Se a metà degli anni Cinquanta, Brigitte Bardot non avesse accettato di girare un film a Saint Tropez, questo piccolo paradiso di fama internazionale sarebbe rimasto un villaggio di pescatori sconosciuto: i personaggi cambiano la storia e spesso, inconsapevolmente, entrano a far parte della tua.
Se a metà degli anni Cinquanta, Brigitte Bardot non avesse accettato di girare un film a Saint Tropez, questo piccolo paradiso di fama internazionale sarebbe rimasto un villaggio di pescatori sconosciuto: i personaggi cambiano la storia e spesso, inconsapevolmente, entrano a far parte della tua.
La mia vacanza a Saint Tropez ne ha prodotti diversi e come succede nei titoli di coda, a discrezione del regista, i miei personaggi sono elencati in ordine di apparizione.
Sylvie, la responsabile dell’accoglienza clienti dell’albergo, è colei che cerca di assicurarsi che la vacanza stia procedendo nel migliore dei modi.
Bionda, carina, look azzeccato, modi gentili, inglese perfetto: io la schivo come la peste.
Se nella prossima vita ho già deciso di vivere a Londra per un anno e di portarmi a casa la padronanza della lingua, in questa, vivo con la presunzione di poter parlare inglese alla stessa velocità supersonica con cui parlo italiano, ma siccome non ci riesco, nel momento in cui Sylvie mi porge qualche domanda di routine, vado in ansia. Mi concentro sulla posizione delle ED, delle S, sui tempi verbali, sui sostantivi, sui pronomi e di solito, escono combinazioni imbarazzanti che il pudore mi impedisce di riportare.
Meglio uscire, prendere la macchina e raggiungere la spiaggia, dove non mi viene chiesto nulla che esca dall’ordinario. La nostra preferita è quella del Club 55 di Ramatuelle. Sarà per la sua semplicità elegante, per il mood rilassato, per il profumo inebriante di pittosforo, ma forse più per i ragazzi che si occupano di parcheggiare le auto dei clienti: al confronto, i California Dream Man sono niente.
Il problema è che sembrano tutti innamorati di Giaco, si esaltano quando lo vedono, urlano il suo nome senza sbagliarlo e lo raggiungono ancora prima che possa entrare nel parcheggio, prendono possesso dell’auto ferma in colonna, e gli danno il cinque. Io, Emma e Carola non veniamo neppure calcolate. Come se non bastasse, Giaco ha i suoi ammiratori anche in spiaggia.
John si annuncia con ‘All around the world’ di Lisa Stansfield, prima arriva la musica, poi un fascio di bolle di sapone e infine lui: un ragazzo di colore che si vanta di avere ottime capacità nell’arte del massaggio. Cerca di convincere Giaco con il suo slogan: ‘are you ready daddy?’, ma lui non ha ancora ceduto.
A Saint Tropez è tutto magico, infatti ci sono i maghi. Si esibiscono nei ristoranti, ci tengono compagnia tra il dolce e il caffè e noi ne abbiamo due: uno è un fenomeno, l’altro no. Per non rovinare la carriera del secondo, preferisco non chiamarli per nome: gli darò quello di una carta pescata a caso dal mazzo: uno è il re di cuori, l’altro il due di picche.
Il primo fa comparire una Birkin sul tavolo solo schioccando le dita, l’altro è talmente stufo dei soliti giochetti che ti svela pure i trucchi del mestiere: vuole cederti il posto. Lo abbiamo visto una volta sola, poi è sparito: puff.
La signora di Lulù — il mio negozio ufficiale di abbigliamento mare — quest’anno, invece, non si è vista per niente, era un po’ anziana: speriamo bene. E nonostante i negozi ci abbiano dato modo di conoscere parecchi personaggi divertenti, sono i ristoranti che hanno messo in scena i veri attori.
Emma vive di tennis e sushi, Carola di balletti e carboidrati. Trovare un giusto compromesso per portarle a cena e accontentarle entrambe sembra impossibile, ma a Saint Tropez non lo è: la soluzione si chiama Le Quai. Il ristorante sul porto dove cucinano sushi e le ballerine fanno spettacoli.
A sacrificarmi sono solo io: le ballerine hanno venticinque anni di meno, un décolleté di tutto rispetto e un posteriore che sembra sollevato dal getto d’aria di un compressore.
“Papà, hai visto la ballerina rossa com’è bella? Balla come Beyoncé!”
Uno contro tutti.
A salvarmi da questa congiura è Senequier, il mio ristorante preferito.
Anche lui è sulla via del porto, il primo di una lunga fila di locali con insegne al neon, che illuminano il lato destro della strada rubando la scena agli yacht mozzafiato attraccati dalla parte opposta.
Le persone camminano e io le osservo: mi piace pensare che possano suggerirmi una sfumatura, un gesto, una reazione, e tutte sono curiose. Sembra che non sappiano da che parte guardare, verso le barche, verso i clienti che sono seduti ai tavoli, verso la Capoeira che sta per esibirsi. E stasera, seduta su questa sedia rossa che assomiglia a un trono, posso godermi tutto lo spettacolo.
Da Senequier si mangia bene, ma vengo qui solo per Jean-Robert De la Cruz, il direttore, la versione francese di Julian di American Gigolò — solo con trent’anni di più, anche se portati benissimo.
Basta guardarlo in faccia per capire l’idea che ha di sé, la sua espressione ricorrente è traducibile in: ‘mi dispiace, io so’ io, e voi non siete un c***o.’ In pratica, un Marchese del Grillo in versione tropezienne, ma raffinato e gentile.
È lui a occuparsi di Karl Lagerfeld, che tutte le sere, alla stessa ora, viene a sedersi qui per mangiare il gelato.
Eccolo, sta arrivando.
Il mio tavolo è distante dal suo, ma riesco a vederlo mentre va a sedersi: ha cambiato compagnia, non ci sono più Brad Kroenig e i suoi bambini, è con Baptiste Giabiconi, un altro dei suoi modelli prediletti.
Emma e Carola sono attratte da Karl, ma la loro è una curiosità più intellettuale che indiscreta, lo studiano. Solo qualche sbirciatina ogni tanto, giusto per non dare nell’occhio, e fanno considerazioni riguardo al suo aspetto:
“Sta meglio con la barba, è più misterioso.” dice Carola.
“Porta sempre gli occhiali, anche di sera: Karl è sempre misterioso.” precisa Emma.
“E come hai detto che si chiama il ragazzo che è con lui?” mi chiede Giaco.
“Baptiste.”
“Mamma, sai che Karl gli ha appena fatto assaggiare il gelato?”
Carola me lo dice stupita, quasi intenerita da quel gesto.
Non posso voltarmi a guardare: mi scoprirebbe, e se una parte di me ringrazia per essere seduta di spalle, l’altra si dispiace per essersi persa una scena epica. Quella in cui uno dei pilastri della moda imbocca uno dei suoi pupilli, come un bambino.
“Ti sarà solo sembrato.” dico in tono sommario per chiudere in fretta l’argomento.
Ma Carola ha già dimenticato Karl, Baptiste e pure il gelato: è arrivato Mingo e ora, esiste solo lui.
Mingo è ‘il capo della Capoeira.’ Ha un fisico da infarto, due occhi dolcissimi e un sorriso che scioglie. Carola lo ha ufficialmente decretato il più bello di Saint Tropez — Para Você, Para Você.
“È anche più bello di Justin Bieber.” esclama mentre lo vede arrivare.
Vorrei dire qualcosa, tipo: ‘papà è più bello’, ma non sarei credibile, meglio dirottare l’attenzione su altro.
“Nella prossima vita,” dico ad alta voce, quasi fosse un proclama, “quella che verrà dopo aver imparato a parlare inglese alla velocità della luce, farò la ballerina al Le Quai.”
“Mamma, ma tu sei piatta.”
Lo dicono tutte e due quasi all’unisono.
“Però mi muovo bene.”
E prima che possano mettermi in ulteriore imbarazzo — davanti al loro padre — elencando altre differenze tra le ballerine e me, Mingo e ‘l’amici sua’ cominciano a esibirsi.
Il rullo di tamburi, ci mette tutti sull’attenti.
Emma e Carola, ormai entrare a far parte del team, vengono chiamate dai ragazzi per reggere una corda da due estremità, alzano le braccia più che possono e fissano l’altezza che Mingo dovrà superare con un salto: la tensione è altissima.
Io e Giaco rimaniamo seduti, lo vediamo prendere la rincorsa e spiccare il volo: una piroetta, un balzo, l’applauso generale.
Lo spettacolo è sempre lo stesso, ma è la nostra serata a non essere come le altre: domani partiamo e dobbiamo salutare.
Raggiungiamo le bimbe in strada e promettiamo di rivederci l’anno prossimo, ma Carola piange tutte le lacrime che ha in corpo: sembra me quando muore Marley in ‘Io e Marley.’
Anche Mingo le dice ciao con gli occhi lucidi, le dà un bacio sulla fronte e si allontana.
Torniamo a tavola, cercando di consolarla, ma è la Mrs. Doubfire del porto a restituirle il sorriso.
Una copia fedelissima all’originale: stessi vestiti, stessi occhiali, stessa parrucca.
È identica. Se non fosse che viaggia a bordo di una motoretta velocissima, mi verrebbe da rincorrerla per fargli una foto: dove lo trovo un altro pazzo che si veste così?
E mentre giunge l’ora di chiedere il conto,
una coppia di signori anziani si avvicina a uno degli yacht più belli: La Gazzella.
Le luci della barca sono i loro riflettori, sono stelle di Hollywood. Si tengono per mano, si guardano e da dietro quegli occhiali da vista — uno è presbite, l’altra miope — riesco a vedere i loro sguardi. Forse non sono carichi di passione ardente, ma sanno che significa avere una forte intesa.
Mi volto verso Giaco, anche lui li sta osservando: sta pensando, lo so.
“Enri, se quelli fossimo noi tra qualche anno?” mi chiede sorridendo.
“Ti dirò: invecchiando, mi vedrei meglio con uno stile più rock di quello della signora, ma per il resto, direi che non è male come prospettiva.”

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