Bianco e Nero: la storia in cinque punti
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Cinque cose da sapere sul binomio bianco-nero nella storia della moda
Indefinibile, irrequieto, teso, inconciliabile, è il contrasto che si scatena lungo il confine del bianco e nero. I couturier, nel tempo, hanno rilanciato e rielaborato questa complice avversione, metaforizzando il senso del vuoto e del pieno. La duplice essenza di quest’antitesi cromatica, viene usata ancora oggi, sia per prendere una posizione attraverso pensieri categorici, sia per dichiarare l’ambiguità del contemporaneo. Infatti, come avete letto nell’articolo di Diana Marian Murek, per l’a/i 2013-2014 il binomio dei due non colori veste anche i grafismi, rimarcando così l’idea d’ineffabilità.
Ecco 5 curiosità:
Origini: Nella storia del costume e della moda, inizialmente, quando le parole sembravano inefficaci, questi due non colori erano usati distintamente, per esprimere concetti assoluti. Nella stagione della Couture, l’influenza dell’arte decorativa e architettonica determinava l’uso del bianco e del nero, che erano usati per indicare la precisione, il perentorio, l’ineludibile. Pochi accenni, invece, alla dicotomia bianco-nero, se non citazioni poetiche di Poiret per la corsetteria, di Elsa Schiapparelli che con il suo primo abito da sera mise in subbuglio il mondo della moda, di Coco Chanel. Solo con l’Optical Art (detta anche Op Art) l’esplorazione del contatto tra bianco e nero, portò l’inganno visivo tramite grafismi e texture. Da quel momento la contrapposizione sfuggì alla formalità per calcare il tempo audace degli anni Sessanta, con l’immagine space - age praticata da André Courrèges. Con Courrèges però il bianco prevaleva sul nero che, invece, era utilizzato per linee e grafismi. Nel 1966 Truman Capite diede una festa in maschera, con un preciso dress code: vestirsi rigorosamente di bianco e nero. Nella cornice del leggendario Hotel Plaza su Central Park, Capote a raccolta aveva chiamato 540 celebrità tra cui Henry Fonda, Andy Wharol, Richard Avedon, Phillip Roth e Arthur Miller. Venne considerato poi dalla stampa come “il party del secolo”. Negli anni Settanta il disordine culturale e stilistico degli hippie, dell’etnico, del gipsy, non lasciò spazio al bianco e nero. Con l’avvento del pret-à-porter di Giorgio Armani nel 1978, la contrapposizione venne contemplata nel realismo del tono, nella moderazione, nella temperanza, per cui il non-colore era espressione dell’indefinito, della versatilità.
Il bianco-nero di Coco Chanel: L’essenza della diarchia bianco-nero Coco Chanel la captò immediatamente, quando nel 1919 creò Chanel n°5. La confezione era una semplice bottiglia da farmacia trasparente, a differenza di quelle tradizionali che erano molto elaborate, ma la vera particolarità fu l’etichetta minimale, con fondo bianco e lettering nero. Coco fece diventare colonna portante della sua idea di eleganza il rigore vissuto durante l’infanzia nella congregazione del Sacro Cuore, per cui lo stile monacale si rifletteva soprattutto nelle scelte cromatiche. Il bianco e nero, secondo la couturier, erano assoluti e di estrema eleganza e gli altri colori venivano dopo. Il primo abito in velluto nero con semplice colletto bianco, firmato Chanel fu indossato da Suzanne Orlandi. Nelle sue collezioni questa dicotomia rivestiva l’idea di autorità tanto cara alla couturier francese, per questo si ripercuoteva anche negli accessori. Le due iconiche “C” tinte di bianco e nero, infatti, divennero il logo ufficiale della Maison Chanel.
Simbologia: Entrambi ascritti nella gamma valori acromatici (non colori), il bianco e il nero rappresentano l’alfa e l’omega della scala cromatica e simbolicamente sono l’uno il contrario dell’altro. Al nero sono attribuibili una molteplicità di significati simbolici tra loro strettamente connessi, infatti, incarna sia valori positivi come il principio universale e di ogni manifestazione vitale, sia negativi come la distruzione e dissoluzione del tutto. Quest’ambivalenza è riscontrabile anche a livello lessicale, perché in molte lingue antiche si designa un nero opaco, di valenza negativa, e un nero brillante di valenza positiva. Il nero incarna anche l’idea di tradizione, dell’attaccamento formale al passato e quindi, soprattutto attualmente, gli vengono riconosciuti anche significati di maestà, autorità e potenza. Il bianco è sommariamente considerato emblema della luce, colore della divinità e inteso come principio generatore. È archetipo di resurrezione e di eterna rinascita.
Terminologia: L’ambivalenza del nero è riscontrabile anche a livello lessicale, perché in molte lingue antiche se ne designa uno opaco, di valenza negativa, e uno brillante di valenza positiva. Questa duplicità valoriale è presente sia nel vocabolario latino (ater e niger) sia in quello vecchio inglese (swart e black). Per il bianco, dal punto di vista lessicale, le lingue antiche distinguevano due diverse tipologie: in greco leucos, indicava quello chiaro e dunque umano, mentre arg si usava per il bianco lucente e quindi divino; il latino distingueva, invece, candidus, che etimologicamente significa infiammare, quindi rimanda all’idea di splendore, da albus che si traduce con pallore, decolorazione, chiarezza
Passerelle in bianco e nero: Le passerelle dell'autunno-inverno 2013-2014 sono valide testimoni del fatto che, l’eleganza per eccellenza, passa inevitabilmente per quel confine tra bianco e nero. Ann Demeulemeester rielabora l’abbinamento più classico attraverso l’espressività contemporanea dell’effetto dip dye e la sovrapposizione dei tessuti; bon ton il bianco e nero narrato da Alberta Ferretti e Valentino. Moschino Cheap & Chic utilizza il contrasto cromatico per enfatizzare il lettering; Byblos e la texture barocca su un abito in maglia con base bianca; Burberry usa il binomio dei non-colori per la texture animalier; Fendi con il total look , dove ora sembra prevalere il nero, ora il bianco, sottolinea come le due facce diverse provengano dallo stesso purismo. Reginette del bianco e nero quelle di Meadham Kirchhooff; base nera e grafismi in outline bianca per Marni; cinquanta sfumature di black and white per Roberto Cavalli, che utilizza anche il floreale per accentuare l’antinomia visiva; e mentre Tom Ford cerca nei grafismi tribali l’eleganza suprema, Viktor & Rolf pongono l’accento sul concetto di contrasto espresso dal b/n, attraverso l’esplorazione della dicotomia cromatica di due look agli antipodi.
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