Amelianna: aprite quell'armadio
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Intervista telefonica. All'altro capo una voce che ti sembra di conoscere da sempre, cordiale e vivace. “Inizio subito con una confessione. Il lavoro mi serve a giustificare una sindrome da acquisto compulsivo”.
Intervista telefonica. All'altro capo una voce che ti sembra di conoscere da sempre, cordiale e vivace. “Inizio subito con una confessione. Il lavoro mi serve a giustificare una sindrome da acquisto compulsivo”. Amelianna, stylist di professione, ironizza così sulla sua gigantesca raccolta di vestiti e accessori, un motivo di piacere prima ancora che una necessità professionale. “Ho affittato una portineria dismessa per organizzare il mio archivio, ma ormai non basta più. Ho tanta di quella roba che a volte me ne dimentico e ricompro lo stesso oggetto due volte”. Già da adolescente i mercatini erano la sua ossessione. “La domenica non esistono scampagnate per me. C'è chi va in giro in cerca di funghi e chi invece ha il fiuto per le bancarelle.” In questi casi basta un pizzico di furbizia per mettere a segno l'affare che neppure sogneresti. “Volevano vendermi un Azzaro degli anni '70 per cinque euro, spacciandolo per un Valentino. Per il venditore Valentino valeva molto di più, così con tre euro mi sono beccata una giacca da vera intenditrice”.
Come il cercatore d'oro che setaccia il fango per cavarne una pepita, Amelianna rovista tra montagne di stracci prima di scovare la rarità. “Voglio essere io a scegliere, per questo non mi interessa il vintage selezionato”. Energica e aperta alle sfide, a due donne deve i pezzi della collezione più cari. “Le scarpe Dior della nonna, la prima stilosa in famiglia. Più un paio di abiti appartenuti alla Fallaci, che mi ha donato suo nipote. Li ho indossati in Libano, perché lo spirito combattivo di Oriana mi proteggesse dal rischio di brutte disavventure. I vestiti funzionano un po' come talismani, non credi?”.
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