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Grazia

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Moda

Rankin, il fotografo delle star che vorrebbe ritrarre il Dalai Lama

Rankin, il fotografo delle star che vorrebbe ritrarre il Dalai Lama

foto di Giorgia Martinucci Giorgia Martinucci — 28 Maggio 2012

Fotogallery Rankin, il fotografo delle star che vorrebbe ritrarre il Dalai Lama

  • intervistarankin1 intervistarankin1 Un ritratto di Rankin
  • intervistarankin3 intervistarankin3 La cover della seconda edizione di Hunger con Monica Bellucci
  • intervistarankin2 intervistarankin2 La cover della seconda edizione di Hunger con Robert Sheehan
/ 3 Tutte le foto
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Il fondatore delle riviste di culto "Dazed&Confused" e "AnOther Magazine" ci racconta il suo ultimo "nato"

Ha ritratto chiunque, dal primo ministro britannico Tony Blair alla  cantante Madonna. Rankin , il fotografo inglese che ha fondato insieme a  Jefferson Hack la rivista seminale Dazed&Confused e poi AnOther  magazine, vorrebbe fotografare Fidel Castro, il Dalai Lama e Obama.
Ora si lancia in una nuova avventura, Hunger , un progetto editoriale online ed offline giunto alla seconda edizione, volto a promuovere i nuovi talenti in tutti i campi, di cui ci racconta in esclusiva. Sulla copertina dell'ultimo numero, la bellezza nazionale da esportazione Monica Bellucci; all'interno anche Robert Sheehan ed Heidi Klum, tre individui che sembrano non avere nulla in comune ma che Rankin invece giudica infervorati dalla passione, che sia essa per il cinema, l'arte, la moda o semplicemente per la vita, che li consuma e che farebbe fare loro questo lavoro a prescindere dalla fama.  
Abbiamo incontrato Rankin nel suo studio londinese, un ufficio completamente bianco, tra gli ultimi numeri delle riviste da lui pubblicate e quadri di recente acquisizione disseminati qua e là, per parlare di che  cosa significa veramente essere un'icona di stile e di come il mondo della moda stia cambiando.

In  che modo "Hunger" si differenzia dagli altri magazine?
«Credo  che il fatto che sia io a produrlo costituisca la più importante  differenza. Ormai non mi occupo più della parte creativa di Dazed &  Confused ed An Other magazine, nonostante siano titoli di cui sono un  fondatore ed azionista. Mi dedico principalmente alla fotografia, ma  avevo voglia di continuare ad occuparmi in prima persona di un progetto  editoriale, però in modo che riflettesse il mio punto di vista, la mia  maturità e la mia esperienza di adesso. Il mio intento era che fosse  interessante per un lettore di ogni età, senza che includesse l'ultima  moda del momento. Hunger raccoglie piuttosto tutto ciò che mi piace,  aldilà della pubblicità che riceve o meno, non è necessariamente la  guida all'ultima novità ma bensì una riscoperta di artisti e talenti  nascosti».

L'ultimo tuo progetto è quindi  un'altra rivista cartacea, credi che abbia ancora senso alle soglie del  2012?
«Nessuna delle riviste  in commercio è ormai un'entità che esiste solo  su carta, ognuna ha una sua controparte online. Io amo le riviste, me  ne sono occupato per 20 anni con il Dazed Group, ma al tempo stesso sono  un grande appassionato di tecnologia, per cui quando ho pensato per la  prima volta di cimentarmi in un nuovo progetto sapevo che avrei voluto  unire questi due aspetti, entrambi importanti. Le riviste esisteranno  per sempre, infatti con l'avvento di nuovi supporti tecnologici quali Kindle ed Ipad, la gente non ha comunque smesso di comprare e leggere  libri. Credo quindi che le persone apprezzino la qualità di un prodotto  stampato. Ma al tempo stesso ignorare le nuove tecnologie sarebbe  stupido, tuttavia credo che le riviste rimangano importanti anche se il  loro periodo d'oro si è ormai concluso, non sono più così popolari, ciò  nondimeno ci sono ancora tanti appassionati e cultori delle fanzine e  riviste di nicchia».

Che consiglio daresti ad un  giovane che vorrebbe fondare oggigiorno una rivista come avete fatto te e  Jefferson Hack nel 1991 con Dazed&Confused?
«Se iniziassi senza avere  esperienza in questo settore, consiglierei ad i ventenni di oggi di  puntare sul digitale e concentrarsi sulle nuove tecnologie. Credo  inoltre che l'immagine in movimento giocherà un ruolo molto importante,  in fin dei conti Youtube è il secondo motore di ricerca dopo Google.  Sono convinto che in tre o quattro anni il mondo sfrutterà davvero a  pieno il potenziale tecnologico, adesso stiamo solo sperimentando ma nel  corso degli anni la tecnologia sarà integrata nella vita delle persone  ad ogni loro passo. Una volta consolidata la propria presenza online  sarà possibile passare ad un magazine cartaceo, questo è il mio  consiglio»!

Hunger è una piattaforma  promotrice di nuovi talenti, quali artisti sono da tenere d'occhio al  momento?
«Sicuramente l'artista  Polly Morgan, che crea delle sculture tassidermiche in miniatura  conservate sotto cupole di vetro, una re-invenzione di suppellettili  vittoriane. Inoltre invito a riscoprire il fotografo di guerra Don  Mccullin, di cui ho in preparazione un documentario commuovente che  verrà lanciato verso la fine dell'anno ed anche il lavoro di David  Montgomery, che ha ritratto Mick Jagger, Margaret Tatcher, Barbara  Streisard ed i Rolling Stones ma che non ha mai raggiunto la fama dei  suoi contemporanei».

Hai fotografato tantissime  celebrities, ma che cosa definisce davvero un'icona di stile?
«L'autenticità, essere sé stessi e  non nascondere la propria personalità e passione. Hunger cerca proprio  di dare visibilità ad individui che aggiungono una dimensione di  profondità e spessore al loro lavoro, è una sorta di antidoto alla  cultura della fama che pervade la nostra società, che proprio come Andy  Warhol aveva predetto, permette ad ognuno di essere famoso per 15  minuti, anche senza una particolare ragione».

Essendo anche il fotografo  delle campagne anti-convenzionali del marchio Dove, credi che qualcosa  stia cambiando nella moda riguardo ai parametri di bellezza?
«Credo che ci sia un numero  crescente di persone che vuole cambiare le cose, ma al tempo stesso ce  ne sono altrettanti a cui non interessa. La moda è un fantasia, per cui  l'estetica è una parte intrinseca di essa e per raggiungere l'ideale di  bellezza ogni mezzo è concesso. Ad esempio, c'è molto dissenso nei  confronti del ritocco digitale, ma in realtà il ritocco c'è sempre stato  fin da prima di Photoshop, infatti sin dagli albori della fotografia e  del cinema già si conoscevano dei modi di alterazione dell'immagine.  Credo che saremo sempre ossessionati dal peso e dall'apparenza, ma che  spesso nelle polemiche si perdano di vista le questioni principali, come  la salute delle modelle. Io ho da sempre cercato di valorizzare le  bellezza spontanea attraverso i miei progetti perché credo che l'unicità  di ogni individuo sia un valore aggiunto, non un difetto».

Chi ha influenzato maggiormente il tuo  lavoro?
«Non ne faccio un  segreto, dico sempre che David Bailey e Richard Avedon sono stati delle  figure molto importanti nella mia crescita professionale, ho persino una  foto originale di Bailey qui in ufficio, non una di Avedon perché non  posso permettermela, ma sì, sicuramente entrambi hanno influenzato il  mio lavoro, hanno documentato il loro tempo e continuano a farlo, ammiro  la loro determinazione ed il fatto che continuino a lavorare nonostante  l'età. Questa passione viscerale per la fotografia che li consuma e  consuma anche me, che ci porterà a scattare fotografie fino alla fine,  quando non ci resterà altro che scattare una foto di noi stessi sul  letto di morte, è di grandissima ispirazione».

© Riproduzione riservata

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