Incontro con Giuliana Matarrese, giornalista di moda alla ricerca costante di storie da raccontare
Trench CHB di Christian Boaro
Giuliana, raccontaci dei tuoi studi, come hai cominciato, il tuo percorso sin dal principio.
Sono originaria di Putignano, cittadina conosciuta per il suo carnevale e la produzione di abiti da sposa, mi sono laureata in lingue a Bari, avevo il sogno di diventare una traduttrice per le Nazioni Unite e il primo giorno, quando i professori ci chiesero cosa avremmo voluto fare alla fine degli studi, alla mia affermazione “La traduttrice per l’Onu” la prof mi di inglese mi rispose “Qualcosa di più realistico?” Così ho ripiegato sul diventare una giornalista di moda. Fattibile no? Finito il triennio decisi che avrei voluto mettere a frutto la mia ossessione per la scrittura, un’urgenza che mi accompagna fin da bambina. Nella moda ritrovavo tutti i riferimenti culturali, musicali e cinematografici di cui mi sono sempre nutrita. Sono andata a Milano e ho fatto un corso in un'accademia privata e ho iniziato a lavorare in un ufficio stampa per tre mesi. Sono entrata in contatto coi giornalisti e ho cominciato a capire chi faceva cosa. Ho mandato il mio curriculum a Laura Cazzaniga, la storica segretaria e assistente di Franca Sozzani. Da Glamour avevano bisogno di qualcuno, stavano lanciando un'app dove si potevano creare dei look e serviva una persona che scrivesse i testi, così misi piede in una redazione moda. Finiti i sei mesi di stage Cristina D’Antonio vice caporedattrice attualità mi propose di scrivere e incominciai la mia collaborazione come contributor. Da lì iniziai anche a scrivere di moda per l’Uomo Vogue facendo le recensioni delle sfilate sul sito. Il passaggio successivo è stato cominciare a intervistare personaggi della moda e articoli sul magazine. Icon invece è stata la redazione vera e propria della quale ho fatto parte a tutti gli effetti per quattro anni.
Che bambina sei stata?
Molto timida e introversa sempre alla ricerca di stimoli per il mio mondo interiore. Scrivevo qualsiasi cosa da qualunque parte. Leggevo moltissimo anche quando non sapevo leggere. Mia nonna aveva questi tomi di cucina che sfogliavo avidamente e pur non capendoli mimavo le ricette. Ho avuto un padre severissimo e la mia maniera di viaggiare è stata la lettura. A tredici anni mi era proibito uscire e mi immergevo nei libri. Tutto questo ha costituito le fondamenta dei miei riferimenti culturali e letterari che stanno alla base della mia scrittura di oggi.
Abito AC9
Come hai conciliato la tua timidezza con il lavoro di giornalista?
Ho dovuto imparare ad andare agli eventi, a presentarmi alle persone, a farmi conoscere e nonostante tutto ciò cozzasse con la mia introversione l’ho fatto perché questo lavoro era ed è, una delle cose che mi rende felice. Tutti gli ostacoli, a cominciare dalla retribuzione scarsa all’inizio che obbligava ad avere altri lavori per mantenersi, li ho superati trovando un punto di equilibrio. Ricordo le prime interviste dove dovevo chiamare, avevo il terrore di alzare la cornetta e parlare con uno sconosciuto. L’esercizio costante è diventato mestiere e mi sono sbloccata. Poi il mio carattere non è cambiato, quando finisco di lavorare voglio solo tornare a casa e stare da sola.
Come è cambiato il mondo della moda secondo te? Non pensi che non sia più un monolite irraggiungibile, soprattutto negli ultimi anni?
Assolutamente, non è più solo un blocco di persone privilegiate e avulse dalla realtà. Con la crisi attuale che abbiamo nell’editoria siamo sulla stessa barca ed è inutile avere atteggiamenti di chiusura. Sta anche avvenendo un ricambio generazionale fisiologico. Se vogliamo parlare di moda alla Gen Z o ai ragazzi e alle ragazze degli anni duemila parliamo di un mondo che per loro è aspirazionale e in qualche modo, finito. Penso ad esempio a Vogue Paris che ha cristallizzato un'immagine precisa degli anni '80 ma la moda si è sempre, sempre occupata del mondo reale. Pensiamo agli anni digital, dove porte che non esistevano si sono aperte grazie ai social network.
Camicia, shorts e giacca CANAKU
Come hai vissuto il tuo lavoro in questi anni di trasformazione, sui social ci sei tu come professionista ma anche come persona.
Questa pandemia ha accelerato alcuni processi di cambiamento in atto che sarebbero comunque arrivati. Il sistema editoriale italiano si stava auto fagocitando. I ragazzini spesso mi chiedono quale giornale comprare perché non ne trovano uno che li rappresenti. Significa che la fascinazione per il cartaceo continua a esistere ma che la risposta invece tarda a manifestarsi. A livello personale le cose sono cambiate quando Andrea Batilla (ndr autore, giornalista, digital creator) mi ha nominato e mi sono vista arrivare un sacco di follower bisognosi di parlare di moda. Ho scoperto l’esistenza di un pubblico per il lavoro che faccio e che vuole andare oltre la borsetta di stagione o l’oggetto del momento. Bisogna tenere conto che queste generazioni sono nate con il cellulare in mano e che è importante aiutarli a navigare nel mare magnum delle informazioni che hanno a portata di click. Noi non avevamo tutta questa enorme mole di nozioni, dovevamo andare in biblioteca ad approfondire qualsiasi argomento e abbiamo avuto più tempo per processare e sedimentare le nostre conoscenze. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di qualcuno che racconti loro il contesto non solo la notizia boom del momento. Non mi sono mai uniformata alla rincorsa di essere alla moda e ho sempre pensato di essere diversa in questo senso, ho scoperto invece che c’è un mondo di persone così con cui confrontarsi e che l’unicità fa davvero la differenza. Il mezzo digitale mi ha anche insegnato a usare un linguaggio adatto, diverso da quello della carta stampata, non semplificato ma consono. Nelle stories creo slide con suggerimenti e idee perché voglio che le persone siano stimolate alla scoperta di cose nuove e poi abbiano voglia di scoprirne altre. In poche parole, ho imparato a comunicare in modo orizzontale.
Camicia e longuette DES PHEMMES, scarpe IL TRAFFICO
Secondo te il sistema moda come può sopravvivere a questi cambiamenti strutturali senza autoconservarsi in modo respingente?
Trovo interessante l’esempio della Maison Valentino, Pier Paolo Piccioli che è un uomo di cinquant’anni ha delle antenne molto sensibili sul presente e ha offerto la sua piattaforma ad altri designer emergenti per raccontare il loro lavoro. Ha aperto la sua visione e non ha avuto l’atteggiamento soffocante che invece ha subito la nostra generazione da quella precedente che ci ha schiacciato senza pietà, diciamolo. A un certo punto se non sei in grado di decifrare il presente il lavoro ti viene tolto dalle mani comunque, lo dico come constatazione. Per fortuna esistono persone che nonostante l’età e l’autorevolezza acquisita si aprono alle nuove generazioni ma a oggi rimangono, purtroppo, delle eccezioni. Penso anche ad Antonio Mancinelli, grande giornalista di moda che ha avuto l’umiltà di mettersi alla prova con Instagram cercando di trovare il modo di comunicare e dialogare con le generazioni diverse dalla sua. Il mondo è cambiato: puoi decidere di adeguarti o di opporre resistenza. Una delle ragioni per cui questo sistema è imploso è anche stata la mancanza di condivisione delle competenze. Ci sono delle eccezioni come è successo per me da Icon, dove Valentina Ardia caporedattrice centrale, mi ha lasciato tutto lo spazio necessario affinché crescessi professionalmente nonostante all’inizio fossi una collaboratrice esterna.
Giacca e pantaloni SSHEENA
C’è anche il tema dell’idealizzazione eccessiva di questo lavoro, che ne pensi?
Per molte persone della mia generazione e di quella precedente il problema è che invece di pensarlo come una professione questo lavoro si è trasformato in uno status. Il posto che hai in sfilata è il posto che hai nella vita. Non credo. Non siamo il nostro lavoro. Può essere una fase ma poi deve cambiare, ho imparato a coltivare i miei spazi personali, a non lasciarmi prendere dalla fomo (ndr fear of missing out), a non dover per forza vedere tutte le serie del momento, leggere l’ultimo libro di cui si parla. Siamo stati chiusi due anni, voglio vivere. Viviamo anche in una società dove tutto quanto sembra una costante performance ma ho imparato ad ascoltare il mio tempo interiore e ho deciso di non seguire questo tipo di corrente. Se una persona è interessata alla mia opinione mi ascolterà in qualsiasi momento.
Abito AC9
Abbiamo realizzato con te un servizio moda, fai le dirette in prima persona e ti esponi, com’è il tuo rapporto con la tua immagine?
Come dice la meravigliosa Michela Giraud ci sono giorni che ti svegli Belen e giorni che ti svegli Magalli. Siamo immerse in una società profondamente estetizzante dove riceviamo molte pressioni per cui se non sei a tuo agio con la tua immagine l’unica cosa sana da fare è avere un dialogo interiore. Come dicevo, essendo una persona timida, proverò sempre disagio nel farmi ritrarre. In questo caso avendo un rapporto di fiducia con voi mi sono affidata.
Bracciale GALA ROTELLI, maglione traforato, top e pantaloni FEDERICO CINA
Quali abiti ami indossare e ti fanno sentire a tuo agio?
Ho un’anima rocker anni '80 zarra che mi diverte moltissimo e che si traduce in t-shirt di gruppi musicali, biker e le Dr Martens e un’altra anima glam anni '40 che invece predilige volumi rigorosi, gonne a vita alta. Tra i miei capi preferiti ci sono le pencil skirt e i crop top.
Un tuo sogno?
Prima della pandemia avevo un atteggiamento più cinico e pensavo ad arrivare a fine mese e vi avrei risposto così, adesso che sento il cambiamento vi racconto la storia di Robin Givhan, la prima fashion editor americana ad avere vinto (fino a oggi) il Pulitzer dimostrando quanto parlare di moda sia un atto politico. Vorrei essere la seconda.
Maglione traforato, top e pantaloni FEDERICO CINA, anelli VOODOO JEWELS
Credits:
Foto: Claudia Ferri
Styling: Francesca Crippa
MUA/Hair: Silvia Sidoli
Art Direction: Sara Moschini e Daniela Losini
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