Perché ridere di sé è il gesto più sano (e potente) che possiamo fare


«Cringe ma felice.» «Un disastro, ma con del potenziale.» «Mi rovino la vita con entusiasmo.»
Se queste frasi vi suonano familiari, sappiate che non siete sole. È il linguaggio del momento: quello di chi ha deciso di smettere di inseguire la perfezione e ha cominciato, finalmente, a ridere di sé.
Nel 2025 l’autoironia non è solo una forma di leggerezza: è diventata una forma di autocura. Vi spieghiamo perché.
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Perché ridere di sé non è autocommiserazione
Attenzione: autoironia non è autodenigrarsi. Non è dire “sono un disastro” per anticipare il giudizio altrui, né usare il sarcasmo come scudo. È qualcosa di più sottile e più sano: è la capacità di riconoscere i propri inciampi senza drammatizzarli, accettare i propri difetti senza vergogna, sorridere delle proprie fragilità con tenerezza.
In un’epoca che ci ha abituati a filtri, performance e brand personali, riuscire a prendersi meno sul serio è una forma di libertà.
C’è qualcosa di profondamente umano infatti nel dire “ho fatto una figuraccia” e riderci sopra. Non solo perché ci rende più autentiche, ma perché abbassa la pressione sociale, rompe il ghiaccio, crea connessioni.
Essere autoironiche non significa sminuirsi, ma riconoscere che l’imperfezione è condivisa e spesso, anche divertente.
Secondo alcuni psicologi, chi usa l’umorismo su di sé ha livelli più alti di intelligenza emotiva. Perché l’autoironia funziona come una lente che ridimensiona i problemi, alleggerisce il giudizio e ci aiuta a stare meglio con noi stesse.

Come coltivare (bene) l'autoironia
La chiave è tutta qui: parlare a sé stesse come si parlerebbe a un’amica. Non usare l’umorismo per ferirsi, ma per rassicurarsi.
Ridere quando qualcosa va storto, ma anche riconoscere quando si ha bisogno di aiuto. Prendere la vita sul serio, ma non prendersi troppo sul serio.
E magari, imparare a dire: “Sì, oggi sono un casino. Ma un casino adorabile.”
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