«La pace degli ostaggi»: l'editoriale di Silvia Grilli

Due anni dopo il sanguinoso attacco di Hamas a Israele, il 7 ottobre 2023, le vittime di quel pogrom sono state trasformate in carnefici nelle manifestazioni di questi giorni. Lo striscione “7 ottobre giornata della resistenza palestinese”, con i dimostranti che urlavano «assassini» agli ebrei, è stato esibito senza incertezza nei cortei.
Lo slogan «from the River to the Sea (dal fiume al mare)», che sottintende la cancellazione dello Stato d’Israele, è stato gridato senza dubbi.
Il sindaco di Reggio Emilia, che aveva chiesto la fine di quello che ha definito «genocidio», ma anche la liberazione degli ostaggi israeliani mentre premiava la relatrice speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese, è stato pesantemente fischiato e costretto all’abiura.
L’antisionismo ha trovato la sua giustificazione. Le immagini dei bambini uccisi, feriti, terrorizzati sotto il fuoco israeliano, la fame usata come arma di guerra e l’esodo della povera gente palestinese hanno trafitto le coscienze. La strage dei civili fa sì che la maggioranza dell’umanità condanni gli ebrei per “genocidio”.
Sembra importi a pochi qui in Italia della liberazione degli ostaggi vivi o morti nei tunnel di Gaza. E a pochi persino del piano di Donald Trump per la pace, che ha un consenso generalizzato nei Paesi arabi, prevede l’immediato cessate il fuoco, il ritorno a casa dei rapiti, ed è stato parzialmente accettato da Benjamin Netanyahu e anche da Hamas. Abbiamo visto Trump fallire con l’Ucraina, speriamo non fallisca anche qui.
Gli ebrei, anche quelli che protestano contro Netanyahu, hanno una necessità vitale: esistere. Israele è in guerra da 77 anni, assediato da nemici che vorrebbero cancellarlo. Per molti israeliani, il massacro e la presa degli ostaggi del 7 ottobre hanno significato rivivere l’Olocausto. Hanno perso figli, genitori. Tutti hanno un familiare nell’esercito. Un futuro in cui vivere in pace, senza essere continuamente aggrediti, conta per loro più del venire considerati disumani dal resto del mondo.
Per un popolo stremato come quello palestinese, la reazione brutale d’Israele è la rivisitazione della tragedia del 1948, quando la sciagurata scelta araba di fare guerra agli ebrei portò esodo e devastazione. I palestinesi hanno perso vite e case. Per i bambini sopravvissuti l’esistenza è solo trauma. Gaza è diventata la terra dei funerali, sacrificata dal terrorismo islamico e distrutta da Israele.
Questo piano di pace imperfetto apre uno spiraglio. Sia gli israeliani sia i palestinesi chiedono il cessate il fuoco. Preghiamo perché finisca questa intollerabile guerra e, due anni dopo il 7 ottobre, si liberino gli ostaggi.
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