Ditta Maglia Francesco: l'ombrello come una volta
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Una vita per gli ombrelli, anzi cinque. Tante sono le generazioni che hanno preservato, con passione e gelosia, la cultura di un accessorio intramontabile. Orgogliosi di un'artigianalità senza compromessi, Francesco Maglia e suo fratello Giorgio insegnano a ripararsi dalla pioggia. E dalle cadute di stile
Una vita per gli ombrelli, anzi cinque. Tante sono le generazioni che hanno preservato, con passione e gelosia, la cultura di un accessorio intramontabile. Orgogliosi di un'artigianalità senza compromessi, i milanesi Francesco Maglia e suo fratello Giorgio insegnano a ripararsi dalla pioggia. E dalle cadute di stile
Lo trovi nella bottega di via Ripamonti il quinto Francesco Maglia , classe 1942, da tutti ribattezzato Chino. Fiore d'eleganza e di arguzia, ma senza spocchia. Capelli bianchi, giacca in tweed e bretelle, ti parla con la voce roca per un cancro fortunosamente guarito. "Dicono che tenere aperti gli ombrelli in casa porti sfiga. Però mi sunt chi anca mo!", ironizza in dialetto milanese. Conservando la signorilità dell'uomo di mondo, che passa con disinvoltura dall'inglese al francese al tedesco. Merito dei tanti viaggi all'estero, munito sempre dello stesso equipaggiamento: una valigia con il campionario tessuti, l'altra con i bastoni da imbandire al cliente. "Una volta c'erano negozi solo di ombrelli e un centinaio di aziende artigiane. Ora, in tutta Italia, se ne contano sulla punta delle dita".
Qui però, tra scaffali che sono una vera camera del tesoro, si perpetua la stessa arte che ha avuto inizio nel lontano 1854 con il primo Francesco, discendente di onesti carbonai e taglialegna. Nel 1876 per merito sua la sede storica della fabbrica trasloca in corso di Porta Genova, la stessa che la guerra ha messo a dura prova. "Le fiamme hanno divorato tutto", racconta Chino, indicando il soffitto. "Vedete? Sono i cavi elettrici che abbiamo traslato da lì, quando nove anni fa abbiamo aperto in via Ripamonti". Tanto amore per la propria tradizione di famiglia esige il rispetto di ogni minuto passaggio; ce ne vogliono addirittura settanta prima che veda la luce un parapioggia che si rispetti e che possa figurare in alcuni tra i più selezionati e leggendari negozi come il londinese James Smith & Sons . Giorgio, con la moglie Laura, sorveglia la produzione. Ogni pezzo si esegue dietro precisa richiesta del cliente, perché ai Maglia non piace avere magazzino. Si parte dal bastone intero, in legno di frassino o malacca, frassino e nodoso bambù, finitura lucida oppure opaca, olivo e castano con e senza buccia. Niente ferro in caso di asta metallica, solo ottone che non arrugginisce. E poi un certosino assemblaggio di puntine, placca, doppia noce, cannola, molle, puntalino. Altrove si ritagliano gli spicchi di tessuto- in origine seta, poi sempre più cotone e poliestere- e li si lega a mano cucendoli alle stecche. "Noi le chiamiamo balene, ricordandoci di quando si facevano con i fanoni del cetaceo. Così un tempo si fabbricavano anche i corsetti delle donne". Infine ci si sbizzarrisce con l'impugnatura. Pelle bicolore, un esotico dente di facocero, la radice ritorta di una pianta. La squisitezza in più che fa la differenza? Le rosette di tessuto, come piccole giarrettiere arricciate, che vestono letteralmente le giunture e quei raffinati bottoni in madreperla a cui si allaccia la linguetta di chiusura.
Una qualità che incanta per fascino artigianale e cultura, ma che rischia di soccombere alla dozzinale concorrenza cinese. "Scriva che esiste un museo dell'ombrello a Gignese , unico al mondo. È importante", soggiunge Chino con affetto da paternale. E con un velo di amara malinconia che è anche la nostra.
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