BORNAJEANS: le Ragazze Metropolitane siamo tutte noi
L'artista BornaJeans lancia il suo nuovo singolo "Ragazze Metropolitane": in esclusiva per Grazia il video che ha realizzato e l'occasione di raccontarsi sulla vita, le cose e quello che ci gira intorno
Nel panorama dei talenti narrativi musicali c'è BornaJeans, "ragazza metropolitana" con un gusto speciale per le storie passate rielaborate attraverso la lente del presente.
L'abbiamo incontrata per l'uscita del suo nuovo singolo e per sviscerare i pensieri che l'hanno portata alla costruzione del nuovo pezzo e dell'estetica profusa nel video e nelle foto che abbiamo il privilegio di avere in esclusiva per Grazia.it.
C'è un po' di BornaJeans in noi e un po' di "rivista da femmina" in lei e ci è sembrato uno scambio decisamente molto bello. Ecco il resoconto della nostra conversazione.
Chi sono le Ragazze Metropolitane?
Le ragazze metropolitane siamo tutte noi che viviamo in qualunque città del mondo. Indipendenti, scompigliate, ciniche, poetiche. La ragazza metropolitana è un’attitudine, uno stato di grazia che ti prende mentre attraversi la città, dopo una lunga giornata, magari in bicicletta, di corsa, col rossetto sui denti e i capelli in disordine. Mentre guardi di sfuggita gli scorci di palazzi o i passanti e nelle cuffie parte la canzone perfetta, come un colonna sonora che ti fa sentire la protagonista di un film che nessuno sta guardando.
Quale storia hai voluto raccontare con questo pezzo?
Una sera, tornando verso casa stavo cantando Uomini Soli, e mi sono chiesta: come sarebbe questa canzone se a scriverla fosse stata una ragazza? Quelle descrizioni di uomini impettiti nei loro cappotti decorosi in una Milano fumosa, immagini così nitide ma profondamente in contrasto con il mio disordine, l’emotività incasinata, quel correre sempre sfiorando tante persone, come comparse ciascuno nella vita di qualcun altro. Ho voluto ambientare questa canzone a Milano, come la title track immaginaria di Yuppies 2.0, con personaggi femminili e genderfluid al posto di Ezio Greggio e Jerry Calà.
Come è evoluto il tuo modo di fare musica dagli esordi ?
Il primo disco si è manifestato come una visione: sono partita dai titoli della tracklist prima ancora delle canzoni. Come una direttrice creativa presso me stessa coordinavo amici, fidanzati, ex e parenti, scrivevo i testi e davo un senso ai pezzi mancanti. È stata la prima volta che sono riuscita a completare qualcosa per me stessa. Ho cominciato poi a studiare piano con una di quelle app giocattolo e a comporre per la prima volta partendo da zero. Quattro accordi, una drum machine, logic e fai da te. Sono lentissima in realtà, vorrei avere un superpotere che mi permetta di imparare tutto quello che non ho appreso in 30 anni di vita. Roberto Gallesi (in arte Robi Tuono), che ha prodotto quasi tutte le canzoni del primo disco, mi insegna con pazienza e continua a fare il grosso del lavoro di produzione, Ragazze Metropolitane è in grandissima parte merito suo. È un processo ancora in evoluzione, in bilico tra tribolamenti e folgorazioni, ma piano piano troverò il mio equilibrio.
Come ti immagini tra cinque anni?
Faccio estremamente fatica a proiettarmi nel futuro se non in modo mega naif e quasi fanciullesco. Quindi risponderò come avrei probabilmente fatto a 9 anni: sul palco dell’ARISTON!
Il tuo legame con la moda, come la interpreti ?
Io vedo la moda come fosse un personaggio che ogni giorno chiede di essere interpretato, a seconda del mio umore, in tutte le sue sfumature. La seguo distrattamente sui social e con passione nelle puntate di Ru-Paul Drag Race. Amo le silhouette forti anni 80, i completi maschili e le luccicanze ma non c’è niente che io apprezzi di più del colore. Vesto in gran parte cose comprate ai mercatini con qualche tocco di contemporaneo qui e lì. Ho sempre odiato l’esibizione dei loghi e il conformismo, la moda dovrebbe essere un’estensione della propria personalità, un modo coraggioso per dire al mondo chi sei anche quando cammini per strada. L’ispirazione può arrivare dalla palette di un quadro, da un film con Robert De Niro o da una signora al supermercato. Basta tenere gli occhi aperti.
Cosa non ti piace del mondo di oggi che puoi cambiare?
Direi il consumo della carne. Si parla di cambiamento climatico in modo troppo poco attivo da questo punto di vista e si rifiutano le possibilità di convertirsi a qualcosa di più sostenibile, con argomenti molto sterili. Sono vegana da alcuni anni, faccio pochissime eccezioni (a volte la mozzarella sulla pizza) e non ci trovo nulla di difficile o sacrificato. Un’altra cosa a cui tengo molto è la sincerità e oggi scarseggia: sui social, nella politica, tra le persone, a partire dal rispondere alla domanda “come stai?” Io faccio del mio meglio a non dire “bene” se non è vero. Basta ritocchi nelle foto, basta ritocchi all’intonazione nella musica (e non parlo di chi ne fa un uso artistico ovvero pochissimi) W le imperfezioni, le stonature, la realtà.
Come è il tuo rapporto con la performance live?
Amo esibirmi dal vivo. La prima volta è stato da piccola insieme al coro della scuola e ho continuato con il teatro, credevo che avrei fatto quello nella vita. Dopo un anno di Accademia d’arte drammatica mi sono buttata sullo studio del cinema ma spesso ripensavo a quella sensazione, quel misto di ansia e adrenalina e mi mancava. Ora durante i miei live posso fare la sciocca-chic e sfruttare la mia indole di soubrette, racconto aneddoti, proietto i visual, mi emoziono, è un’estensione del mio mondo. Mi manca una band con cui condividere quei momenti ma ci arriverò.
Hai delle artiste/degli artisti che ammiri in modo particolare?
Amo tantissimo Renzo Arbore, non è una risposta molto moderna ma è un genio assoluto, mi ispiro molto al suo stile. La Carrà è stata e sempre sarà una delle mie icone e se dovessi dirti come vorrei essere “da grande” il mio pensiero va subito a lei. Musicalmente amo le band francesi, l’Imperatrice, i Phoenix. I loro live sono perfetti. Nell’Italia di oggi apprezzo molto la visceralità di David Blank, Il sound di Popa, la voce di Mille e credo che Angelina Mango abbia un’energia sul palco molto spontanea e fresca, spero non venga fagocitata dall’industria musicale. La realtà che si è creata dentro TALENTO, la mia etichetta, è di assoluta libertà e onestà intellettuale, spero possa diventare un esempio di come si può fare musica anche senza stare dentro certi schemi.
Ph.: Sandra Defeudis
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