Chiara Conti: «La notte in cui ho imparato a difendermi»
Bionda, la pelle diafana, i lineamenti delicati. E un corpo minuto. Mi sembra di avere davanti una donna dolce e molto mite. Mai prima impressione è stata meno veritiera.
Chiara Conti, 40 anni, attrice fiorentina che ha lavorato in teatro, in tv e al cinema con Marco Bellocchio, Vittorio Sindoni, Franco Battiato, e ora reduce dal successo tv di 1993, la serie su Tangentopoli, ha una forza segreta: nel corso dell’intervista mi ha raccontato di aver evitato per un soffio una violenza sessuale. Grazie alla forza con cui ha lottato contro l’aggressore. Riuscendo, alla fine, a neutralizzarlo con le mosse della disperazione e del krav maga. Ho sentito tanto parlare di questa tecnica di difesa israeliana. Ma le chiedo di raccontare tutto dall’inizio.
Come si è trovata in quella situazione di pericolo?
«Quattro anni fa, alloggiavo in un famoso hotel milanese. Rientrando dopo una cena di lavoro mi sono trovata in ascensore con un ragazzo giovane: erano circa le 22,30. Anche lui andava, guarda caso, al terzo piano, ma mentre stavo per aprire la porta della mia stanza mi ha dato un forte colpo alla testa, sono caduta, lui ha chiuso la porta e abbiamo iniziato a lottare. Continuava a gridarmi: “Stai zitta”, e intanto tentava di spogliarmi».
Non era paralizzata dalla paura?
«Le reazioni alla violenza sono soggettive. A me è uscita la voce per gridare e la forza fisica per reagire. Tutte le strategie del krav maga, la disciplina di difesa personale usata in Israele, che avevo imparato molto tempo prima, mi sono tornate in mente. Non avevo chiavi o tacchi a spillo da usare come armi: mi sono aiutata con morsi, graffi, calci. E dita negli occhi. Solo dopo 20 minuti di lotta e urla ho capito che le camere erano insonorizzate. Ero perduta. E allora ho provato a guadagnare il letto per afferrare il telefono. Lui è riuscito a far volare la cornetta, ma ormai la chiamata alla reception era partita. Tre persone dell’hotel sono arrivate subito, ma hanno dovuto suonare il campanello perché il mio assalitore aveva premuto il pulsante “non disturbare” prima di buttarmi nella stanza».
Conosceva bene la struttura.
«Non solo. Secondo me non era la prima volta. E comunque dal bar di un grande hotel non dovrebbe essere così facile salire alle camere. Quando sono arrivati i soccorsi sono svenuta. Ero stremata. Poi è sopraggiunta la Polizia, mi hanno portato in ospedale e alle tre del mattino hanno arrestato il mio assalitore».
Che cosa gli è successo, poi?
«Un anno dopo c’è stato il processo. Gli hanno dato cinque anni. Nonostante sia riuscita per miracolo a non essere violentata, ho dovuto andare in psicoterapia per un anno e mezzo».
Il grande albergo ha preso provvedimenti per la sicurezza dopo questo episodio?
«Gli ascensori continuano a essere incustoditi. Non ho ricevuto neanche delle scuse da loro. E nessun risarcimento. Ma io vado avanti: quest’estate farò un cortometraggio dedicato a questa storia, per fare luce sulla violenza contro le donne».
Sarà la protagonista?
«No. Sono la regista. Ho scritto il soggetto e mi sono procurata un finanziamento. Il set è una casa, non un hotel».
« Nonostante sia riuscita per miracolo a non essere violentata, ho dovuto andare in psicoterapia per un anno e mezzo »
Che cosa consiglia alle donne?
«Di imparare tecniche di difesa personale. E se hanno già subìto violenza, di farsi aiutare. Perché “dopo” gli effetti della violenza continuano, può anche scattare uno strano meccanismo psicologico per cui la vittima finisce per pensare che l’attenzione violenta è pur sempre una forma di amore, che può creare dipendenza e perfino mancarti».
A proposito di uomini, donne e pari opportunità: perché in Italia le attrici non si battono più di tanto contro la diversità di stipendi tra loro e i colleghi?
«Da noi si ha forse più paura di esporsi, dare fastidio a chi ha potere e dà lavoro. Eppure il peso della diversità di opportunità si sente: le donne fanno più fatica a farsi valere. E se sbatti la porta in faccia a un regista, o un produttore, che ti offre un cachet basso, temi che arrivi un’attrice giovane che accetta tutto pur d’iniziare a lavorare. La crisi ha accentuato questo meccanismo».
Per la carenza di ruoli forti, dopo i 40 anni, le attrici americane stanno facendo grandi lotte.
«E sono battaglie giuste. Il cinema dovrebbe avere più ruoli per le donne. Ma non è dappertutto così. Trovo esasperato il culto della gioventù che circonda le donne americane, e che in Italia per fortuna si sente un po’ meno».
Lei i 40 li ha appena compiuti.
«Sì e sono consapevole che a 40 anni non posso più interpretare una ragazza. Ma allo stesso tempo ho ancora un fisico troppo giovanile per essere credibile nei panni della madre di un 18enne. Ecco, questa incertezza mi rende un po’ insicura».
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