Incontro con Giuliana Matarrese, giornalista di moda alla ricerca costante di storie da raccontare
Trench CHB di Christian Boaro
Giuliana, raccontaci dei tuoi studi, come hai cominciato, il tuo percorso sin dal principio.
Sono originaria di Putignano, cittadina conosciuta per il suo carnevale e la produzione di abiti da sposa, mi sono laureata in lingue a Bari, avevo il sogno di diventare una traduttrice per le Nazioni Unite e il primo giorno, quando i professori ci chiesero cosa avremmo voluto fare alla fine degli studi, alla mia affermazione “La traduttrice per l’Onu” la prof mi di inglese mi rispose “Qualcosa di più realistico?” Così ho ripiegato sul diventare una giornalista di moda. Fattibile no? Finito il triennio decisi che avrei voluto mettere a frutto la mia ossessione per la scrittura, un’urgenza che mi accompagna fin da bambina. Nella moda ritrovavo tutti i riferimenti culturali, musicali e cinematografici di cui mi sono sempre nutrita. Sono andata a Milano e ho fatto un corso in un'accademia privata e ho iniziato a lavorare in un ufficio stampa per tre mesi. Sono entrata in contatto coi giornalisti e ho cominciato a capire chi faceva cosa. Ho mandato il mio curriculum a Laura Cazzaniga, la storica segretaria e assistente di Franca Sozzani. Da Glamour avevano bisogno di qualcuno, stavano lanciando un'app dove si potevano creare dei look e serviva una persona che scrivesse i testi, così misi piede in una redazione moda. Finiti i sei mesi di stage Cristina D’Antonio vice caporedattrice attualità mi propose di scrivere e incominciai la mia collaborazione come contributor. Da lì iniziai anche a scrivere di moda per l’Uomo Vogue facendo le recensioni delle sfilate sul sito. Il passaggio successivo è stato cominciare a intervistare personaggi della moda e articoli sul magazine. Icon invece è stata la redazione vera e propria della quale ho fatto parte a tutti gli effetti per quattro anni.
Che bambina sei stata?
Molto timida e introversa sempre alla ricerca di stimoli per il mio mondo interiore. Scrivevo qualsiasi cosa da qualunque parte. Leggevo moltissimo anche quando non sapevo leggere. Mia nonna aveva questi tomi di cucina che sfogliavo avidamente e pur non capendoli mimavo le ricette. Ho avuto un padre severissimo e la mia maniera di viaggiare è stata la lettura. A tredici anni mi era proibito uscire e mi immergevo nei libri. Tutto questo ha costituito le fondamenta dei miei riferimenti culturali e letterari che stanno alla base della mia scrittura di oggi.
Abito AC9
Come hai conciliato la tua timidezza con il lavoro di giornalista?
Ho dovuto imparare ad andare agli eventi, a presentarmi alle persone, a farmi conoscere e nonostante tutto ciò cozzasse con la mia introversione l’ho fatto perché questo lavoro era ed è, una delle cose che mi rende felice. Tutti gli ostacoli, a cominciare dalla retribuzione scarsa all’inizio che obbligava ad avere altri lavori per mantenersi, li ho superati trovando un punto di equilibrio. Ricordo le prime interviste dove dovevo chiamare, avevo il terrore di alzare la cornetta e parlare con uno sconosciuto. L’esercizio costante è diventato mestiere e mi sono sbloccata. Poi il mio carattere non è cambiato, quando finisco di lavorare voglio solo tornare a casa e stare da sola.
Come è cambiato il mondo della moda secondo te? Non pensi che non sia più un monolite irraggiungibile, soprattutto negli ultimi anni?
Assolutamente, non è più solo un blocco di persone privilegiate e avulse dalla realtà. Con la crisi attuale che abbiamo nell’editoria siamo sulla stessa barca ed è inutile avere atteggiamenti di chiusura. Sta anche avvenendo un ricambio generazionale fisiologico. Se vogliamo parlare di moda alla Gen Z o ai ragazzi e alle ragazze degli anni duemila parliamo di un mondo che per loro è aspirazionale e in qualche modo, finito. Penso ad esempio a Vogue Paris che ha cristallizzato un'immagine precisa degli anni '80 ma la moda si è sempre, sempre occupata del mondo reale. Pensiamo agli anni digital, dove porte che non esistevano si sono aperte grazie ai social network.
Camicia, shorts e giacca CANAKU
Come hai vissuto il tuo lavoro in questi anni di trasformazione, sui social ci sei tu come professionista ma anche come persona.
Questa pandemia ha accelerato alcuni processi di cambiamento in atto che sarebbero comunque arrivati. Il sistema editoriale italiano si stava auto fagocitando. I ragazzini spesso mi chiedono quale giornale comprare perché non ne trovano uno che li rappresenti. Significa che la fascinazione per il cartaceo continua a esistere ma che la risposta invece tarda a manifestarsi. A livello personale le cose sono cambiate quando Andrea Batilla (ndr autore, giornalista, digital creator) mi ha nominato e mi sono vista arrivare un sacco di follower bisognosi di parlare di moda. Ho scoperto l’esistenza di un pubblico per il lavoro che faccio e che vuole andare oltre la borsetta di stagione o l’oggetto del momento. Bisogna tenere conto che queste generazioni sono nate con il cellulare in mano e che è importante aiutarli a navigare nel mare magnum delle informazioni che hanno a portata di click. Noi non avevamo tutta questa enorme mole di nozioni, dovevamo andare in biblioteca ad approfondire qualsiasi argomento e abbiamo avuto più tempo per processare e sedimentare le nostre conoscenze. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di qualcuno che racconti loro il contesto non solo la notizia boom del momento. Non mi sono mai uniformata alla rincorsa di essere alla moda e ho sempre pensato di essere diversa in questo senso, ho scoperto invece che c’è un mondo di persone così con cui confrontarsi e che l’unicità fa davvero la differenza. Il mezzo digitale mi ha anche insegnato a usare un linguaggio adatto, diverso da quello della carta stampata, non semplificato ma consono. Nelle stories creo slide con suggerimenti e idee perché voglio che le persone siano stimolate alla scoperta di cose nuove e poi abbiano voglia di scoprirne altre. In poche parole, ho imparato a comunicare in modo orizzontale.
Camicia e longuette DES PHEMMES, scarpe IL TRAFFICO
Secondo te il sistema moda come può sopravvivere a questi cambiamenti strutturali senza autoconservarsi in modo respingente?
Trovo interessante l’esempio della Maison Valentino, Pier Paolo Piccioli che è un uomo di cinquant’anni ha delle antenne molto sensibili sul presente e ha offerto la sua piattaforma ad altri designer emergenti per raccontare il loro lavoro. Ha aperto la sua visione e non ha avuto l’atteggiamento soffocante che invece ha subito la nostra generazione da quella precedente che ci ha schiacciato senza pietà, diciamolo. A un certo punto se non sei in grado di decifrare il presente il lavoro ti viene tolto dalle mani comunque, lo dico come constatazione. Per fortuna esistono persone che nonostante l’età e l’autorevolezza acquisita si aprono alle nuove generazioni ma a oggi rimangono, purtroppo, delle eccezioni. Penso anche ad Antonio Mancinelli, grande giornalista di moda che ha avuto l’umiltà di mettersi alla prova con Instagram cercando di trovare il modo di comunicare e dialogare con le generazioni diverse dalla sua. Il mondo è cambiato: puoi decidere di adeguarti o di opporre resistenza. Una delle ragioni per cui questo sistema è imploso è anche stata la mancanza di condivisione delle competenze. Ci sono delle eccezioni come è successo per me da Icon, dove Valentina Ardia caporedattrice centrale, mi ha lasciato tutto lo spazio necessario affinché crescessi professionalmente nonostante all’inizio fossi una collaboratrice esterna.
Giacca e pantaloni SSHEENA
C’è anche il tema dell’idealizzazione eccessiva di questo lavoro, che ne pensi?
Per molte persone della mia generazione e di quella precedente il problema è che invece di pensarlo come una professione questo lavoro si è trasformato in uno status. Il posto che hai in sfilata è il posto che hai nella vita. Non credo. Non siamo il nostro lavoro. Può essere una fase ma poi deve cambiare, ho imparato a coltivare i miei spazi personali, a non lasciarmi prendere dalla fomo (ndr fear of missing out), a non dover per forza vedere tutte le serie del momento, leggere l’ultimo libro di cui si parla. Siamo stati chiusi due anni, voglio vivere. Viviamo anche in una società dove tutto quanto sembra una costante performance ma ho imparato ad ascoltare il mio tempo interiore e ho deciso di non seguire questo tipo di corrente. Se una persona è interessata alla mia opinione mi ascolterà in qualsiasi momento.
Abito AC9
Abbiamo realizzato con te un servizio moda, fai le dirette in prima persona e ti esponi, com’è il tuo rapporto con la tua immagine?
Come dice la meravigliosa Michela Giraud ci sono giorni che ti svegli Belen e giorni che ti svegli Magalli. Siamo immerse in una società profondamente estetizzante dove riceviamo molte pressioni per cui se non sei a tuo agio con la tua immagine l’unica cosa sana da fare è avere un dialogo interiore. Come dicevo, essendo una persona timida, proverò sempre disagio nel farmi ritrarre. In questo caso avendo un rapporto di fiducia con voi mi sono affidata.
Bracciale GALA ROTELLI, maglione traforato, top e pantaloni FEDERICO CINA
Quali abiti ami indossare e ti fanno sentire a tuo agio?
Ho un’anima rocker anni '80 zarra che mi diverte moltissimo e che si traduce in t-shirt di gruppi musicali, biker e le Dr Martens e un’altra anima glam anni '40 che invece predilige volumi rigorosi, gonne a vita alta. Tra i miei capi preferiti ci sono le pencil skirt e i crop top.
Un tuo sogno?
Prima della pandemia avevo un atteggiamento più cinico e pensavo ad arrivare a fine mese e vi avrei risposto così, adesso che sento il cambiamento vi racconto la storia di Robin Givhan, la prima fashion editor americana ad avere vinto (fino a oggi) il Pulitzer dimostrando quanto parlare di moda sia un atto politico. Vorrei essere la seconda.
Maglione traforato, top e pantaloni FEDERICO CINA, anelli VOODOO JEWELS
Credits:
Foto: Claudia Ferri
Styling: Francesca Crippa
MUA/Hair: Silvia Sidoli
Art Direction: Sara Moschini e Daniela Losini
© Riproduzione riservata
Un excursus sul fare musica (e viverci) con Adele Altro aka Any Other
A poche settimane dall'uscita di Trovarsi Soli All'Improvviso, il nuovo album di Marco Giudici che ha coprodotto e nel quale suona e canta, Adele Altro si confessa in una lunga intervista nella quale cerca di tracciare un percorso dall'inizio della sua carriera da musicista autodidatta passando per i mesi difficili della pandemia fino all'uscita di stillness, stop: you have a right to remember con il suo progetto più noto, Any Other.
Davanti all'accogliente e scenografico caminetto del Grace La Magna di St. Moritz, Adele ha esplorato la pressione di essere sempre presente e visibile data dai social media, ma anche le differenze di genere nella musica, la sua passione per il momento dei live e il suo impegno come producer, mentre scattando le foto del nostro servizio moda abbiamo scoperto come fosse cambiato il rapporto con la sua immagine e il suo corpo.
Lasciamo spazio alle parole di Adele e alle foto di Sara Reverberi con una notizia esclusiva sul futuro dell'artista veronese alla fine dell'intervista.
Adele indossa cappello e sciarpa in lana AVANT TOI
Raccontaci tutto dall'inizio. Quando hai capito che volevi fare questo di lavoro e che la musica era importante per te?
L’ho capito abbastanza tardi, o comunque più tardi rispetto alla media dei miei amici e colleghi che fanno questo lavoro. Ho iniziato a suonare intorno ai 18 anni. Da che ero adolescente sono stata sempre appassionata di musica, però in qualche modo, forse anche per un problema di rappresentazione, non avevo mai considerato che potessi essere io la persona che creasse la musica. Mi ero sempre vista come una fruitrice, ma mai come una potenziale... soundmaker.
Al liceo ho conosciuto la mia migliore amica Cecilia e lei aveva una chitarra. La prima volta che ci siamo viste ci siamo messe in camera sua, lei suonava, io cantavo. Facevamo le cover dei Cure, di Bob Dylan, cose così. E ci siamo dette che bella questa cosa. Non c'è mai stato un vero momento in cui ho detto: «La musica è il mio sogno, voglio fare questo». È semplicemente successo. A un certo punto mi sono ritrovata questa cosa tra le mani e funzionava come mezzo per comunicare con gli altri. Ovviamente ero un'adolescente disagiata (ride - ndr).
Da lì non l'ho più mollata, finché non è diventata il mio lavoro.
E quindi cos'è successo poi? Finisci il liceo e?
Io e Cecilia eravamo diventate un duo, che si chiamava LoveCats e nel 2013 ci siamo trasferite a Milano.
Dopo un mese che vivevamo a Milano, abbiamo fatto una data un lunedì sera e così ho iniziato a conoscere altri musicisti e a scrivere canzoni per fare un disco e ho imparato a suonare la chitarra proprio perché volevo scrivere i miei pezzi.
Da autoridatta, quindi?
Sì, proprio andando su Google!
A questo punto avevamo tanta carne al fuoco, stavamo registrando, imbastendo le registrazioni per un disco e Cecilia ha scelto di fare un altro percorso, e il duo si è sciolto. Era il 2014, e io mi sono ritrovata con questa manciata di canzoni che avevo scritto. E lì è nato Any Other.
Il primo disco è uscito nel 2015 e ho fatto tantissime date live. All’inizio eravamo un trio, io, Erika Lonardi e Marco Giudici, il mio migliore amico con il quale collaboro ancora. Flash forward al 2016, mi scrive Niccolò Contessa de I Cani e mi chiede di aprire il loro concerto a Roma e qui conosciamo i ragazzi dell’etichetta 42 Records e qualche tempo dopo abbiamo iniziato a lavorare assieme.
Adele indossa bustier, jeans e giacca con collo in pelliccia GAS, stivali SANTONI
E qui parti in tour con Colapesce che faceva parte di 42 Records.
Sì ero nella sua band come chitarrista.
Ti piaceva questa cosa? Nel senso, non essere tu a cantare.
Il lavoro di turnista mi ha sempre permesso di vedere come gli altri fanno le cose e quindi anche poi di portarmi a casa un pezzo del loro modo di lavorare. Suonare pezzi di altre persone ti obbliga a sbloccare delle zone di te stesso che magari non considereresti come musicista.
Il primo disco che ho fatto con 42 Records si chiamava Two Geography, tecnicamente il mio secondo disco. Da lì è partito un tour in Italia, in Europa e siamo perfino arrivati in Asia orientale, appena prima del Covid. Siamo andati in Cina a novembre 2019, tra l'altro la prima data doveva essere a Wuhan e ce l'hanno cancellata guarda caso.
E durante il covid cosa hai fatto?
Ero disperata perché a inizio 2020 doveva esserci il primo tour di Colapesce Dimartino e avevo anche scritto un concerto per sestetto, io chitarra e voce, Marco Giudici al pianoforte elettrico, e avremmo avuto anche flicorno soprano, sassofono tenore, viola e violoncello. Avevo il tour fissato nei teatri ed è saltato tutto. Era un momento del mio percorso lavorativo super importante. Alla fine tra aiuti statali e le due o tre cose che si sono riuscite a fare a distanza, non so come, ce l'ho fatta.
L’anno dopo c'è stato il primo Sanremo di Colapesce Dimartino, poi è partito il tour e da lì è stato tutto più in discesa.
Maglione e gonna in lana ZONA20, boots UGG, anello e bracciali ELOISE, calze GOLDEN POINT
Durante tutto questo tempo avevi meno tempo di scrivere per te?
In realtà alcuni pezzi di quello che sarebbe diventato stillness stop: you have a right to remember avevo iniziato addirittura a imbastirli prima dell'uscita del primo disco. Ma il mio percorso d'artista come Any Other è molto legato al live, quindi mettermi fretta in un momento di incertezza sul tour per la pandemia non aveva senso. E poi durante il Covid mi sono messa molto in discussione come musicista e come artista, perché venivo da anni in cui mi era successo solo due volte di stare a casa per più di due settimane. Ero sempre in tour. Sempre.
E ti faceva anche piacere restare un po' a casa? O l'hai sofferta, cioè, a parte la paura economica ovviamente?
All'inizio ho fatto molta fatica perché mi sono accorta che stavo sovrapponendo il mio valore come persona, al mio valore come artista. Non capivo più dove finivo io e dove cominciava la performance. Ho iniziato a chiedermi: se non suono chi sono? Che cosa ho da offrire agli altri se non suono? A posteriori sono contenta di questa crisi perché mi ha aiutato anche a ridimensionare il mio ruolo. Un grande aiuto in questo momento è stato iniziare a lavorare come produttrice in studio. Ho seguito dei progetti, personalizzazioni di film muti dal vivo, creato musica per podcast, ho iniziato a lavorare tanto anche sullo strumentale, quindi sulla composizione non per canzoni, che è una cosa che mi piace tantissimo.
Top e gonna con frange e stivali over-the-knee FABIANA FILIPPI, headpiece ROSANTICA, calze GOLDEN POINT
Poco dopo l’uscita di stillness stop: you have a right to remember e il tour che ne è seguito hai pubblicato il primo EP con pezzi anche in italiano.
Si chiama Per Te Che Non Ci Sarai Più, e sono quattro pezzi, due in italiano, uno in giapponese e uno in inglese. E l'abbiamo registrato in due giorni. È stato un po' come tornare al primo disco in qualche modo, cioè cercare di riappropriarsi di una dimensione più animalesca nell'approccio alla musica. Con stillness ero a quel livello in cui sei consapevole delle tue capacità ma anche dei tuoi limiti, sai tanto ma non abbastanza per liberarti delle tue conoscenze e consapevolezze, quindi ho fatto molta fatica a produrlo. Invece adesso mi sento in una zona in cui sono un po' più agile.
Ti sei sentita più libera a scrivere in italiano? Tu che sei abituata a cantare in inglese comunque.
Non so se più libera, però mi sono resa conto che la lingua è come se fosse una sorta di strumento. È un modo per dare una forma ad una materia informe. Questo per me è stato super interessante, perché mi ha messo nella condizione di rendermi conto anche che il registro che uso influenza il modo in cui io leggo la realtà.
Adele indossa uno slip dress di CALVIN KLEIN, cardigan in lana FABIANA FILIPPI, sandali SANTONI, calzini UNIQLO
E il pezzo in giapponese? Tu parli giapponese?
Quando ero piccola mio padre era in fissa con alcuni autori, molto classici, sia di letteratura che del cinema asiatico. Quindi mi aveva introdotto a un po' di cose di cultura giapponese. Crescendo mi sono fissata con i videogiochi e poi sono andata a suonare in Giappone e ne sono rimasta affascinata. Così l'anno successivo mi sono iscritta a un corso del Comune di Milano di cui adesso sto frequentando il quinto anno. È stato super divertente. Da una parte è molto simile all'italiano perché ha una cadenza sillabica, ma a sua volta la divisione sillabica non è legata all'accento come nella nostra lingua. C’è un modo di sfruttare la metrica che è molto stimolante.
Come ha reagito il tuo pubblico alle canzoni in italiano?
Nei miei dieci anni da musicista, mi hanno sempre fatto la domanda «perché non scrivi in italiano?», ma in questo caso ho notato che è stata accolta semplicemente come una delle sfide che mi piace darmi quando faccio dei lavori nuovi. Che non vuol dire che da adesso in poi scriverò in italiano, però se ho voglia magari sì.
Trench coated MARBELL, stivali in gomma DR.MARTENS, borsa gioiello ROSANTICA
Secondo te effettivamente in Italia si può avere successo cantando in inglese o è impossibile, come tutti dicono?
C’è proprio un limite. Mi rendo conto che la mia musica, come quella di altre colleghe - e uso il femminile apposta perché mi sembra che le cose più fighe le stiano facendo le ragazze in questo momento - probabilmente ponga un doppio limite al successo popolare. Il primo limite sono gli elementi inusuali da cui è composta. Non voglio dire che sia musica complessa perché alla fine è sempre pop (io la chiamo art pop), ma allo stesso tempo mi piace scrivere sfidando la forma canzone, mi piace arrangiare i pezzi in un certo modo, quindi so che magari non sono ecco, del tutto accessibili o comunque non necessariamente orecchiabili. Il secondo limite è la lingua. E negli ultimi anni abbiamo visto tanti artisti anche indipendenti avere un grande successo di pubblico passando da Sanremo, che è il Festival della Canzone Italiana.
E secondo te è necessario passare da Sanremo per ‘esplodere’ in Italia?
Bè dipende da dove si vuole esplodere. Ci ho pensato tanto nell'ultimo paio d'anni, perché ho visto il percorso che hanno fatto invece artisti come ad esempio Daniela Pes, che adoro, o Io Sono Un Cane. Quindi forse un’alternativa c’è.
Adele indossa pile e pantaloni NAPAPIJRI, occhiali da sole MOSCOT, stivali UGG
Vorrei tornare a quello che mi raccontavi del tuo lavoro. Quando pensiamo a un'artista (soprattutto se donna) è automatico pensare che sia una cantante, una frontwoman. Ma tu sei anche una chitarrista, un’autrice, una produttrice. Scrivi e conosci la musica. La rappresentazione femminile in queste professioni è minima e i nomi che mi vengono in mente lavorano quasi tutti all’estero.
Sì, sicuramente a 15 anni non avrei mai pensato di poter essere io una di quelle figure più “tecniche” che lavoravano dietro la produzione musicale. Con Marco Giudici gestiamo lo studio Cabin Essence e da circa un anno lavoro anche come fonica e assistente di Marco per la produzione di dischi. Mi sono impegnata molto per avere collaboratori, clienti e persone intorno a me che non mettessero un filtro di genere sulle cose. Quindi chi arriva a lavorare con noi sa cosa può aspettarsi.
Quando produci per altri a cosa stai attenta?
Non avendo tutto l'investimento emotivo, il bagaglio, che provo quando lavoro sui miei pezzi, sono io la persona che guida l'artista e gli crea uno spazio dove può cadere sul morbido. Ho riflettuto tanto su che tipo di produttrice voglio essere, perché mi rendo conto che la mia cifra stilistica forte è negli arrangiamenti, nella scelta degli strumenti che devono stare assieme, il modo in cui scrivo le varie parti. Nei miei dischi tutto questo viene fuori all'ennesima potenza, mentre sui lavori per gli altri vorrei sviluppare di più un discorso sul suono e non soltanto sulla scrittura della musica.
Forse ho una visione un po’ - passami il termine - 'fricchettona', ma credo che la musica in sé arrivi molto prima del pensiero sulla musica. Cerco di immaginare la canzone prima ancora che sia finita e capire se gli arrangiamenti che vorrei inserire sono frutto di un mio desiderio personale o se è la canzone a richiedermeli. Questo può portare anche a dover scartare degli elementi ai quali magari sei affezionato o che sono dei comfort però non è quello che la musica ti sta chiedendo in quel momento. È anche un discorso centrato sulla comunicazione e sull'ascolto e sull’accogliere quello che ti arriva.
Questa è una cosa che dice anche Nick Cave. Che la musica è un lavoro certosino quasi di ufficio ma poi le canzoni a loro volta “arrivano”.
Sì una volta che ti lasci prendere è davvero bello.
Adesso stai lavorando tanto in studio e però sei sempre un’artista da live. Qual è la cosa che ti piace di più del contatto con il pubblico?
Quando le persone alla fine dei concerti mi ringraziano e mi dicono che il concerto, o una canzone nelle specifico, le ha aiutate a sbloccare una cosa che avevano dentro e non sapevano neanche di dover tirare fuori. È quello che succede anche a me quando vado a sentire ad esempio i Big Thief e piango per un’ora e sono felice perché avevo bisogno di sfogarmi e loro hanno parlato al posto mio con le loro canzoni.
« Ti faccio un esempio: io e Marta Del Grandi facciamo musica molto diversa, ma magari perché cantiamo entrambe in inglese e facciamo canzoni particolari non ci mettono nella stessa line-up. A un artista maschio questa cosa non succede. »
Cardigan, gonna e top stretch MARCO RAMBALDI. calze FALKE, collane e anello ELOISE (foto scattate al ristorante STUVETTA del GRACE LA MAGNA)
A te piace un sacco suonare con gli altri artisti. Quanto è importante la collaborazione nella musica e quanto può aiutare per sopravvivere in un mondo così competitivo?
Questo è un mondo in cui quasi si suggerisce di rimanere isolati e di stare da soli. Perché sai, ci sono pochi soldi, quindi è meglio se li prendi tutti tu. È triste ma alla fine spesso si riduce a questo.
E questo tipo di ragionamento “esclusivo” funziona anche il discorso che facevamo sul genere, no?
Ne ho parlato anche tanto conte mie colleghe e per molte di noi è stranissimo non aver mai suonato agli stessi festival, e abbiamo capito che questo succede perché ci mettono tutte nella stessa categoria e automaticamente una viene esclusa. Ti faccio un esempio: io e Marta Del Grandi facciamo musica molto diversa, ma magari perché cantiamo entrambe in inglese e facciamo canzoni particolari non ci mettono nella stessa line-up. A un artista maschio questa cosa non succede.
Perché due artisti uomini con le chitarre e che fanno indie rock possono stare insieme nello stesso festival e noi semplicemente perché amiamo il jazz e cantiamo bene e conosciamo la teoria musicale non possiamo stare nella stessa line-up?
Tutto questo sistema genera molta ansia e porta le artiste anche a legare poco con le colleghe a livello amicale perché costituiscono una potenziale minaccia. Però io non ci voglio giocare a questo gioco. A costo di perdere delle possibilità. Ci sono cose che dovrò accettare perché comunque è lavoro e devo pagare l'affitto e mangiare, ma c'è qualcosa dentro di me e dentro anche tante persone come me, a cui non possiamo rinunciare e questa per me è una di quelle. Mi rifiuto di escludere la possibilità che pure noi artiste possiamo essere una palette di sfumature diverse. E non è accettabile che spesso i promoter o chi gestisce la musica ci metta costantemente in competizione, una contro l’altra. Perché io devo essere insicura per il successo di un'altra ragazza? Più siamo meglio è.
Adele indossa un abito in pizzo ANIYE RECORDS
Assolutamente. E i social immagino non aiutino la situazione ansia. Come gestisci la FOMO da Instagram dove sembra sempre che tutti facciano cose e nel caso dei musicisti escano sempre pezzi nuovi, singoli, album e così via?
Penso che ci sia un problema di fondo a livello collettivo. Questa costante necessità di dover sempre apparire come vincenti in questa società non ci porta a confrontarci e a confidarci l'uno con l'altro. Tutte noi persone della musica viviamo la stessa identica esperienza: facciamo il nostro e siamo contenti mentre lo facciamo, la curva poi decresce e ci dobbiamo fermare perché è necessario anche per vivere la vita vera e fare esperienze e avere materiale sul quale poi creare nuovamente. Ma ammettere la necessità di fermarsi è un gesto da sfigati. E se non ci sei la domanda è subito: ma dove eri finita? Ma non sta lavorando lei?
C’è questa corsa costante al successo e all'essere visti. Per fortuna all’inizio della mia carriera, me lo ricordo ancora, ho incontrato Enrico Gabrielli e gli ho detto : «Enrico io mi sento sempre nel momento sbagliato rispetto a tutto quello che succede intorno a me, mi sembra sempre di essere fuori tempo rispetto alle cose». E lui mi ha detto: «Ti devi vedere come una formichina che piano piano un chicco alla volta mette da parte per l'inverno, senza l'ansia di dover raccattare tutto subito. Fai anche tu un pezzo alla volta e vedrai che questa cosa ti porterà piano piano avanti. Ci saranno un sacco di momenti in cui ti sentirai scoraggiata e penserai di essere un fallimento come artista, ma segui le tue regole interiori e le tue necessità». E davvero, sembrerà banale, ma da quel momento so che mi devo fidare del mio istinto e di quello che mi dice il mio corpo senza farmi troppo condizionare dal resto.
Per combattere la FOMO poi è utilissimo confrontarsi e parlare con gli amici e i colleghi, avere uno specchio che ti fa rendere conto di quello che hai fatto nel momento in cui sei ferma e vedi gli altri che suonano e fanno cose. Quindi il mio consiglio è andare nella vita reale, parlare e vivere ti aiuta a staccarti dai pensieri intrusivi e dalla performance online.
Adele indossa maglia con colletto AUTRY, gonna MARCO RAMBALDI, calzini GOLDEN POINT, anello ELOISE e occhiali da vista MOSCOT
Parliamo d'immagine. Oggi abbiamo scattato un servizio moda vero e proprio e prima ci hai detto che adori posare! Non me l’aspettavo.
Il rapporto con la mia immagine sta cambiando tanto, forse anche perché ho superato i 30 anni e mi sento più in pace con il mio corpo, più sicura e in armonia, come se non ci fosse più qualcosa contro cui lottare, ma qualcosa insieme al quale lottare. Come persona non binaria per anni ho collaborato con questo collettivo di Brescia di Drag Queen e ho sempre frequentato ambienti queer. Per cui per me la performance, che passa attraverso anche il truccarsi e il vestirsi, aiuta a esprimere delle parti di te che non riesci a tirare fuori nel quotidiano.
Solitamente mi vesto da 'ragazzino', però allo stesso tempo mi piace anche giocare con il fatto di poter essere femme. Non ho un corpo androgino e so che questa parte di me non posso celarla allo sguardo altrui, ma ho capito come farla diventare mia.
Prendi tu il potere.
Esatto. E mi concentro su quello che mi interessa e ci gioco. Diventa una scelta attiva e proattiva. Anche sul palco è così: non perché devo, ma perché voglio.
Adele indossa giacca e gonna a frange PORTS 1961, sandali a listelli GIUSEPPE ZANOTTI, calze GOLDEN POINT.
Ti volevo chiedere se hai delle icone di stile a cui ti ispiri o magari anche solo degli artisti a cui magari pensi quando sei sul palco, anche involontariamente.
C’era questo gruppo che si chiamava Yellow Magic Orchestra, la band di Sakamoto negli anni 80, e giocavano tanto con l'androginia, tanto colore rosso nelle loro copertine, un colore che a me fa impazzire. La loro iconografia mi ispira molto. E poi Saint Vincent che interpreta sempre un personaggio o anche Björk, tutte autrici, produttrici, tecniche della musica, che non hanno paura di confrontarsi con la loro immagine o di essere prese per superficiali perché curano i loro look.
Gilé in pelliccia e guanti MACKAGE, coperta ALONPI
Lasciamoci con una breaking news per il futuro.
Sto mixando un disco perché ho una nuova band, si chiama A Nice Noise e io suono il basso e canto.
Proprio una band, come i Måneskin (ride).
Tu scherzi ma una volta mi hanno chiesto se fossi la bassista dei Måneskin. E io ho risposto: «Sì, mi avete scoperta».
Credits:
Talent: Adele Altro, Any Other
Foto e Art Direction: Sara Reverberi
Creative Direction e styling: Sara Moschini
Location: Grace La Magna St. Moritz
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Tommy Hilfiger apre la stagione delle feste a Venezia
Con un evento esclusivo ricco di ospiti Tommy Hilfiger lancia i suoi look modern prep per le festività. Grazia era a Venezia per scoprire gli abbinamenti a cui ispirarsi e portarvi nella magia della città più bella del mondo
Come ti vestirai a Natale? È una delle domande che abbiamo chiesto agli ospiti dell’evento “A Hilfiger Holiday”, una brand experience che ha portato tanti amici italiani di Tommy Hilfiger a Venezia, per assaporare la dolce atmosfera delle feste in una delle città più eleganti al mondo.
Elisa Maino a Venezia
Simone Bredariol e Matteo Guerrieri a Murano
Ospiti per due giorni del boutique hotel Palazzina Grassi, dove lo stile contemporaneo si fonde con l’eleganza tradizionale veneziana, i talent invitati hanno potuto gustare una cena intima nel rinomato ristorante affacciato sul Canal Grande, partecipare a una sessione di soffiatura del vetro con il maestro artigiano Simone Cenedese nell’incantevole isola di Murano, pranzare al ristorante Quadrino in piazza San Marco per provare le nuove fragranze Tommy Her New York e Tommy New York e assistere a un DJ set del musicista milanese Vittorio Menozzi, ma soprattutto hanno provato e giocato con i nuovi capi della collezione Tommy Hilfiger Holiday 2025 interpretandoli ognuno con la propria personalità e adattandoli alle diverse occasioni.
Il maestro Simone Cenedese nella sua vetreria di Murano ha creato una speciale pallina di Natale con i colori iconici di Tommy Hilfiger
L’esuberante Vic Montanari, ad esempio, amante dei colori e degli abbinamenti inaspettati, ha alternato morbidi jeans e maglioni a losanghe con una longuette A line a pieghe e un collo alto natalizio dalla lavorazione grafica, Ryan Prevedel, epitome del ragazzo preppy, non si è lasciato sfuggire i jeans da indossare con i mocassini lucidi e la cravatta, tipici dell’heritage americana, e Elisa Maino il completo bianco, estremamente versatile. L’attrice Lavinia Guglielman ha optato per un look comodo con pantaloni dal taglio maschile adatti ai trasferimenti sull’acqua e alle attività pomeridiane per poi giocare con i contrasti di gonna in paillettes nera e camicia in cotone bianca della sera.
La digital creator Vic Montanari indossa un'alternativa al classico maglione natalizio
Ryan Prevedel in barca verso Murano
Elisa Maino in completo bianco Tommy Hilfiger
Lavinia Guglielman unisce look androgino con gonna nera in paiette
La coppia Paola Cossentino e Mees Truijens sembra uscita dal frame di un film della Nouvelle Vague. Lei, iperfemminile, con camicia morbida bianca e pantalone nero, e lui, in completo, mentre la giovane Dolma Lisa Dorjee riesce ad esprimere la sua parte più street con il maglione in lana abbinato ai jeans e a cambiare personalità la sera tirando fuori la dark lady ipercool che è in lei grazie all’abito stretch nero con le spalle scoperte.
Dolma Lisa Dorjee al pranzo al Quadrino in piazza San Marco dove ha potuto scoprire la fragranza Tommy Her New York
Il table set per il pranzo al Quadrino con i profumi Tommy Her New York e Tommy New York
Dolma Lisa Dorjee in abito nero lungo
Paola Cossentino e Mees Truijens elegantissimi alla cena a Palazzina Grassi
E ancora: Yusuf Panseri, Mattia Basso, Simone Bredariol e Matteo Guerrieri hanno avuto la possibilità di interpretare per i look daily la maglieria, punto forte della collezione Tommy Hilfiger Holiday 2025 caratterizzata dall’inconfondibile Tommy Crest, lo stemma che raffigura un leone con la spada circondato da una corona di alloro che ritroviamo anche su berretti e sciarpe, per poi trasformarsi in gentlemen con un twist per la sera.
Yusuf Panseri spezza il classico completo e opta per un mix bianco, crema, micro scacchi
Simone Bredariol nel suo look serale
Matteo Guerrieri sceglie il velluto e i pantaloni bianchi per la cena di Natale
Accanto all’esperienza di Venezia, il brand americano porta la storia e il calore delle festività 2025 anche nei negozi di Milano e Roma. Gli ospiti potranno infatti godere di un servizio gratuito di confezionamento regali per tutto dicembre, mentre in alcune giornate ci saranno delle divertenti “Santa’s Mailbox”, un carrello di cioccolato e serate di shopping speciali – momenti coinvolgenti pensati per accogliere i consumatori nella comunità del marchio. Qui il link per iscriversi a tutte le iniziative.
L’evento non poteva concludersi se non con uno speciale Secret Santa, dove i ragazzi e le ragazze hanno potuto scambiarsi i regali, ovviamente tutti pensati per loro da Tommy Hilfiger.
E voi? Siete pronti a vivere un Natale firmato Tommy Hilfiger?
Credits:
Video: Andrea Barbui
Foto: Tommaso Biondo
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