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Moda

Moda e sostenibilità: a che punto siamo?

Moda e sostenibilità: a che punto siamo?

foto di Marilina Curci Marilina Curci — 15 Febbraio 2024
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A Parigi l’ultima edizione di Première Vision - il salone internazionale della moda e del tessile appena terminato - ha posto sotto i riflettori gli sforzi del settore in materia di sostenibilità.

La tematica della sostenibilità sta assumendo un’importanza sempre crescente, complice la lenta ma inesorabile presa di coscienza sul precario stato di salute del nostro pianeta. I danni causati dall'inquinamento e dallo sfruttamento massivo delle risorse sono sotto gli occhi di tutti.

In questo scenario l’industria della moda - tra le più inquinanti - si sta impegnando a ridurre il proprio impatto ambientale lungo l’intera filiera, investendo in ricerca e sviluppo e scegliendo soluzioni concrete per promuovere modelli di business più etici e responsabili. Ma a che punto siamo?

Première Vision, l’appuntamento internazionale dedicato al fashion e al tessile andato in scena a Parigi dal 6 all’8 febbraio, ha scattato una fotografia dello stato dell'arte, mettendo sotto i riflettori gli sforzi del settore in ambito green.

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Trasparenza e tracciabilità

«Spesso descritta come un settore “opaco”, l'industria della moda sta attraversando una significativa trasformazione verso una maggiore trasparenza», ha spiegato il team di Première Vision.

Un’evoluzione dettata dalle richieste dei consumatori, sempre più attenti ed esigenti, ma anche dalla necessità di rispettare le nuove normative, come quella recentemente adottata in Europa con la CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che impone alle aziende di analizzare la propria filiera per identificare, prevenire o mitigare rischi sociali ed ambientali.

«Negli ultimi anni sono stati sviluppati strumenti e marcatori che consentono di tracciare i materiali fin dalle prime fasi di lavorazione, come la sgranatura del cotone o lo sviluppo dei filamenti sintetici».

L’azienda portoghese di filati Inovafil, ad esempio, si è associata al programma di agricoltura rigenerativa Good Earth Cotton che, utilizzando la tecnologia dei marcatori luminescenti Fibertrace® e la blockchain associata, raccoglie informazioni in ogni fase della lavorazione.

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Il leader mondiale nella produzione di tessuti per l’outerwear - British Millerain - oltre a conservare le informazioni di ogni lotto di materie prime, si affida all’azienda ChemTrec per analizzare le sostanze chimiche utilizzate durante il processo di produzione, al fine di identificare i rischi, valutarli ed eventualmente scegliere prodotti sostitutivi.

Fibre green e tessuti sostenibili

La ricerca sta facendo passi da gigante nella produzione di materiali innovativi in grado di rendere la moda più etica e sostenibile. Dai tessuti realizzati con la frutta a quelli a base di alghe, funghi o sughero, fino a quelli prodotti da rifiuti tessili, cosmetici o agroalimentari, o ancora, dalla plastica raccolta negli oceani, la gamma di alternative appare davvero vasta.

L’azienda tessile portoghese Positive Materials è riuscita a sviluppare tessuti in fibra di banana; grazie a una rete internazionale di partner, come start-up innovative e marchi di consumo, è in grado di produrre fibre anche utilizzando residui agricoli, rifiuti alimentari e scarti tessili.

La Ictyos di Lione ha messo a punto nuove soluzioni conciarie: utilizzando il proprio know-how in pellami marini provenienti dall'industria alimentare, ha dato alla luce dei nuovi prodotti concianti vegetali, derivati dalla lavorazione dell’uva e dai residui della produzione della birra.

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C’è chi invece - come Weturn - salva migliaia di prodotti e materiali dall'incenerimento, trasformando l’invenduto di maison e brand in tessuti riciclati di qualità. Ma le rimanenze costituiscono anche un’alternativa sostenibile all’utilizzo dei materiali vergini.

«Il contesto del cambiamento climatico richiede buon senso e un’economia delle risorse - ha dichiarato il team della fiera parigina - senza contare che l’accesso al deadstock rappresenta una necessità per i marchi emergenti. I giovani designer producono in piccole quantità e possono avere difficoltà a soddisfare i volumi minimi richiesti dai produttori per firmare contratti di produzione».

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A venire loro incontro sono realtà come Nona Source - piattaforma sostenuta da LVMH, che mette a disposizione dei creativi un vasto catalogo di eccedenze delle più rinomate maison di lusso, proponendo materiali di alta qualità a prezzi accessibili - e Adapta. Fondata da Virginie Ducatillon e Marie-Anne Gauly con l’intento di riportare alla luce pelli e materiali nobili che giacciono inutilizzati nei magazzini delle griffe più prestigiose, si rivolge a una vasta tipologia di clienti, dai brand più affermati ai marchi indipendenti, fino agli studenti delle scuole di moda, garantendo trasparenza e tracciabilità, oltre che un rigoroso controllo qualità.

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Certificazioni

Se da un lato è gratificante assistere alla crescita costante di una moda etica, attenta al proprio impatto ambientale, sta però diventando sempre più difficile distinguere chiaramente un impegno reale e significativo dal mero greenwashing.

Per questo motivo le certificazioni di sostenibilità rilasciate da organizzazioni terze ed indipendenti hanno un ruolo importantissimo. Ad esempio GOTS, lo standard globale per le fibre tessili provenienti da filiere biologiche, OEKO-TEX, label che attesta l'assenza di sostanze nocive nei tessuti e componenti tessili, o ancora Bluesign, certificazione internazionale che valuta l'intero ciclo di vita del prodotto, tenendo conto di criteri ambientali e sociali.

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«L’immagine dell’industria della moda sta cambiando e i prossimi anni rappresentano una sfida per i marchi che sapranno istruire, rassicurare e supportare i propri clienti nella scelta di prodotti sostenibili e ben fatti».

© Riproduzione riservata

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