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Gli stereotipi di genere e le discriminazioni nei comportamenti: cosa sono

Gli stereotipi di genere e le discriminazioni nei comportamenti: cosa sono

foto di Daniela Losini Daniela Losini — 24 Novembre 2021
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Gli stereotipi di genere nel linguaggio e le discriminazioni nei comportamenti: cosa sono e come riconoscerli

Gli stereotipi di genere sono un insieme di pregiudizi e opinioni predigerite su persone o gruppi sociali a dispetto dell'analisi dei casi singoli.

La parola stereotipo significa fissità, ripetizione. Applicata al genere l'associazione mentale restrittiva è pressoché immediata.

Gli stereotipi di genere sono profondamente interconnessi coi ruoli di genere che sono un insieme di regole comportamentali socialmente e culturalmente condivise sul genere femminile e maschile. Una differenziazione binaria da ritenersi superata dato che lo spettro del genere umano è assai più complesso.

Un esempio: negli anni cinquanta vi era un dislivello di istruzione tra genere femminile e genere maschile perché si riteneva che fosse la parte maschile a dover accedere alla conoscenza didattica mentre il genere femminile, dovendosi occupare della famiglia, aveva già un ruolo pre-definito.

Ai giorni nostri questa classificazione e tale stereotipo uomo/lavoro e donna/famiglia è ancora molto presente nelle culture di tutto il mondo in modi più o meno profondi. Dai primi movimenti di auto-determinazione soprattutto femminile - benché si sia fatta parecchia strada - una reale parità è ancora lontana dal verificarsi basti pensare al fenomeno del gender pay gap ovvero a parità di mansione con un uomo, le donne sono pagate di meno. In Italia siamo 70esimi nella classifica dei Paesi col minor divario salariale. Un dato che parla da solo.

Nell'ambito degli stereotipi di genere e dei cosiddetti ruoli di genere si inserisce il tema della discriminazione.

Discriminare significa differenziare in seguito a un giudizio o una classificazione e quasi sempre è un'azione comparativa al negativo per chi la subisce. Non sempre le discriminazioni sono volontarie, entrano in gioco radicate convinzioni educative e/o sociali.

Nello specifico per individuarle abbiamo una serie di termini che descrivono comportamenti discriminatori:

Abilismo: non tiene conto dell'esistenza delle persone disabili e non solo nell'oggettiva quotidianità con l'ostacolo delle barriere architettoniche (come è successo ad esempio alla ministra Karine Elharrar) ma anche nella rappresentazione.

Ageismo: si discrimina in base all'età di una persona.

Bias cognitivo: si tratta di percezioni errate o deformate che hanno radici nel pregiudizio. Possono essere coscienti o sub-coscienti e possono generare discriminazioni.

Body shaming: dileggiare le persone per il loro aspetto fisico.

Deadnaming: chiamare una persona transgender o transessuale con il nome e il pronome precedente al cambio di identità sessuale.

Doppio standard: a parità di situazioni simili si applica un metro di giudizio diverso a seconda del genere di appartenenza.

Classismo: discriminazione verso persone di diverso ceto sociale e contemporaneamente stregua difesa del proprio privilegio acquisito o status quo.

Grassofobia: non solo body shaming ma anche paura e disprezzo per il grasso e le persone grasse.

Lesbofobia: paura e avversione delle persone che si identificano nel genere femminile e hanno orientamento omosex.

Maschilismo: presunta superiorità maschile rispetto alle donne. La deriva del linguaggio maschilista è, ad esempio, il mansplaining, ovvero ripetere/spiegare quanto detto da una donna a opera di un uomo svalutando così di fatto l'operato femminile.

Moralismo: costrutto che nasce da pregiudizi o da un cosiddetto ordine morale condiviso. A tal proposito ricordiamo che lo stupro è diventato reato contro la persona e non più contro la morale solo nel 1996.

Omofobia: paura e avversione delle persone che si identificano nel genere maschile e hanno orientamento omosex.

Rape culture/cultura dello stupro: si tratta di una serie di atteggiamenti e comportamenti che minimizzano, normalizzano e incoraggiano la violenza di qualsiasi tipo sulle donne. Ruolo fondamentale gioca la rappresentazione di genere in tutti i media quando sostiene e giustifica la sopraffazione ad esempio, con titoli, immagini, frasi e opinioni sessiste.

Razzismo: una razza predominante si auto legittima come superiore verso un'altra. Deriva oscura di questa discriminazione è il colonialismo, ovvero la conquista arbitraria di altri territori da parte di uno stato.

Sessismo: si valutano le capacità delle persone in base al sesso.

Sessismo benevolo: come sopra ma è più complesso evidenziarlo, generalmente è mascherato da battute o frasi apparentemente gentili.

Slut-shaming: quando si offende una persona che si identifica nel genere femminile perché si veste e comporta al di fuori della cosiddetta morale condivisa e trasgredisce dagli stereotipi e ruoli di genere.

Transfobia: insieme di pregiudizi negativi, paura e avversione per le persone transgender e transessuali.

Come possiamo lavorare su questi temi discriminatori che molto più spesso di quanto crediamo inquinano il nostro pensiero e i nostri comportamenti? Come possiamo provare a parlare e scrivere il più inclusivo possibile? Nel prossimo articolo proviamo a tracciare alcuni punti fermi.

Credits ph. Pexels

© Riproduzione riservata

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