Ho provato a mangiare vegano (fuori) in diverse città: ecco com'è andata
Mangiare fuori per un vegano può essere un incubo, se non capita nella città giusta: il nostro esperimento in quattro città d'Italia, da Catania a Milano
Il mondo vegano suscita sempre emozioni contrastanti. C’è chi lo critica, prendendo i suoi cultori come estremisti invasati, c’è chi lo elogia per la dedizione e la caparbietà e poi c’è chi, come noi, ne è incuriosito.
A prescindere dal credo, abbiamo deciso di provare a mangiare vegano in diverse città italiane, relativamente simili per dimensione, ma molto diverse da un punto di vista culinario e abitudinario.
E abbiamo scoperto (non troppo a sorpresa) che è facile essere un vegano a Milano, decisamente meno in Sicilia.
Perché se è facile essere vegano se vai nei posti dove preparano solo quello che cerchi, più difficile è trovarsi in un ristorante con amici (non vegani) nella patria del fritto, del pesce, della mozzarella, del guanciale o del burro e riuscire in qualche modo a sopravvivere.
Le città prese in esame sono Catania, Napoli, Roma e Milano. Un viaggio da sud a nord che ci ha aperto gli occhi (e anche un po' lo stomaco in realtà).
(Continua sotto la foto)
Catania
Colazione: Riesco a cavarmela facilmente con un bicchiere di latte di mandorla freddo e dei biscotti al farro, senza uova né burro. Ma solo perché l'ho fatta a casa dopo una spesa oculata la sera prima.
Pranzo: andiamo in uno dei bar/pasticceria/rosticceria più rinomati della città e, guardando il bancone, mi rendo conto che ogni cosa sulla quale punto gli occhi ha qualche alimento vietato.
Passino i vari piatti freddi a base di pesce, passi l’arancino al ragù, quello al burro, quello al salmone e persino quello agli spinaci (c’è comunque il burro è la panatura è rinforzata con le uova).
Rivolgo il mio sguardo alle cartocciate (delle sorte di panzerotti lievitati) che però scopro essere a base di strutto.
Provo a chiedere al barista che alla mia richiesta sfoggia un’espressione che mi fa temere per la sua salute, quasi fosse preso da un ictus o un attacco di panico.
Intuisco che non c’è molto da fare e decido di prendere una porzione di pasta alla norma, rimuovendo la ricotta salata già grattugiata sopra.
Cena: ristorante di pesce e tipicità locali. Leggo il menu quel tanto che basta per farmi venire la bava alla bocca e maledirmi per essermi sottoposta a questa tortura (vegani che leggete, perdonatemi, sono neofita).
Tra cruditè, carpacci, marinature, frittelline e frutti di mare io ordino una pasta al pesto di pistacchio fuori menu, senza pancetta e senza panna. Mi vengono ancora le lacrime al solo pensiero.
Napoli
Su tre giorni di vacanza a Napoli, sacrificarne uno è stato un gesto d’amore verso il mio lavoro.
Colazione: niente latte, solo caffè. E mentre il buffet dell’albergo proponeva sfogliatelle e torte, io mi sono accontentata di fette biscottate e marmellata.
Pranzo: volendo sfruttare ogni minuto per visitare il più possibile la città, per pranzo ci siamo tuffati sullo street food, con il classico cuoppo.
Mentre il mio fidanzato si rimpinzava di pesce, supplì e panzerotti fritti, io mi sono dovuta accontentare delle zeppole (impasto della pizza fatto a palline e – neanche a dirlo – fritto).
Cena: cosa vuoi fare a Napoli se non mangiare la pizza. E quindi eccoci sul lungomare, con vista Castel dell’Ovo, golfo e Vesuvio sullo sfondo.
Mi concentro sul menu, ma non c’è nulla che non abbia bufala, provola o ricotta. Mi rifiuto di giocarmi quella possibilità per una banale pizza solo pomodoro e prendo dei paccheri con pomodorini e basilico. Ottimi, ma una semplice margherita in quel momento mi avrebbe dato forse più gioia che ricevere una Birkin in regalo. Amen.
Roma
Colazione: entriamo nel primo bar sotto casa, che per fortuna ha un’incredibile scelta di brioche, tra cui anche quella vegana, piuttosto buona. La accompagno con un cappuccino con latte di soia e sono pronta per partire.
Pranzo: fa caldo e optiamo per un gelato, ed ecco la sorpresa: ben tre gusti vegani, cioccolato, caffè e nocciola. Anche questa è fatta.
Cena: la sera andiamo a cena fuori in un locale poco distante, che fa stuzzicherie e hamburger. E qui succede il miracolo. Trovo una proposta veggy, con hamburger di ceci artigianale con pane di sesamo, pomodoro, lattuga e una salsa non ben definita.
Io odio i legumi, il che rende questo esperimento ben più difficile, ma butto giù. Poi un bel contorno di patatine fritte e passa la paura.
Milano
Colazione: brioche e cappuccino, vegan edition, come a Roma.
Pranzo: durante la pausa pranzo mi trovo in zona Tortona, una delle più alla moda e di conseguenza più preparate dal punto di vista alimentare per accontentare i gusti e i bisogni di tutti. E così è.
Mi coccolo con dei noodle di zucchine al succo di cedro, pomodoro, rucola, noci, pickled di carote. Obiettivamente molto buoni.
Cena: andiamo in un locale che propone cucina asiatica dove mi godo meravigliosi involtini vietnamiti (con carota, zucchine, vermicelli di soia, rapa e cipollotto) e un bel piatto a base di verdure e ananas in brodo di latte di cocco con funghi e curry thailandese.
Conclusioni
Tra Catania e Milano, passando per Napoli e Roma, le differenze sono profonde ed è abbastanza evidente come nelle due principali città d’Italia ci sia una sensibilità maggiore verso un pubblico diverso e variegato.
A Catania e Napoli l’alimentazione vegana non è ancora entrata a far parte della quotidianità, non è vista come un’alternativa, ma come un’eccezione.
Per questo, se si vuole avere scelta bisogna andare nei ristoranti vegani. Insomma, c’è da migliorare.
(Nella foto, diapositiva della pizza che ho ordinato l'ultimo giorno a Napoli, per rifarmi della sofferenza).
© Riproduzione riservata