A qualche giorno dall'uscita del suo album Cosmotronic incontriamo Marco Jacopo Bianchi in arte Cosmo. Scoprite le foto esclusive e l'intervista di Sabrina Patilli
Cosmo è tante cose: un cantante e un musicista, ma anche un dj e un producer.
Le sue anime, all’apparenza contrastanti, convivono nel nuovo disco uscito il 12 gennaio, Cosmotronic: un doppio album con cui l’artista di Ivrea voleva stupire l’ascoltatore.
Obiettivo centrato in pieno. Abbiamo voluto conoscerlo meglio attraverso il nostro shooting e con l’intervista, dove è emersa la sua necessità di avere chiaro in testa il messaggio da comunicare, in ogni aspetto del progetto.
Cosmo
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Cosmotronic sta facendo parlare molto di sé in questi giorni…
Sono contento. Mi dicono di averlo trovato inaspettato, incredibile.
Tu volevi fare qualcosa di incredibile?
Sì, avevo in testa di fare qualcosa che fosse fuori dagli schemi, ma anche elementare, perché per me l’importante è sempre stato comunicare qualcosa alle persone.
L’album è diviso in due parti, che però forse non sono così distanti l’una dall’altra. È così?
Non volevo che le due cose fossero recepite come due pianeti distanti: il secondo disco, solo suonato, non è un esercizio di stile, ma un modo di scrittura differente. Io non sono solo un cantante, ho un’identità meno scontata, più ricca. Cosmo è un’entità multiforme e volevo che si vedesse.
Eppure ho letto che non ti piace definirti sperimentale…
Non mi interessa fare un disco per me, o per i miei amici. Sarebbe noioso. A me piace empatizzare con gli altri, comunicare, che è un termine che uso spesso.
Prima di diventare Cosmo eri professore. Come riuscivi a gestire queste due vite, da una parte insegnante, dall’altra musicista?
Vero. Insegnavo storia e italiano in una classe abbastanza turbolenta. Capitava che nel fine settimana fossi in tour con il gruppo con cui suonavo, i Drink to me, e poi il lunedì mattina mi trovassi in classe. A pezzi. Agli studenti non ho mai detto niente, poi l’hanno scoperto e, anziché ascoltarmi, volevano che cantassi canzoni.
Il disco è pieno di riferimenti alla tua vita, soprattutto famigliare…
Ma non sono espliciti. Il fatto è che io lavoro in maniera molto intima ai miei dischi: ho uno studio in casa, a Ivrea, e per forza tutta quella roba ci entra dentro. È spontaneo, alla fine parlo di quello che mi circonda.

Il fatto di esporti così tanto ti fa un po’ paura?
Prima sì. Mi sentivo quasi nudo. Ora sono a mio agio nel farlo ed è bello che dall’altra parte si percepisca autenticità, che poi è una parola che detesto.
Che importanza dai all’immagine nella tua musica?
Ho iniziato a dare peso all’immagine solo di recente. Ho sempre pensato di più a comprare strumenti che vestiti. Prima doveva quadrare la musica, poi c’era tutto il resto. Mi sono reso conto, però, che in un live devi curare l’aspetto visivo, fa parte di quello che vuoi comunicare, non puoi non pensarci.

Cosa intendi per moda?
La moda per me è un qualcosa di inatteso, di eccentrico. Qualcosa che rompe il quotidiano. È questa la parte che mi interessa.
È vero che ti piace la trap italiana?
Sì, molto. Mi piace lo stile di Sick Luke della Dark Polo Gang, Charlie Charles ma anche Ghali, Sferaebbasta, Achille Lauro. Una collaborazione con qualcuno di loro sarebbe interessante, soprattutto perché hanno un modo di lavorare diverso dal mio.
Il 21 febbraio partirà il tuo tour europeo, che poi dal 17 marzo continuerà in giro per l’Italia. Cosa dobbiamo aspettarci?
Ci saranno le mie canzoni, ma farò dal vivo anche le parti non cantate. Il live avrà anche la sua parte clubbing con una serie di ospiti, tra cui dj, produttori. Sarà un mini festival di musica elettronica, entri la sera ed esci fuori a tarda notte.
Words by Sabrina Patilli
Production: Sara Moschini
Fotografia: Marco Mezzani - Slapstudio
Moda: Francesca Crippa
Grooming: Vanessa Geraci
Thanks to Università degli Studi di Milano Bicocca
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