Dal piacere per le sfortune altrui alla voglia di viaggiare: 10 parole straniere bellissime che riassumono 10 emozioni e per cui in Italia manca un vocabolo unico
Dieci parole straniere che in italiano non esistono ma che riassumono emozioni che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita: dalla nostalgia dell’ospite all’ansia provocata dal tempo che passa, ci sono tantissime sensazioni che non possiamo definire con un solo termine perché la nostra lingua non lo prevede.
Nonostante l'italiano sia una lingua ricchissima, infatti, pieno com’è di sinonimi, termini aulici, latinismi e grecismi, si rivela estremamente povero di quelli che potremmo definire vocaboli emozionali, che riassumono cioè in un solo termine una sensazione dell'animo complessa.
Ecco dunque, senza troppo malu (che in indonesiano vuol dire sentirsi inferiori a qualcuno), le dieci parole che vorremmo trovare nello Zingarelli tradotte con parole nostre.
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Awumbuk: la nostalgia dell'ospite
È una parola coniata dagli indigeni della Papua Nuova Guinea per esprimere la nostalgia provocata dalla partenza dell’ospite. Un vuoto che assale l’anfitrione, improvvisamente malinconico non appena si ritrova con la casa silenziosa dopo che il tal amico o parente ha levato le tende.
La tristezza che ne deriva è tale che il popolo Baining compie un rituale per scacciare questa brutta sensazione: riempie d’acqua una scodella affinché l’energia negativa ci finisca dentro, poi la butta assieme alla nostalgia (che pare si depositi sul fondo, tipo l’olio dello struccante bifasico per il trucco waterpfroof).
Nonostante per gli italiani valga più spesso la legge dell’ospite-branzino (che dopo due giorni incomincia a puzzare), anche noi proviamo l’awumbuk, a volte in maniera talmente struggente che ci verrebbe da gridare all'ostite in partenza attraverso la finestra di non andarsene.
Torschlusspanik: ansia da deadline
Il significato letterale è panico da porta chiusa e in tedesco indica quell’ansia provocata dalla vicinanza di una deadline.
Che sia consegnare un lavoro che il nostro capo ci chiede continuamente, o non fare scadere la Smartbox appoggiata sul comodino da mesi
La vita è intrisa di scadenze che ci attanagliano, spade di Damocle pronte a sciabolarci la joie de vivre e a renderci le nottate insonni.
La quasi impronunciabile torschlusspanik fu coniata nel Medioevo per descrivere la preoccupazione che si provava nel vedere avanzare l’esercito nemico sapendo che le truppe di difesa non sarebbero arrivate in tempo per proteggere il castello.
Insomma: l'ansia che attanaglia quando ci si rende conto che è arrivata la nostra ora.
Ilinx: impulso alla distruzione
Vi è mai capitato di maneggiare qualcosa di preziosissimo, tipo una porcellana del Settecento di una collezionista d’arte amica di famiglia, e di sentire l’irrefrenabile impulso di romperla?
Se sì, sappiate che non è solo un vostro problema.
I francesi lo chiamano ilinx e pare che questo eccitamento all’idea della distruzione sia normalissimo: in una società che ci ha costretti a fare i bravi, impartendoci codici morali, stradali, etici, comportamentali nonché a barre, è comprensibile coltivare nel profondo la voglia di spaccare tutto.
Perché la nostra natura ci porta istintivamente a creare caos e scompiglio.
Malu: sentirsi inferiori a qualcuno
Dall’Indonesia arriva il termine che indica quella spiacevole sensazione che proviamo quando ci sentiamo inferiori a qualcun altro.
Se vi siete ritrovati bloccati in ascensore con un fisico nucleare, un Premio Nobel per la letteratura o anche solo con l’amministratore delegato della vostra azienda, magari vi sarà capitato di non riuscire a spiccicare parola, bloccati dalla frustrazione e dal senso d’inferiorità.
Non è un male: è un malu!
Gigil: pizzicare con affetto
Nella lingua delle Filippine, l'astrusa parolina gigil esprime quel bizzarro ma comunissimo desiderio di dare un lieve pizzicotto o un buffetto a qualcuno cui vogliamo bene.
Si tratta di una voglia irrefrenabile che ci assale quando siamo con il fidanzato, con nostra sorella oppure nei confronti di una nipotina treenne, tanto più se un po’ cicciottella sulle cosciotte.
Alla tentazione del cioccolato a volte si può resistere ma al richiamo del gigil è praticamente impossibile.
Per noi esseri umani è come il motivetto “Ammazza la vecchia”, quello a cui nessun cartone animato può esimersi dal rispondere “col flit!” in Chi ha incastrato Roger Rabbit.
È inquietante l’idea di volere fare del male, anche se leggermente, a chi amiamo ma rassegnatevi: è innato nel nostro DNA.
Iktsuarpok: trepidante attesa
Questa parola Inuit indica la sensazione di smaniosa attesa che si prova quando si aspetta qualcuno.
Affacciarsi di continuo alla finestra per vedere se arriva, guardare costantemente il cellulare per controllare se ha chiamato sono sintomi acutissimi di questa sindrome emozionale che riguarda l’intero globo.
E negli ultimi anni ha incominciato ad affliggere anche chi aspetta l’arrivo di un corriere dopo un acquisto online.
Tanto più se si ha Amazon Prime.
Schadenfreude: godere delle disgrazie degli altri
È il piacere che si prova di fronte alle disgrazie altrui, mentre ci fingiamo dispiaciuti ma sotto sotto ridacchiamo in maniera godereccia.
Questo sentimento alquanto meschino potrebbe sembrare poco umano ma in verità è tipicamente insito nella nostra natura, quindi frequentissimo.
Non si tratta del nostro caro vecchio “mal comune, mezzo gaudio”, più accettabile per i benpensanti: lo Schadenfreude indica un danno che non ci tocca direttamente, una malasorte dell’altro, la sfortuna del vicino, quella che ci rende più lieti nel notare che stavolta è la nostra erba la più verde.
Chi dice di non averlo mai provato, mente spudoratamente.
Wanderlust: desiderio di viaggiare
C’è chi soffre di una vera ossessione del viaggiare che va sotto il nome di Wanderlust.
Si tratta di una sindrome che porta ad avere una voglia perenne di partire per fuggire in qualsiasi luogo del mondo, basta allontanarsi da dove si è già.
Il termine tedesco “Wanderlust” deriva dall’unione di “Wander” (girovagare) e “Lust” (desiderio) ed è l’unico esempio linguistico riguardante la malattia del viaggiatore.
In italiano “malattia del viaggiatore” fa subito pensare alla dissenteria, non certo alla voglia matta di decollare.
Nonostante la psicologia ritenga questa sindrome un modo per sfogare le proprie insoddisfazioni, alcune ricerche scientifiche hanno dimostrato che i wanderlaster ce l’hanno nel sangue nel vero senso del termine: sulla rivista Evolution and Human Behaviour è stata affermata l’esistenza del “gene del viaggio”, denominato appunto Gene di Wanderlust.
Gli addetti ai lavori lo chiamano DRD4 7r ed è il recettore della Dopamina D4 che regola il livello di curiosità e rende sensibili agli stimoli esterni.
Viraha: la distanza che fa sbocciare l'amore
Avete presente il detto Lontano dagli occhi, lontano dal cuore?
Ecco, esattamente il contrario.
Viraha è un vocabolo della lingua Hindi che indica la consapevolezza di amare qualcuno durante un periodo di separazione, per esempio quando l’altro è partito per un viaggio.
Hindi per cui, sarebbe il caso di farsi venire un po’ di wanderlust e andare a raggiungerlo.
Desbundar: spogliarsi delle inibizioni
Se a una festa avete scacciato la riluttanza (e l’amor proprio) lasciandovi trascinare in un deprecabile trenino con tanto di trombetta e cappellino di carta, avete sperimentato quello che in portoghese va sotto il nome di desbundar.
Altro non è se non la capacità di liberarsi dei freni inibitori quando ci si diverte, mostrandosi senza maschere.
Lasciate ogni creanza, voi ch’entrate.
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