Sennait Ghebreab: la mia vita a Londra tra talento, opportunità e coraggio

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Sennait Ghebreab è una scrittrice, giornalista, consulente e insegnante che si occupa di moda e connessioni multiculturali da anni ed è la voce che vogliamo farvi ascoltare oggi




"La fortuna non esiste. Esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione."

Questa frase, presa in prestito da Seneca, mi accompagna da anni. Mi chiamo Sennait Ghebreab, sono nata a Milano da madre eritrea, e da 16 anni chiamo Londra "casa". Ma per capire davvero il mio percorso bisogna partire dall’inizio, dalla mia vita cominciata a Milano, dove sono nata e cresciuta.



Le mie origini: due culture, due mondi

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Sennait con sua madre in Liguria

Crescere in una casa dove ci sono due culture, si mangiano due cucine e si onorano due tradizioni ti insegna presto ad abbracciare la complessità.

Mia madre è arrivata in Italia dall’Eritrea, portando con sé non solo i suoi valori, ma anche la forza di ricominciare e le sue mille regole, su tantissime cose. È lei ad avermi insegnato a non temere il cambiamento, a vivere con disciplina e a credere nelle mie ambizioni. Da piccola spesso mi piaceva coricarmi leggendo l’Atlante. Mi piaceva immaginare viaggi, persone, mercati colorati e luoghi lontani. Ho sempre avuto una grande memoria visiva e sono sempre stata affascinata dalle forme dei paesi e continenti sulle mappe.

Anche oggi spesso mi piace andare a Notting Hill Market o a London Bridge Arcade a vedere i
banchetti, che vendono vecchie mappe di Londra o del mondo.

Quando ero piccola Londra la conoscevo da Mary Poppins, dalle notizie sulla famiglia reale e dal detto “Big Ben ha detto stop” (me lo diceva spesso un’amica di mamma quando mi veniva a prendere a scuola e passavo il pomeriggio da lei: era il suo modo unico di dire “Sennait adesso basta”).


Londra era solo una mappa tra tante. Ma un giorno sarebbe diventata la mia.

L’arrivo a Londra: London Met University e un nuovo inizio

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Sono arrivata a Londra nel 2008 per studiare alla London Metropolitan University. Avevo già una laurea e un altro master alle spalle, ma sentivo che l’internazionalità di Londra avrebbe potuto offrirmi qualcosa di diverso. L’idea iniziale era semplice: studiare e tornare a casa. Ma le cose belle, si sa, spesso accadono per caso… o per scelta.


Poco prima di finire il corso, ho trovato lavoro nel brand piú British che si possa immaginare. Il primo giorno di lavoro è stato da Burberry HQ, nel cuore pulsante della moda britannica. Ricordo ancora l’emozione, la paura quasi, di entrare in quell’head office. Eppure, quel timore si è trasformato in adrenalina pura. Un'energia positiva che ha alimentato la mia voglia di fare, di apprendere, di contribuire. Non mi sono più fermata. E da Burberry ho conosciuto amici e persone, con cui ancora ora dopo 16 anni e sono ancora in contatto.

La carriera nella moda: dall’ufficio alle aule

Dopo Burberry, sono passata a Matthew Williamson, (dove ho conosciuto Sara Moschini, con una card scritta a mano!), per poi passare a Pringle of Scotland e poi a Joseph, dove ho seguito
lo sviluppo business per i mercati EU, EMEA e Asia. Lavorare in queste realtà significa imparare in fretta a parlare il linguaggio del mercato globale e comprendere che la moda non è solo estetica: è economia, strategia, identità culturale.


Nel 2015 ho iniziato il mio percorso con Istituto Marangoni, prima come Academic Course
Leader per i corsi BA Business, BA Buying e BA Communication. Un ruolo che mi ha subito conquistata per la visione strategica e di sviluppo di tutto il dipartimento di Fashion Business. Adoro stare in classe e ho un team davvero fantastico.

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Sennait con i suoi studenti

Oggi coordino programmi che preparano i leader della moda del futuro. Parliamo di sostenibilità, blockchain, innovazione digitale, economia circolare: temi imprescindibili per chi vuole costruire un'industria più etica e lungimirante.

In aula come in azienda

Una classe, per me, è come un ufficio. Non insegno solo nozioni: cerco di stimolare la collaborazione, il pensiero critico, l’empatia. Credo profondamente che siamo le persone che incontriamo. E che l’innovazione nasca dall’incontro tra prospettive diverse. In aula, chiedo sempre ai miei studenti di mettersi nei panni dell’altro, di capire il contesto prima di proporre una soluzione.
Il mio ruolo va oltre l’insegnamento: sono mentore, ponte tra università e industry, facilitatrice di opportunità. La connessione tra studenti e mondo del lavoro è la chiave. Non basta sapere, bisogna anche saper fare.

Studiare a Londra vs studiare in Italia

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Una lezione con l'ospite John Muleba

Mi chiedono spesso se ci sia differenza tra studiare in Italia e nel Regno Unito. Sì, c’è. In Italia ho ricevuto una solida formazione teorica, approfondita, puntuale. Ma Londra mi ha insegnato ad applicare, a dialogare con l’industria, a pensare in chiave progettuale. Qui lo studente è chiamato a mettersi in gioco ogni giorno: con progetti reali, workshop con aziende, confronti diretti con professionisti.
Come program leader dei corsi, ho sempre dato grande importanza al coinvolgimento diretto degli studenti con il mondo reale, portando regolarmente guest speakers e integrando nei moduli business case concreti con progetti aziendali reali. Nel tempo, ho anche ideato un format originale che ha riscosso grande successo tra gli studenti: si chiama "X Factor Business".


In questo format, pensato per il final major project, gli studenti presentano le proprie idee in una sorta di investment pitch, ispirato ai meccanismi di una vera e propria competizione imprenditoriale. L’obiettivo non è solo testare le loro capacità progettuali, ma anche metterli nelle condizioni di difendere e argomentare le proprie proposte davanti a una commissione. Tutti partecipano con entusiasmo: anche chi inizialmente si sente meno portato per queste dinamiche, grazie al contesto reale e stimolante, si coinvolge, dà il massimo e spesso si propone volontariamente per fare il pitch.

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Sennait con i colleghi Katherine e Tasos


Questa mentalità "hands-on" è uno degli elementi fondamentali che cerco di trasmettere nei miei corsi. Portare un problema reale in aula e lasciare che siano gli studenti a proporre soluzioni concrete significa stimolare il pensiero critico, allenare la leadership e sviluppare una solida capacità di adattamento. In un settore come la moda, dove il cambiamento è costante, queste competenze non sono un plus: sono essenziali.

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Londra, città di opportunità

Perché Londra ha funzionato per me? Perché qui c’è spazio. Spazio per crescere, per sbagliare, per reinventarsi. A Londra ho trovato fiducia, meritocrazia, e un mercato del lavoro dinamico dove, se hai idee e sei pronta a lavorare sodo, qualcuno ti ascolta.


E poi c’è una cultura della mentorship molto forte. Le persone, qui, sono spesso disposte ad aprirti una porta. Ma quella porta devi bussarla con convinzione, con preparazione. E una volta entrata, devi far vedere chi sei. Io l’ho fatto ogni giorno: nei progetti, nei meeting, nelle aule. Perché ogni occasione è un banco di prova.

Il premio e l’importanza del riconoscimento

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Il premio Talented Young Italians edizione 2020

Nel 2021 ho ricevuto il premio "Talented Young Italians edizione 2020" ( l’edizione appena dopo Covid) dalla Camera di Commercio Italiana e dall’Ambasciata d’Italia a Londra, con a capo allora il Cav Alessandro Belluzzo e il Presidente Emerito Simonelli. È stato un momento speciale. Dopo così tanti anni all’estero, ricevere un riconoscimento ufficiale ha dato un senso anche ai sacrifici, alle lontananze, alle notti in bianco.


È stato anche un incentivo, una conferma che il percorso scelto aveva un valore. In quel momento storico – giugno 2021, dopo mesi di lockdown – il premio è stato anche un segnale di ripartenza. Non solo per me, ma per tutti noi expat italiani che ogni giorno cerchiamo di mantenere una connessione con le nostre radici.


Nel 2022 sono diventata consigliera della Camera di Commercio Italiana a Londra: un onore,
ma anche una responsabilità. Poter restituire parte di quanto ho ricevuto è un modo per dare senso al mio percorso.

Crearsi l’occasione: il talento non basta

Spesso mi chiedono quale sia la chiave del successo. Io rispondo che il talento, da solo, purtroppo non basta. Deve incontrare l’occasione. E se quell’occasione non arriva, bisogna imparare a crearla. Con tenacia, con audacia, con disciplina.

Viviamo un’epoca di grande cambiamento: post-pandemia, post-Brexit, post-certezze. Ma proprio nei momenti di transizione nascono le migliori opportunità. Bisogna avere la mentalità giusta e pronta per leggerle, anche quando sembrano scritte in una lingua sconosciuta. Guardare cosa c’è sul tavolo, essere disposti a cambiare prospettiva. Solo così si va avanti.



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L’heritage italiano come valore aggiunto

Nel mio lavoro, le mie origini italiane sono sempre state una risorsa preziosa. La moda italiana rappresenta eccellenza, artigianalità, identità. Marchi come Prada o Miu Miu sono l’esempio perfetto di come la qualità, il dettaglio e la visione a lungo termine siano la vera innovazione. Insegno ai miei studenti che il futuro sostenibile della moda si basa proprio su questi valori: cura, consapevolezza, tracciabilità. Ecco perché la nostra cultura, il nostro background italiano, può essere un elemento differenziante anche all’estero.

Giovani e carriera: l’età non è un ostacolo

Sono stata spesso la più giovane nei meeting o nei panel. E sì, a volte lo senti negli sguardi o nei toni. Ma la competenza parla più forte dell’età. Quando dimostri con i fatti cosa sai fare, ogni pregiudizio svanisce. Lo dico sempre anche ai miei studenti: costruite la vostra credibilità giorno per giorno. LinkedIn, andare i business events, networking. È tutto parte del lavoro.

Quando penso ai prossimi talenti italiani, sia in Italia che all’estero, mi auguro che ci sia più attenzione alla diversità e all’inclusione. Gender gap, multiculturalismo, pari opportunità: sono temi ancora in progress, in Italia e altrove. Ma ci sono segnali positivi. Sempre più giovani studiano all’estero, si confrontano con altre culture. E questo, col tempo, porterà a un cambiamento strutturale.

Rispondere sempre Sì a ogni esperienza nuova

"Perché no?" È una domanda che mi accompagna da sempre. E spesso è proprio lei ad aprire il mondo. Negli anni ho avuto la fortuna di essere coinvolta in progetti bellissimi, in giro per il mondo. Non rinuncio mai a dire sì: ai panel, alle interviste per Vogue, agli eventi, ai progetti con ospiti straordinari. Sono sempre stata curiosa, instancabile, affamata di storie e prospettive nuove. Ho visitato numerose fashion week in Africa Asia e Europa dell’Est, osservando da vicino mercati emergenti e scoprendo talenti incredibili, spesso lontani dai riflettori del sistema moda tradizionale.

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Da lì è nato anche A Propos, una piattaforma che ho co-fondato con Massimo Casagrande per dare voce e visibilità ai talenti emergenti. Parallelamente, ho scritto un libro dedicato alla moda responsabile con Sally Heale — perché credo che raccontare la bellezza significhi anche interrogarsi su come viene creata, da chi, e con quale impatto.
Oggi collaboro da Londra con Vogue, dove ho il privilegio di parlare non solo di moda, ma anche di sostenibilità, mercati emergenti, talenti, fotografia, mostre e emancipazione femminile e, sì, persino della Famiglia Reale Britannica — una passione che coltivo da sempre.

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Sennait con il suo libro: Responsible Fashion Business in Practice


La mia routine quotidiana? Rigorosa, ma piena di sogni. Mi definisco a disciplined dreamer e non rinuncio al mio pilates e al mattino bevo espresso e una tazza di tè e uno sguardo a una lettera molto speciale incorniciata nel mio salotto: una risposta ufficiale di Buckingham Palace, firmata dal segretariato di Sua Maestà la Regina Elisabetta II. Quella lettera è arrivata nel giugno 2022, appena tre mesi prima della sua scomparsa. In pochi lo sanno, ma a Palazzo c’è un processo severissimo per la corrispondenza: tre livelli di selezione interni, e solo le lettere più significative, personali e ben scritte arrivano davvero sotto gli occhi della Sovrana.

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La lettera inviata a Sennait da parte della Regina Elisabetta


Io ho deciso di provarci, senza cincischiare — come si dice a Milano. Ho raccontato la mia storia, il mio amore per la monarchia e tutto quello che Londra mi ha dato. E, ancora una volta, ho risposto sì alla domanda che torna sempre: perché no?


Ho sempre ammirato la Regina: donna Toro come me, esempio di disciplina e senso del dovere. La sua celebre frase sul servizio al Paese è una guida silenziosa. Quella lettera, oggi incorniciata nel mio salotto, mi ricorda ogni giorno quanto possa essere lungo, sorprendente e pieno di grazia il viaggio, se affrontato con dedizione, curiosità e un po’ di coraggio.

Il mio motto sempre: turning challenges into opportunities

Oggi più che mai, credo che trasformare le sfide in opportunità sia la chiave. Londra mi ha insegnato che tutto è possibile se ci credi abbastanza. Che ogni incontro può cambiare la tua traiettoria. E che il talento è solo l’inizio: serve impegno, visione e il coraggio di mettersi in gioco.


Se sono qui, è anche grazie a mia madre, che mi ha mostrato la strada. E grazie a ogni persona che ho incontrato lungo il cammino.

La mia storia non è finita, è solo un altro capitolo.

  • IN ARRIVO

Un excursus sul fare musica (e viverci) con Adele Altro aka Any Other

Cantantautrice, producer, chitarrista. Abbiamo portato Adele Altro nella natura ghiacciata di St. Moritz ospiti dell'hotel Grace La Magna per un esclusivo servizio e una lunga chiacchierata sulla musica

A poche settimane dall'uscita di Trovarsi Soli All'Improvviso, il nuovo album di Marco Giudici che ha coprodotto e nel quale suona e canta, Adele Altro si confessa in una lunga intervista nella quale cerca di tracciare un percorso dall'inizio della sua carriera da musicista autodidatta passando per i mesi difficili della pandemia fino all'uscita di stillness, stop: you have a right to remember con il suo progetto più noto, Any Other.

Davanti all'accogliente e scenografico caminetto del Grace La Magna di St. Moritz, Adele ha esplorato la pressione di essere sempre presente e visibile data dai social media, ma anche le differenze di genere nella musica, la sua passione per il momento dei live e il suo impegno come producer, mentre scattando le foto del nostro servizio moda abbiamo scoperto come fosse cambiato il rapporto con la sua immagine e il suo corpo.

Lasciamo spazio alle parole di Adele e alle foto di Sara Reverberi con una notizia esclusiva sul futuro dell'artista veronese alla fine dell'intervista.

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Adele indossa cappello e sciarpa in lana AVANT TOI

Raccontaci tutto dall'inizio. Quando hai capito che volevi fare questo di lavoro e che la musica era importante per te?
L’ho capito abbastanza tardi, o comunque più tardi rispetto alla media dei miei amici e colleghi che fanno questo lavoro. Ho iniziato a suonare intorno ai 18 anni. Da che ero adolescente sono stata sempre appassionata di musica, però in qualche modo, forse anche per un problema di rappresentazione, non avevo mai considerato che potessi essere io la persona che creasse la musica. Mi ero sempre vista come una fruitrice, ma mai come una potenziale... soundmaker

Al liceo ho conosciuto la mia migliore amica Cecilia e lei aveva una chitarra. La prima volta che ci siamo viste ci siamo messe in camera sua, lei suonava, io cantavo. Facevamo le cover dei Cure, di Bob Dylan, cose così. E ci siamo dette che bella questa cosa. Non c'è mai stato un vero momento in cui ho detto: «La musica è il mio sogno, voglio fare questo». È semplicemente successo. A un certo punto mi sono ritrovata questa cosa tra le mani e funzionava come mezzo per comunicare con gli altri. Ovviamente ero un'adolescente disagiata (ride - ndr).

Da lì non l'ho più mollata, finché non è diventata il mio lavoro

E quindi cos'è successo poi? Finisci il liceo e? 
Io e Cecilia eravamo diventate un duo, che si chiamava LoveCats e nel 2013 ci siamo trasferite a Milano. 
Dopo un mese che vivevamo a Milano, abbiamo fatto una data un lunedì sera e così ho iniziato a conoscere altri musicisti e a scrivere canzoni per fare un disco e ho imparato a suonare la chitarra proprio perché volevo scrivere i miei pezzi. 

Da autoridatta, quindi? 
Sì, proprio andando su Google! 

A questo punto avevamo tanta carne al fuoco, stavamo registrando, imbastendo le registrazioni per un disco e Cecilia ha scelto di fare un altro percorso, e il duo si è sciolto. Era il 2014, e io mi sono ritrovata con questa manciata di canzoni che avevo scritto. E lì è nato Any Other

Il primo disco è uscito nel 2015 e ho fatto tantissime date live. All’inizio eravamo un trio, io, Erika Lonardi e Marco Giudici, il mio migliore amico con il quale collaboro ancora. Flash forward al 2016, mi scrive Niccolò Contessa de I Cani e mi chiede di aprire il loro concerto a Roma e qui conosciamo i ragazzi dell’etichetta 42 Records e qualche tempo dopo abbiamo iniziato a lavorare assieme.

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Adele indossa bustier, jeans e giacca con collo in pelliccia GAS, stivali SANTONI

E qui parti in tour con Colapesce che faceva parte di 42 Records. 
Sì ero nella sua band come chitarrista. 

Ti piaceva questa cosa? Nel senso, non essere tu a cantare.
Il lavoro di turnista mi ha sempre permesso di vedere come gli altri fanno le cose e quindi anche poi di portarmi a casa un pezzo del loro modo di lavorare. Suonare pezzi di altre persone ti obbliga a sbloccare delle zone di te stesso che magari non considereresti come musicista. 

Il primo disco che ho fatto con 42 Records si chiamava Two Geography, tecnicamente il mio secondo disco. Da lì è partito un tour in Italia, in Europa e siamo perfino arrivati in Asia orientale, appena prima del Covid. Siamo andati in Cina a novembre 2019, tra l'altro la prima data doveva essere a Wuhan e ce l'hanno cancellata guarda caso.

E durante il covid cosa hai fatto? 
Ero disperata perché a inizio 2020 doveva esserci il primo tour di Colapesce Dimartino e avevo anche scritto un concerto per sestetto, io chitarra e voce, Marco Giudici al pianoforte elettrico, e avremmo avuto anche flicorno soprano, sassofono tenore, viola e violoncello. Avevo il tour fissato nei teatri ed è saltato tutto. Era un momento del mio percorso lavorativo super importante. Alla fine tra aiuti statali e le due o tre cose che si sono riuscite a fare a distanza, non so come, ce l'ho fatta. 

L’anno dopo c'è stato il primo Sanremo di Colapesce Dimartino, poi è partito il tour e da lì è stato tutto più in discesa.

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Maglione e gonna in lana ZONA20, boots UGG, anello e bracciali ELOISE, calze GOLDEN POINT


Durante tutto questo tempo avevi meno tempo di scrivere per te?
In realtà alcuni pezzi di quello che sarebbe diventato stillness stop: you have a right to remember avevo iniziato addirittura a imbastirli prima dell'uscita del primo disco. Ma il mio percorso d'artista come Any Other è molto legato al live, quindi mettermi fretta in un momento di incertezza sul tour per la pandemia non aveva senso. E poi durante il Covid mi sono messa molto in discussione come musicista e come artista, perché venivo da anni in cui mi era successo solo due volte di stare a casa per più di due settimane. Ero sempre in tour. Sempre. 

E ti faceva anche piacere restare un po' a casa? O l'hai sofferta, cioè, a parte la paura economica ovviamente? 
All'inizio ho fatto molta fatica perché mi sono accorta che stavo sovrapponendo il mio valore come persona, al mio valore come artista. Non capivo più dove finivo io e dove cominciava la performance. Ho iniziato a chiedermi: se non suono chi sono? Che cosa ho da offrire agli altri se non suono? A posteriori sono contenta di questa crisi perché mi ha aiutato anche a ridimensionare il mio ruolo. Un grande aiuto in questo momento è stato iniziare a lavorare come produttrice in studio. Ho seguito dei progetti, personalizzazioni di film muti dal vivo, creato musica per podcast, ho iniziato a lavorare tanto anche sullo strumentale, quindi sulla composizione non per canzoni, che è una cosa che mi piace tantissimo. 

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Top e gonna con frange e stivali over-the-knee FABIANA FILIPPI, headpiece ROSANTICA, calze GOLDEN POINT

Poco dopo l’uscita di stillness stop: you have a right to remember e il tour che ne è seguito hai pubblicato il primo EP con pezzi anche in italiano.
Si chiama Per Te Che Non Ci Sarai Più, e sono quattro pezzi, due in italiano, uno in giapponese e uno in inglese. E l'abbiamo registrato in due giorni. È stato un po' come tornare al primo disco in qualche modo, cioè cercare di riappropriarsi di una dimensione più animalesca nell'approccio alla musica. Con stillness ero a quel livello in cui sei consapevole delle tue capacità ma anche dei tuoi limiti, sai tanto ma non abbastanza per liberarti delle tue conoscenze e consapevolezze, quindi ho fatto molta fatica a produrlo. Invece adesso mi sento in una zona in cui sono un po' più agile. 

Ti sei sentita più libera a scrivere in italiano? Tu che sei abituata a cantare in inglese comunque. 
Non so se più libera, però mi sono resa conto che la lingua è come se fosse una sorta di strumento. È un modo per dare una forma ad una materia informe. Questo per me è stato super interessante, perché mi ha messo nella condizione di rendermi conto anche che il registro che uso influenza il modo in cui io leggo la realtà

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Adele indossa uno slip dress di CALVIN KLEIN, cardigan in lana FABIANA FILIPPI, sandali SANTONI, calzini UNIQLO

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E il pezzo in giapponese? Tu parli giapponese?
Quando ero piccola mio padre era in fissa con alcuni autori, molto classici, sia di letteratura che del cinema asiatico. Quindi mi aveva introdotto a un po' di cose di cultura giapponese. Crescendo mi sono fissata con i videogiochi e poi sono andata a suonare in Giappone e ne sono rimasta affascinata. Così l'anno successivo mi sono iscritta a un corso del Comune di Milano di cui adesso sto frequentando il quinto anno. È stato super divertente. Da una parte è molto simile all'italiano perché ha una cadenza sillabica, ma a sua volta la divisione sillabica non è legata all'accento come nella nostra lingua. C’è un modo di sfruttare la metrica che è molto stimolante. 

Come ha reagito il tuo pubblico alle canzoni in italiano? 
Nei miei dieci anni da musicista, mi hanno sempre fatto la domanda «perché non scrivi in italiano?», ma in questo caso ho notato che è stata accolta semplicemente come una delle sfide che mi piace darmi quando faccio dei lavori nuovi. Che non vuol dire che da adesso in poi scriverò in italiano, però se ho voglia magari sì. 

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Trench coated MARBELL, stivali in gomma DR.MARTENS, borsa gioiello ROSANTICA

Secondo te effettivamente in Italia si può avere successo cantando in inglese o è impossibile, come tutti dicono? 
C’è proprio un limite. Mi rendo conto che la mia musica, come quella di altre colleghe - e uso il femminile apposta perché mi sembra che le cose più fighe le stiano facendo le ragazze in questo momento - probabilmente ponga un doppio limite al successo popolare. Il primo limite sono gli elementi inusuali da cui è composta. Non voglio dire che sia musica complessa perché alla fine è sempre pop (io la chiamo art pop), ma allo stesso tempo mi piace scrivere sfidando la forma canzone, mi piace arrangiare i pezzi in un certo modo, quindi so che magari non sono ecco, del tutto accessibili o comunque non necessariamente orecchiabili. Il secondo limite è la lingua. E negli ultimi anni abbiamo visto tanti artisti anche indipendenti avere un grande successo di pubblico passando da Sanremo, che è il Festival della Canzone Italiana. 

E secondo te è necessario passare da Sanremo per ‘esplodere’ in Italia?
Bè dipende da dove si vuole esplodere. Ci ho pensato tanto nell'ultimo paio d'anni, perché ho visto il percorso che hanno fatto invece artisti come ad esempio Daniela Pes, che adoro, o Io Sono Un Cane. Quindi forse un’alternativa c’è.

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Adele indossa pile e pantaloni NAPAPIJRI, occhiali da sole MOSCOT, stivali UGG

Vorrei tornare a quello che mi raccontavi del tuo lavoro. Quando pensiamo a un'artista (soprattutto se donna) è automatico pensare che sia una cantante, una frontwoman. Ma tu sei anche una chitarrista, un’autrice, una produttrice. Scrivi e conosci la musica. La rappresentazione femminile in queste professioni è minima e i nomi che mi vengono in mente lavorano quasi tutti all’estero.
Sì, sicuramente a 15 anni non avrei mai pensato di poter essere io una di quelle figure più “tecniche” che lavoravano dietro la produzione musicale. Con Marco Giudici gestiamo lo studio Cabin Essence e da circa un anno lavoro anche come fonica e assistente di Marco per la produzione di dischi. Mi sono impegnata molto per avere collaboratori, clienti e persone intorno a me che non mettessero un filtro di genere sulle cose. Quindi chi arriva a lavorare con noi sa cosa può aspettarsi.

Quando produci per altri a cosa stai attenta? 
Non avendo tutto l'investimento emotivo, il bagaglio, che provo quando lavoro sui miei pezzi, sono io la persona che guida l'artista e gli crea uno spazio dove può cadere sul morbido. Ho riflettuto tanto su che tipo di produttrice voglio essere, perché mi rendo conto che la mia cifra stilistica forte è negli arrangiamenti, nella scelta degli strumenti che devono stare assieme, il modo in cui scrivo le varie parti. Nei miei dischi tutto questo viene fuori all'ennesima potenza, mentre sui lavori per gli altri vorrei sviluppare di più un discorso sul suono e non soltanto sulla scrittura della musica. 

Forse ho una visione un po’ - passami il termine - 'fricchettona', ma credo che la musica in sé arrivi molto prima del pensiero sulla musica. Cerco di immaginare la canzone prima ancora che sia finita e capire se gli arrangiamenti che vorrei inserire sono frutto di un mio desiderio personale o se è la canzone a richiedermeli. Questo può portare anche a dover scartare degli elementi ai quali magari sei affezionato o che sono dei comfort però non è quello che la musica ti sta chiedendo in quel momento. È anche un discorso centrato sulla comunicazione e sull'ascolto e sull’accogliere quello che ti arriva.

Questa è una cosa che dice anche Nick Cave. Che la musica è un lavoro certosino quasi di ufficio ma poi le canzoni a loro volta “arrivano”.
Sì una volta che ti lasci prendere è davvero bello.


Adesso stai lavorando tanto in studio e però sei sempre un’artista da live. Qual è la cosa che ti piace di più del contatto con il pubblico?
Quando le persone alla fine dei concerti mi ringraziano e mi dicono che il concerto, o una canzone nelle specifico, le ha aiutate a sbloccare una cosa che avevano dentro e non sapevano neanche di dover tirare fuori. È quello che succede anche a me quando vado a sentire ad esempio i Big Thief e piango per un’ora e sono felice perché avevo bisogno di sfogarmi e loro hanno parlato al posto mio con le loro canzoni.

« Ti faccio un esempio: io e Marta Del Grandi facciamo musica molto diversa, ma magari perché cantiamo entrambe in inglese e facciamo canzoni particolari non ci mettono nella stessa line-up. A un artista maschio questa cosa non succede. »
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Cardigan, gonna e top stretch MARCO RAMBALDI. calze FALKE, collane e anello ELOISE (foto scattate al ristorante STUVETTA del GRACE LA MAGNA)

A te piace un sacco suonare con gli altri artisti. Quanto è importante la collaborazione nella musica e quanto può aiutare per sopravvivere in un mondo così competitivo? 
Questo è un mondo in cui quasi si suggerisce di rimanere isolati e di stare da soli. Perché sai, ci sono pochi soldi, quindi è meglio se li prendi tutti tu. È triste ma alla fine spesso si riduce a questo. 

E questo tipo di ragionamento “esclusivo” funziona anche il discorso che facevamo sul genere, no? 
Ne ho parlato anche tanto conte mie colleghe e per molte di noi è stranissimo non aver mai suonato agli stessi festival, e abbiamo capito che questo succede perché ci mettono tutte nella stessa categoria e automaticamente una viene esclusa. Ti faccio un esempio: io e Marta Del Grandi facciamo musica molto diversa, ma magari perché cantiamo entrambe in inglese e facciamo canzoni particolari non ci mettono nella stessa line-up. A un artista maschio questa cosa non succede.

Perché due artisti uomini con le chitarre e che fanno indie rock possono stare insieme nello stesso festival e noi semplicemente perché amiamo il jazz e cantiamo bene e conosciamo la teoria musicale non possiamo stare nella stessa line-up?

Tutto questo sistema genera molta ansia e porta le artiste anche a legare poco con le colleghe a livello amicale perché costituiscono una potenziale minaccia. Però io non ci voglio giocare a questo gioco. A costo di perdere delle possibilità. Ci sono cose che dovrò accettare perché comunque è lavoro e devo pagare l'affitto e mangiare, ma c'è qualcosa dentro di me e dentro anche tante persone come me, a cui non possiamo rinunciare e questa per me è una di quelle. Mi rifiuto di escludere la possibilità che pure noi artiste possiamo essere una palette di sfumature diverse. E non è accettabile che spesso i promoter o chi gestisce la musica ci metta costantemente in competizione, una contro l’altra. Perché io devo essere insicura per il successo di un'altra ragazza? Più siamo meglio è.

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Adele indossa un abito in pizzo ANIYE RECORDS

Assolutamente. E i social immagino non aiutino la situazione ansia. Come gestisci la FOMO da Instagram dove sembra sempre che tutti facciano cose e nel caso dei musicisti escano sempre pezzi nuovi, singoli, album e così via?
Penso che ci sia un problema di fondo a livello collettivo. Questa costante necessità di dover sempre apparire come vincenti in questa società non ci porta a confrontarci e a confidarci l'uno con l'altro. Tutte noi persone della musica viviamo la stessa identica esperienza: facciamo il nostro e siamo contenti mentre lo facciamo, la curva poi decresce e ci dobbiamo fermare perché è necessario anche per vivere la vita vera e fare esperienze e avere materiale sul quale poi creare nuovamente. Ma ammettere la necessità di fermarsi è un gesto da sfigati. E se non ci sei la domanda è subito: ma dove eri finita? Ma non sta lavorando lei? 

C’è questa corsa costante al successo e all'essere visti. Per fortuna all’inizio della mia carriera, me lo ricordo ancora, ho incontrato Enrico Gabrielli e gli ho detto : «Enrico io mi sento sempre nel momento sbagliato rispetto a tutto quello che succede intorno a me, mi sembra sempre di essere fuori tempo rispetto alle cose».  E lui mi ha detto: «Ti devi vedere come una formichina che piano piano un chicco alla volta mette da parte per l'inverno, senza l'ansia di dover raccattare tutto subito. Fai anche tu un pezzo alla volta e vedrai che questa cosa ti porterà piano piano avanti. Ci saranno un sacco di momenti in cui ti sentirai scoraggiata e penserai di essere un fallimento come artista, ma segui le tue regole interiori e le tue necessità». E davvero, sembrerà banale, ma da quel momento so che mi devo fidare del mio istinto e di quello che mi dice il mio corpo senza farmi troppo condizionare dal resto. 

Per combattere la FOMO poi è utilissimo confrontarsi e parlare con gli amici e i colleghi, avere uno specchio che ti fa rendere conto di quello che hai fatto nel momento in cui sei ferma e vedi gli altri che suonano e fanno cose. Quindi il mio consiglio è andare nella vita reale, parlare e vivere ti aiuta a staccarti dai pensieri intrusivi e dalla performance online.

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Adele indossa maglia con colletto AUTRY, gonna MARCO RAMBALDI, calzini GOLDEN POINT, anello ELOISE e occhiali da vista MOSCOT

Parliamo d'immagine. Oggi abbiamo scattato un servizio moda vero e proprio e prima ci hai detto che adori posare! Non me l’aspettavo. 
Il rapporto con la mia immagine sta cambiando tanto, forse anche perché ho superato i 30 anni e mi sento più in pace con il mio corpo, più sicura e in armonia, come se non ci fosse più qualcosa contro cui lottare, ma qualcosa insieme al quale lottare. Come persona non binaria per anni ho collaborato con questo collettivo di Brescia di Drag Queen e ho sempre frequentato ambienti queer. Per cui per me la performance, che passa attraverso anche il truccarsi e il vestirsi, aiuta a esprimere delle parti di te che non riesci a tirare fuori nel quotidiano.

Solitamente mi vesto da 'ragazzino', però allo stesso tempo mi piace anche giocare con il fatto di poter essere femme. Non ho un corpo androgino e so che questa parte di me non posso celarla allo sguardo altrui, ma ho capito come farla diventare mia.

Prendi tu il potere.
Esatto. E mi concentro su quello che mi interessa e ci gioco. Diventa una scelta attiva e proattiva. Anche sul palco è così: non perché devo, ma perché voglio.

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Adele indossa giacca e gonna a frange PORTS 1961, sandali a listelli GIUSEPPE ZANOTTI, calze GOLDEN POINT.

Ti volevo chiedere se hai delle icone di stile a cui ti ispiri o magari anche solo degli artisti a cui magari pensi quando sei sul palco, anche involontariamente.
C’era questo gruppo che si chiamava Yellow Magic Orchestra, la band di Sakamoto negli anni 80, e giocavano tanto con l'androginia, tanto colore rosso nelle loro copertine, un colore che a me fa impazzire. La loro iconografia mi ispira molto. E poi Saint Vincent che interpreta sempre un personaggio o anche Björk, tutte autrici, produttrici, tecniche della musica, che non hanno paura di confrontarsi con la loro immagine o di essere prese per superficiali perché curano i loro look.

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Gilé in pelliccia e guanti MACKAGE, coperta ALONPI

Lasciamoci con una breaking news per il futuro.
Sto mixando un disco perché ho una nuova band, si chiama A Nice Noise e io suono il basso e canto.

Proprio una band, come i Måneskin (ride).
Tu scherzi ma una volta mi hanno chiesto se fossi la bassista dei Måneskin. E io ho risposto: «Sì, mi avete scoperta».


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Credits:


Talent: Adele Altro, Any Other
Foto e Art Direction: Sara Reverberi
Creative Direction e styling: Sara Moschini
Location: Grace La Magna St. Moritz

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Tommy Hilfiger apre la stagione delle feste a Venezia 


Con un evento esclusivo ricco di ospiti Tommy Hilfiger lancia i suoi look modern prep per le festività. Grazia era a Venezia per scoprire gli abbinamenti a cui ispirarsi e portarvi nella magia della città più bella del mondo

Come ti vestirai a Natale? È una delle domande che abbiamo chiesto agli ospiti dell’evento “A Hilfiger Holiday”, una brand experience che ha portato tanti amici italiani di Tommy Hilfiger a Venezia, per assaporare la dolce atmosfera delle feste in una delle città più eleganti al mondo.

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Elisa Maino a Venezia

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Simone Bredariol e Matteo Guerrieri a Murano

Ospiti per due giorni del boutique hotel Palazzina Grassi, dove lo stile contemporaneo si fonde con l’eleganza tradizionale veneziana, i talent invitati hanno potuto gustare una cena intima nel rinomato ristorante affacciato sul Canal Grande, partecipare a una sessione di soffiatura del vetro con il maestro artigiano Simone Cenedese nell’incantevole isola di Murano, pranzare al ristorante Quadrino in piazza San Marco per provare le nuove fragranze Tommy Her New York e Tommy New York e assistere a un DJ set del musicista milanese Vittorio Menozzi, ma soprattutto hanno provato e giocato con i nuovi capi della collezione Tommy Hilfiger Holiday 2025 interpretandoli ognuno con la propria personalità e adattandoli alle diverse occasioni.

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Il maestro Simone Cenedese nella sua vetreria di Murano ha creato una speciale pallina di Natale con i colori iconici di Tommy Hilfiger

L’esuberante Vic Montanari, ad esempio, amante dei colori e degli abbinamenti inaspettati, ha alternato morbidi jeans e maglioni a losanghe con una longuette A line a pieghe e un collo alto natalizio dalla lavorazione grafica, Ryan Prevedel, epitome del ragazzo preppy, non si è lasciato sfuggire i jeans da indossare con i mocassini lucidi e la cravatta, tipici dell’heritage americana, e Elisa Maino il completo bianco, estremamente versatile. L’attrice Lavinia Guglielman ha optato per un look comodo con pantaloni dal taglio maschile adatti ai trasferimenti sull’acqua e alle attività pomeridiane per poi giocare con i contrasti di gonna in paillettes nera e camicia in cotone bianca della sera.

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La digital creator Vic Montanari indossa un'alternativa al classico maglione natalizio


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Ryan Prevedel in barca verso Murano



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Elisa Maino in completo bianco Tommy Hilfiger

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Lavinia Guglielman unisce look androgino con gonna nera in paiette

La coppia Paola Cossentino e Mees Truijens sembra uscita dal frame di un film della Nouvelle Vague. Lei, iperfemminile, con camicia morbida bianca e pantalone nero, e lui, in completo, mentre la giovane Dolma Lisa Dorjee riesce ad esprimere la sua parte più street con il maglione in lana abbinato ai jeans e a cambiare personalità la sera tirando fuori la dark lady ipercool che è in lei grazie all’abito stretch nero con le spalle scoperte. 

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Dolma Lisa Dorjee al pranzo al Quadrino in piazza San Marco dove ha potuto scoprire la fragranza Tommy Her New York


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Il table set per il pranzo al Quadrino con i profumi Tommy Her New York e Tommy New York

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Dolma Lisa Dorjee in abito nero lungo

Paola Cossentino + Mess Truijens copia 2

Paola Cossentino e Mees Truijens elegantissimi alla cena a Palazzina Grassi

E ancora: Yusuf Panseri, Mattia Basso, Simone Bredariol e Matteo Guerrieri hanno avuto la possibilità di interpretare per i look daily la maglieria, punto forte della collezione Tommy Hilfiger Holiday 2025 caratterizzata dall’inconfondibile Tommy Crest, lo stemma che raffigura un leone con la spada circondato da una corona di alloro che ritroviamo anche su berretti e sciarpe, per poi trasformarsi in gentlemen con un twist per la sera.

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Yusuf Panseri spezza il classico completo e opta per un mix bianco, crema, micro scacchi

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Simone Bredariol nel suo look serale

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Matteo Guerrieri sceglie il velluto e i pantaloni bianchi per la cena di Natale

Accanto all’esperienza di Venezia, il brand americano porta la storia e il calore delle festività 2025 anche nei negozi di Milano e Roma. Gli ospiti potranno infatti godere di un servizio gratuito di confezionamento regali per tutto dicembre, mentre in alcune giornate ci saranno delle divertenti “Santa’s Mailbox”, un carrello di cioccolato e serate di shopping speciali – momenti coinvolgenti pensati per accogliere i consumatori nella comunità del marchio. Qui il link per iscriversi a tutte le iniziative.

L’evento non poteva concludersi se non con uno speciale Secret Santa, dove i ragazzi e le ragazze hanno potuto scambiarsi i regali, ovviamente tutti pensati per loro da Tommy Hilfiger.

E voi? Siete pronti a vivere un Natale firmato Tommy Hilfiger?

Credits:

Video: Andrea Barbui
Foto: Tommaso Biondo