha cominciato la scuola, non potrà più farlo. E la sola idea mi fa soffrire». Soluzione? «Sto già pensando di accettare soltanto i ruoli che non mi allontanino troppo da casa», precisa l’attrice, abbassando gli occhi verdi da gatta. «Lo so, potrei danneggiare la mia carriera: ma fare dei sacrifici non è un po’ il destino di noi madri lavoratrici?»
Almeno per il momento, la carriera di Olga Kurylenko non è in pericolo. L’agenda dell’ex modella - divenuta celebre in tutto il mondo nel 2008 per il suo ruolo di Bond girl in Quantum of Solace, accanto a Daniel Craig - è fitta di appuntamenti.
In Italia la vedremo presto in due commedie molto attese: dal 27 settembre in L’uomo che uccise Don Chisciotte, di Terry Gilliam, presentato fuori concorso all’ultimo festival di Cannes, e dall’11 ottobre in Johnny English colpisce ancora, terzo episodio della saga con Rowan Atkinson (il celebre Mr Bean) nei panni di un maldestro agente segreto. In Francia, invece, Kurylenko sarà sugli schermi agli inizi di dicembre con Vincent Cassel in L’Empereur de Paris, film d’epoca dove porta in scena una baronessa.
«E quest’estate ho finito di girare due thriller: The Room di Christian Volckman e The Bay of Silence di Paula van der Oest», mi informa l’attrice, elegante in un leggero abito di seta con stampa leopardo. «Mi sono concessa giusto due settimane di vacanza a fine agosto per un viaggio in Ucraina. Non tornavo nel mio Paese natale da nove anni».
Nata a Berdiansk, a 200 chilometri da Kiev, all’epoca ancora territorio sovietico, Olga Kurylenko non ha avuto un’infanzia facile. A 3 anni, i suoi genitori si separano; Olga è allevata dalla mamma e dalla nonna, che fanno sacrifici per poterle garantire una buona educazione.
Poi la sua storia somiglia a quella di moltissime altre ragazze slave: notata a Mosca da un talent scout, si lancia in una carriera di modella che, a 16 anni, la porta a Parigi. Ed è l’inizio di un nuovo capitolo. «Quando ho cominciato a lavorare come modella ero ancora una ragazza acerba», racconta. «Non sapevo niente della vita, non avevo idea di che cosa fosse la seduzione. Le adolescenti che oggi vedo sui social network mi sembrano molto più mature e più disinvolte di quanto lo fossi io alla loro età».
Che cosa ricorda dei suoi debutti?
«L’estrema solitudine. La combattevo riempiendo con la mia scrittura ancora infantile pagine e pagine di diario. Era il mio unico interlocutore, non avevo nessun altro a cui parlare. Quei quaderni li conservo ancora, mi hanno seguito da allora, in tutti i miei traslochi».
Le è capitato di rileggerli?
«M’impedisco di farlo perché non voglio rivivere quella profonda tristezza».
Come l’ha superata?
«Per fortuna quel periodo non è durato a lungo: ho capito in fretta come funzionavano le cose nel mondo della moda, mi sono aperta di più. Sono nate vere amicizie e i miei diari sono finiti in una scatola di cartone».
Come è passata dalla passerella al set?
«I fotografi con cui lavoravo mi dicevano spesso: “Sei fatta per il cinema, dovresti provarci”. Non avevo mai seguito un vero corso di recitazione, ma in fondo al cuore sentivo che avevano ragione e che potevo tentare. Quando, nel 2005, la regista francese Diane Bertrand mi ha proposto il ruolo di protagonista in L’Annulaire, non ho esitato. Così è cominciata la mia avventura sul grande schermo»
Ad assicurarle la fama internazionale ci ha pensato 007, con Quantum of Solace. Che cosa le ha insegnato quell’esperienza?
«Grazie a James Bond sono diventata più temeraria. Ma quel film mi ha soprattutto regalato un successo incredibile, al quale non ero preparata. Ne ho avuto paura: all’improvviso ero sulle copertine dei femminili, le richieste d’intervista piovevano da tutte le parti. Invece di cavalcare l’onda, mi sono nascosta, sono sparita dai radar».
Perché?
«Temevo di ritrovarmi incatenata al ruolo della bella ragazza tutta curve, perfetta compagna dell’eroe, ma in fondo sempre in secondo piano. Volevo essere io la protagonista. Oggi mi chiedo se non abbia fatto un errore; forse avrei dovuto sfruttare di più quell’immagine glamour che apre molte porte. Però non sarei diventata la donna che sono oggi e, a conti fatti, sono felice della mia carriera e delle mie scelte».
Lei varia molto i registri: è un caso o una volontà precisa?
«Seleziono con cura i copioni che mi vengono proposti. Spesso è l’istinto che mi guida. E non è infallibile. Ho rifiutato film che poi si sono rivelati dei successi, ne ho fatti altri che oggi forse non rifarei».
C’è un genere che l’appassiona particolarmente?
«Mi sono divertita moltissimo a girare le due commedie che stanno per uscire in Italia. Penso che dovrebbero esserci più ruoli comici per le donne. Non so perché, ma l’umorismo sul grande schermo sembra riservato agli uomini, ed è un vero peccato».
Qual è la trama del nuovo film di Terry Gilliam?
«Racconta la storia di un regista pubblicitario, Adam Driver, che si ritrova a fare i conti con le tragiche conseguenze di un film ispirato a Don Chisciotte, girato quando era ancora un giovane studente idealista».
E che cosa ci può dire del suo personaggio?
«Jacqui è una vera peste. È la seconda volta che incarno la cattiva, dopo il mio ruolo in Vampire Academy, dove interpretavo l’odiosa direttrice della scuola. La considero un’esperienza liberatoria: rappresentare sempre l’eroina positiva finisce per essere un po’ noio-so. Anche nel nuovo Johnny English ho un profilo ambiguo, che naturalmente trarrà in inganno quel pasticcione di agente segreto».
Ha recitato al fianco d’attori molto famosi: da Tom Cruise, in Oblivion, a Jeremy Irons, in La corrispondenza, passando per Ben Affleck in To the Wonder. Non si è mai sentita intimidita, soprattutto agli inizi della sua carriera?
«Un grande interprete riesce sempre a metterti a tuo agio. Ho imparato molto dai mie compagni di lavoro e sono stata piacevolmente sorpresa scoprendo il lato umano di ciascuno di loro dietro la maschera di attore. Per esempio, Rowan Atkinson, che sullo schermo ci fa morire dal ridere facendo l’imbranato, è un uomo molto serio e concentrato, gentilissimo».
Per Grazia è tornata a posare come modella. Ora che è attrice, che effetto le fa ritrovare l’obbiettivo del fotografo?
«È un vero piacere rivivere l’atmosfera di un servizio di moda ed è un privilegio indossare capi eccezionali. E poi non ho bisogno di pensare ogni momento a quello che devo fare, come invece mi succede quando lavoro per il cinema. D’istinto so come muovermi, quando sorridere, come inclinare la testa. È una boccata d’aria fresca che mi libera dalle tensioni».
Si sente meno sicura di sé sul set?
«Assolutamente no. Ma ogni nuovo film è una sfida, un’occasione per provare a me stessa quanto valgo e di che cosa sono capace. Credo che sia uno stato d’animo comune a molti artisti».
Qual è la qualità che la definisce?
«Sono un’organizzatrice nata. Pianifico tutto, nei minimi dettagli. Non mi piace essere sorpresa, anche se, purtroppo, succede tutti i giorni: c’è sempre un imprevisto che sconvolge i miei programmi. La maternità è stata la più bella esperienza della mia vita, ma l’ha anche complicata parecchio».
C’è qualcuno che le dà una mano?
«Mia madre è venuta a vivere a Londra. Abita a due passi da casa mia e si prende cura del mio bambino quando non ci sono».
Perché ha lasciato Parigi per l’Inghilterra?
«Per ragioni di lavoro. Quando la mia carriera ha preso una svolta internazionale, ho cominciato a trascorrere molto tempo nella capitale inglese passando da un hotel all’altro. Allora ho deciso di comprare un appartamento e mi sono trasferita. Ma Parigi mi è rimasta nel cuore».
Pare che lei abbia un vero dono per le lingue. Quante ne parla?
«Praticamente ne imparo una nuova ogni volta che faccio un film all’estero. Per esempio, ho studiato il turco per The Water Diviner con Russell Crowe, e il cinese per Empires of the Deep. E Giuseppe Tornatore mi dava tutte le istruzioni in italiano mentre giravamo La corrispondenza».
Le è mai venuta voglia di passare alla regia?
«No, sento che non fa per me. Come al solito tendo a fidarmi del mio istinto».
Che cosa l’appassiona nella vita, oltre a suo figlio e al cinema?
«La medicina alternativa. Mi interesso ai poteri delle erbe, all’omeopatia, all’agopuntura. Da piccola dicevo a mia madre che volevo fare il dottore. Poi le cose sono andate diversamente, ma so che avrei svolto quella professione con coscienza. Sì, sarei stata un buon medico».
E che tipo di madre è?
«Un po’ ansiosa. E pensare che quando ero più giovane rimproveravo la stessa cosa alla mia mamma: aveva sempre paura che mi succedesse qualcosa. Non sopportavo la sua inquietudine. Adesso, invece, la capisco perfettamente».
Allora è impaziente di ritrovare il suo bambino, sapendolo raffreddato?
«Ho voglia di riabbracciarlo ma non sono preoccupata: ha anticorpi incredibili, in 24 ore gli passa tutto. Io, invece, mi trascinerò questo mal di gola per due settimane».
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