Julia Ronnqvist Buzzetti: Forse non tutti sanno che...


“Forse non tutti sanno che…” è una rubrica della Settimana Enigmistica che mi ha sempre dato particolare godimento.
Questo celebre periodico nasce nel 1932 dall’ingegnere sardo Giorgio Sisini, ma viene stampato per la prima volta nel 1931. Nata legalmente in Via Enrico Nöe 43 a Milano, la redazione trova poi sede a Palazzo Vittoria in Cinque Giornate e la caratteristica più particolare sta proprio nella sua autosufficienza: dalla cartiera, alla tipografia, fino agli stabilimenti per la produzione di inchiostro. Un luogo illuminato che raccoglie in questa rubrica piccole narrazioni di cultura generale: può diventare uno spunto di conversazione o di riflessione, e in questa modalità vorrei proporvi alcuni momenti e figure della nostra storia italiana.

Rimaniamo su Milano con un sarto d’eccezione e collezionista appassionato. Ho scoperto la storia di Adriano Pallini (1897-1955) nel 2017 in università, un sarto teramano che a partire dagli anni Venti grazie al suo atelier in via dell'Orso a Milano, avviò una delle più importanti collezioni private di pittura e scultura del Novecento. Amico e sensibile confidente di artisti e intellettuali dell’epoca, accoglieva e vestiva figure come Giorgio de Chirico, Massimo Campigli, Piero Marussig, Arturo Martini, Mario Sironi, Achille Funi, Pompeo Borra e Lucio Fontana. Nel 1956 a seguito della sua prematura dipartita, amici e famigliari realizzarono un libro per ricordarlo, con brevi scritti e immagini delle opere, dando vita ad una preziosa edizione limitata di 250 volumi.

Riporto qui due dediche che rendono il lustro di questa raccolta ma anche l’animo elegante di quest’uomo.
Lucio Fontana per esempio si avvicinò a Pallini proprio per chiedere di poter far parte della sua selezione: «Quando, per la prima volta, molto giovane, avvicinai Pallini, per un cambio, più che la necessità dell'abito fu per l'ambizione di entrare nella sua collezione, mi accolse con gentilezza, e senza polemizzare, come se mi conoscesse da lungo tempo, e mancasse alla sua collezione proprio un mio lavoro, mi offerse la sua stima».
Massimo Campigli fu invece un grande amico e ce lo ricorda in questo modo: «Ad ogni mio arrivo a Milano la prima visita era per te, Adriano, amico di tutti i miei amici, di tutti il confidente, e di tutti sapevi parlare con animo benevolo e delicato. Volevi che anch'io andassi in giro come un signore, fin dai tempi di Via dell'Orso, quando i miei quadri non li voleva ancora nessuno. Non ti avrò mai dato una soddisfazione. I tuoi vestiti non li sapevo portare, sempre macchiato, con le tasche gonfie e con la cintola allentata. E tornavi a rivestirmi, con un sorriso rassegnato».

Amini Tappeti collabora con l'archivio Fede Cheti dal 2020
A partire dagli anni Trenta, Milano accolse Fede Cheti (1905 - 1979): savonese, imprenditrice nell’industria del tessuto e della moda. Cosmopolita, colta e dinamica, frequentava sia il mondo dell’arte, da Peggy Guggenheim a Carlo Cardazzo, che dell’architettura, lavorò a molteplici Triennali milanesi e arrivò ad esporre il suo lavoro in tutto il mondo. Si distinse per la lungimirante collaborazione con figure del calibro di Giò Ponti, Lucio Fontana, Giorgio de Chirico, Mario Sironi, Filippo de Pisis, dai quali acquistava i bozzetti dei disegni, diventandone così proprietaria. Per questo motivo sui suoi tappeti la firma è sempre del marchio “Fede Cheti” e mai degli artisti (ad eccezione di René Gruau, l’unico a cui concesse di mantenerla).
Ad oggi l’archivio Fede Cheti collabora con Amini Tappeti dal 2020 e riprende alcune delle fantasie più iconiche, tra cui le splendide grafiche di Gruau. La stilista milanese Biki in un’intervista di quei tempi la definisce: «una donna ribelle, insofferente, ansiosa di sapere, giramondo; con la fama nel destino».
Sfogliando il sito di Amini, vi imbatterete in un altro grande creativo italiano, Bruno Munari (1907-1998) e il titolo del suo tappeto lo definisce alla perfezione “Viaggio nella fantasia”. Se dovessi però dire quale degli oggetti preferisco di Munari è sicuramente l’ironica sedia per visite brevissime realizzata nel 1945 per Zanotta. La descrizione recita: «Quando gli ospiti sono senza sorriso. Se la vita corre veloce, se il tempo accelera l’esistenza, se la frenesia ruba il tempo. Allora il sedile sarà inclinato, la seduta più corta, lo schienale più alto: la sedia sarà per visite brevissime».

“Intervista impossibile” su Vogue di giugno 1936 - Stalin vs Schiaparelli
Tra la fine del 1935, inizio 1936, Elsa Schiaparelli (1890-1973), si trovava in viaggio per la Russia di Stalin sulla tratta Transiberiana. Nutrita a vodka e caviale - tornerà magrissima - la stilista e sarta italiana attiva su Parigi era stata scelta per definire le vesti della “donna media sovietica”. Presentò un modello elegante, assolutamente in linea con il suo gusto ma adattato alle necessità sovietiche: versatilità e lunga tenuta. Un abito nero, con colletto alto, consono per ogni occasione, dall’utilizzo sia diurno che serale. Era pensato insieme ad un cappotto rosso a bottoni neri e un copricapo di lana lavorato a maglia con chiusura a zip. La ricezione però non portò ai risultati sperati, non convinse, forse per la semplicità, forse per le tasche, che si dice fossero troppo grandi e che questo poteva attirare l’attenzione dei ladri sui mezzi pubblici, ma potrebbe anche essere perché non pronti a realizzare un abito di quella tipologia. In ogni caso, questa soluzione non venne mai prodotta in serie, anche se le voci si diffusero: Schiaparelli disegna l’abito che vestirà 40 milioni di russe.
Una bellissima vignetta di Miguel Covarrubias “Stalin vs Schiaparelli”, ci ricorda questo momento, per un articolo della serie “Intervista impossibile” su Vogue di giugno 1936. Andate a leggervela!
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