Chiara Ferragni: «Nessuno può fermarmi»
La voglia di raccontarsi nata nei filmini di famiglia. Il debutto sul web. Le prime sfilate seguite in piedi. La consacrazione sul tappeto rosso di cannes, mentre tutti le dicevano: «Non durerai». invece chiara ferragni è diventata un’imprenditrice digitale globale. Alla mostra del cinema di venezia un film svela la sua vita dietro le quinte. Lei, direttrice ospite per questo numero, si confida a uno dei primi giornali che hanno creduto in lei
Nel 2014 Mattel crea la Barbie di Chiara Ferragni. Attenzione però: questa non è la consacrazione di Ferragni, bensì la modernizzazione di Barbie in cerca di nuova fama e follower sui social. Benvenuti nel mondo del ribaltamento di ruoli. Benvenuti nel mondo di cui Chiara Ferragni, 32 anni, è stata pioniera, innovatrice, inizialmente incompresa, talvolta odiata, in realtà temuta.
È imprenditrice digitale da 17 milioni e 200 mila follower, ceo della società The Blonde Salad, titolare del marchio Chiara Ferragni Collection. Oggi, attraverso il documentario Chiara Ferragni - Unposted, regia di Elisa Amoruso, Chiara si racconta in modo inedito: dall’infanzia alla maternità, passando per il liceo di Cremona e per la liceale che si fotografava di continuo, col padre che a un certo punto, durante un viaggio in montagna, sbotta: «A che cosa ti servirà mai questa roba nella vita?». Padre dentista. Sbagliava il padre, aveva ragione la figlia.
L’incontro con Chiara Ferragni avviene alla vigilia della presentazione al Festival del Cinema di Venezia in Selezione Ufficiale, nella sezione “Sconfini”, di Chiara Ferragni - Unposted. Co-prodotto da Rai Cinema, sarà nelle sale italiane il 17 settembre e, dall’autunno, in tutto il mondo sulla piattaforma Amazon Prime Video.
Prima macchina fotografica?
«Vinta coi punti Esselunga».
Tutto inizia a 16 anni?
«In realtà nell’infanzia».
Più precisamente?
«La mia mamma ci riprendeva sempre. Viaggiavamo molto, e ci sono filmati di me e delle mie sorelle in giro per il mondo. Ci sono io a New York che dico alla telecamera: “Allora ragazzi, dovete assolutamente venire a New York!”».
A chi si rivolgeva?
«A noi, la famiglia, gli amici che avrebbero poi visto le riprese».
Un pubblico che presto sarebbe diventato di milioni di persone.
«Non era il mio pensiero. Io volevo raccontare me stessa, la quotidianità. Esattamente quello che faccio oggi, e non ho mai smesso di fare».
L’oggetto dei suoi racconti a 16 anni?
«Le uscite con gli amici, le mie sorelle. I vestiti».
Che cosa sognava di diventare da bambina?
«Variavo: pittrice, medico, veterinario».
Il suo amore per gli animali: Matilda, che lei definisce «la mia prima figlia», dotata di account Instagram (@matildaferragni) con 313 mila follower.
«Fino a Pumba c’erano stati i cani del nonno con cui giocavamo, ma la sera non venivano a dormire da noi, ed era uno strazio separarcene. Poi è arrivato Pumba, il nostro primo cane ufficiale».
E...?
«La famiglia si allargava. È stato con noi per 15 anni, siamo cresciuti insieme».
Pumba entra nelle foto di famiglia.
«In fondo mia madre faceva quello che faccio io adesso. Ogni sei mesi un album nuovo. Poi c’erano gli album loro, di mamma e papà da bambini».
Sensazione guardando i suoi genitori nel tempo precedente a lei?
«Pensavo: “Tutti siamo stati così piccoli”. L’infanzia è importantissima, io sono quella che sono grazie alla mia infanzia felice. Ecco perché sto attenta alla quotidianità di mio figlio».
Per suo figlio vorrebbe?
«Un’infanzia meravigliosa. Da questi anni dipende l’adulto che sarà».
L’ultimo regalo a Leone?
«Gli abbiamo preso una piscina gonfiabile. Ha presente quelle di gomma? Ora sto sempre a comprare palline per riempirla, cosicché lui possa tuffarcisi dentro. All’inizio ne ho ordinate 50, mi sembravano tantissime. Un mese dopo, altre 100, e via così. Siamo arrivati a 600, non bastano mai, lui le lancia ovunque».
Torniamo al lavoro, l’inizio.
«Il vero inizio è nel 2009, col mio blog, The Blonde Salad. Avevo molto seguito, però c’era chi non capiva. Qualcuno che mi considerava una ragazzina che provava vestiti, niente di più».
Il momento in cui capiscono tutti?
«Quando cominciano ad arrivare gli inviti alle sfilate. Inviti “standing”».
Ovvero?
«In piedi. Che significa: non abbastanza importante per sederti».
Quanto impiega Chiara Ferragni dallo standing alla prima fila?
«Un anno circa. Alberta Ferretti è quella che mi ha capita subito, mi ha chiesto di sfilare, mi ha invitata al tappeto rosso del Festival di Cannes, dove io pensavo di passare inosservata, invece c’erano i fotografi che chiamavano: “Chiara, Chiara”».
Altri stilisti, per esempio Prada?
«Ci ho messo un bel po’ a entrare da Prada. Una volta dentro, però, subito prima fila».
Quindi gli eventi, le feste.
«Anche lì è passato del tempo per ottenere l’invito e anche il “plus one”: invito più “plus one”, e sei qualcuno».
A 22 anni la ragazza di Cremona partecipa ai più importanti eventi di moda. Come si sentiva?
«Spaesata. Tutti si conoscevano, e nessuno conosceva me. Avevo paura di non riconoscere le celebrità, o di vestirmi in modo non consono».
È accaduto?
«Sentivo la gente chiedersi: «Ma questa chi è?». Oppure: “Durerà poco, sei mesi e sparisce”».
Reazione?
«Ci rimanevo male perché erano parole che ferivano la mia sicurezza. Tornavo a casa e pensavo alle cattiverie, ma poi ho capito che sarebbe stato meglio fregarsene».
Le pesavano i giudizi?
«Mi cercavo sul web, e trovavo - ancora: “Una meteora, ce la dimenticheremo in fretta”».
La paura più grande?
«Che avessero ragione».
Quando ha capito che non avevano ragione?
«Con il titolo della rivista Forbes (“L’influencer di moda più importante del mondo”, ndr), Harvard (Chiara è stata prima oggetto di studio della Business School, quindi insegnante per un giorno, ndr), la copertina di Grazia Italia, e Vogue Spagna. A quel punto loro, la gente che si rifiutava di salutarmi, anche solo di darmi la mano, ecco, loro venivano a chiedermi selfie. Ancora oggi me li chiedono, per la verità».
Li accontenta?
«Sempre».
Il tempo per Chiara Ferragni?
«A 20 anni avevo l’idea fissa di realizzare qualcosa di importante, e l’impressione che il tempo si stesse accorciando per realizzare questo qualcosa, pensavo di essere in ritardo. Ogni giorno era un giorno in meno».
Il documentario racconta anche questo di lei, paura e fragilità.
«È stata un’esperienza incredibile, quasi una seduta di psicoanalisi. Per me, abituata a raccontarmi direttamente, lasciarmi raccontare non era facile».
Il film andrà a Venezia.
«M’immagino il red carpet. Amici, parenti. Devono piangere tutti».
Quali commenti vorrebbe ricevere dal pubblico?
«Sei una bella persona».
Sullo schermo, raccontata da altri, ha scoperto cose di sé che non sapeva?
«Mi ha sorpreso la specularità di certe situazioni del passato con alcune del presente, tra la mia infanzia e quella di Leo. A parte il fatto che mio figlio è identico a me da piccola, a volte, nelle foto, io stessa mi confondo».
In Chiara Ferragni - Unposted vengono affiancate foto e riprese del passato a quelle di oggi.
«Mi sono ritrovata in tanti gesti di mia madre. Mamma che mi mette un paio di occhiali. Occhiali da diva».
Predestinazione?
«Macché, la stessa attenzione, lo stesso modo di giocare che ho io con mio figlio. Mi ha impressionato. Ci sono addirittura foto uguali».
Per esempio?
«Una foto di me a Disneyland insieme con Mickey Mouse. Vent’anni dopo: identica foto di Leo. A Disneyland, con Mickey Mouse».
La differenza di vivere Disneyland da figlia e da madre?
«Da bambina, arrivando in macchina, vediamo nel parcheggio Pluto, al che io e le mie sorelle iniziamo a urlare. Come vedere una rockstar».
Da madre, e in particolare da Chiara Ferragni?
«Ci hanno presentato ufficialmente Mickey».
La rockstar era diventata lei?
«Lui è inarrivabile».
Mi dica di suo figlio a Disneyland.
«Andiamo in un’attrazione che ci avevano assicurato adatta per bambini piccoli: attraversare la giungla su un trenino, canti di uccelli, versi di animali. Solo che Leone si spaventa e scoppia a piangere».
A quel punto?
«Ho pensato: “Che cosa ho fatto?”».
Ha avuto l’impressione di essere una madre inadeguata?
«Succede di continuo, ormai l’ho imparato».
Quanti anni sente di avere Chiara Ferragni?
«Da una parte, sul lavoro, mi considero adulta, professionista. Dall’altra, sul personale, bambina precoce. Pensi che, quando sono rimasta incinta, mi sentivo ragazza madre, giuro, e non perché non ci fosse il padre. Avevo trent’anni, ma ero comunque la prima tra le amiche a diventare mamma».
Il bambino arrivava già in un mondo di giocattoli.
«C’erano quelli di Fedez. Vuole sapere il mio regalo per Fedez dopo un mese che stavamo insieme? Un videogioco, un cabinato da sala giochi».
Fedez a lei?
«Lui mi riempie sempre di sorprese. Per il mio compleanno mi ha fatto trovare la casa inondata di rose rosse, 2.000, credo».
Se non fosse stato per il verso della canzone di Fedez (“ll cane di Chiara Ferragni ha il papillon di Vuitton e un collare con più glitter di una giacca di Elton John”)...
«Sentita la canzone, ho fatto un video in cui cantavo quella strofa. Lui l’ha visto, e ne ha postato uno in cui diceva: “Chiara, limoniamo”».
Quindi?
«Ci siamo iniziati a scrivere, mi ha invitata a cena».
Il momento in cui avete capito che eravate fatti l’uno per l’altra?
«Da subito, è stato come riconoscersi».
Punti in comune?
«Siamo due giocherelloni, iperattivi. E poi capirsi. Capire il lavoro, i punti deboli, proteggersi».
Che cosa le ha portato Fedez sui social?
«Un pubblico di bambini. Con lui sono arrivati tanti bambini di 6-7 anni che prima non mi seguivano, non sapevano nemmeno chi fossi».
Critiche?
«Quelle sempre».
Chiara Ferragni risponde alle offese sul web?
«Agli inizi esisteva un gruppo Facebook, “La faccia avvilita”, che sarei stata io. È stato cancellato più volte ed è rinato. Credo ci sia ancora, non lo guardo da tanto».
Argomenti di “La faccia avvilita”?
«Ovunque fossi, qualsiasi brand rappresentassi, loro mi trovavano. Andavano, addirittura, a commentare le mie foto sui profili dei marchi con cui collaboravo. Ogni mia immagine finiva nel gruppo. Ammetto: da un certo punto in poi ridevo anch’io».
Il cyberbullismo vero, invece?
«È una battaglia che porto avanti, vorrei realizzare in futuro progetti concreti. Penso alle ragazzine di 12-13 anni, se non più piccole. Le conseguenze ai commenti negativi possono essere devastanti, non solo per l’autostima. Un tempo il giudizio era della scuola, del paese. Ora è del mondo».
Che cosa vorrebbe dire a quelle ragazzine?
«Che se avessi dovuto dare retta agli haters, mi sarei fermata nel 2010. E sì, sarei sparita come dicevano loro».
Dicevano o volevano?
«Dicevano. Davvero il più delle volte sono parole, sfoghi del momento».
Di recente si è arrabbiata per i commenti a una foto di lei insieme con sua sorella Valentina. Per le critiche a sua sorella che accusavano di non essere in forma (accusa peraltro pericolosa, visto che è magra).
«Non esiste uno standard di bellezza. Esiste lo star bene con se stessi, per questo a me piace il mondo del beauty, che è alla portata di tutti: metti il rossetto, copri un brufolo, e ti senti bellissima».
Come si sentiva Chiara Ferragni ragazzina?
«Brutta. Avevo i capelli corti, indossavo sempre tute. Un maschiaccio, cercavo di essere il figlio maschio che mio padre non aveva avuto».
Niente principessa?
«Più Power Rangers. Più Sailor Moon, che si trasforma da sola».
Contraria alle principesse?
«Loro aspettano l’uomo per farsi salvare».
Lei invece?
«Mi salvo da sola».
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