Avete mai fatto trekking a Milano?

Chi l’ha detto che il trekking si fa solo in montagna? Si può fare anche in città, con lo stesso approccio “esplorativo” dell’alta quota, perché è un modo per fare movimento e scoprire anche nuovi luoghi di Milano a piedi.
Abbiamo provato il trekking urbano insieme a LaMunt, il brand di abbigliamento di montagna solo al femminile: un itinerario tra architettura, natura, arte contemporanea e progetti di riqualificazione.
Insomma, invece di chiudersi in palestra, in piscina o in un campo da padel, camminate insieme a noi per la città esplorando nuove architetture, antichi monumenti, opere d’arte, spesso non lontano da casa.
È anche un modo per dedicare del tempo finalmente a se stesse, magari con qualche amica. Godendosi così il proprio "me-time", un concetto chiave di LaMunt.
«Questo brand è il risultato del mio personale modo di vivere la montagna, dove ritrovo me stessa, stacco la spina, mi allontano dalla frenesia della quotidianità, liberando la mente. E se non è possibile farlo in montagna, si può fare benissimo anche in città», dice Ruth Oberrauch, fondatrice del marchio.
Abbiamo così attraversato luoghi iconici di Milano, ma anche zone sconosciute che ci hanno sorpreso, guidati dalla nostra guida Egle Varisco: un itinerario di 8,5 chilometri a piedi e 330 metri di dislivello. Il punto di partenza è all’Arco della Pace: siamo una ventina, appassionate di fitness, pronte a camminare e guardare la città con uno sguardo diverso.
Perché magari nella vita giriamo il mondo in lungo e in largo, ma poi non conosciamo molti tesori nascosti nella città in cui viviamo, che incrociamo di fretta senza rendercene conto. Come l’Arco della Pace, un luogo dove i milanesi si danno appuntamento per l’aperitivo, ma che pochi osservano davvero.
Pensato come un arco di Trionfo da Napoleone per celebrare la vittoria di Jena contro i prussiani, dopo la caduta del generale gli austriaci, tornati in città, avevano due opzioni: distruggere il monumento o riconvertirlo. Lo hanno trasformato in Arco della Pace.
Ma l’ultima dedica del monumento è stata in realtà a Vittorio Emanuele, Re d’Italia: insomma, un arco per tutte le stagioni storiche della città.
Ci lasciamo alle spalle Parco Sempione, diventato un parco con l’Unità d’Italia (prima era una piazza d’arme, dove nel Seicento le truppe spagnole si esercitavano) e ci muoviamo verso il nuovo quartiere City Life. È il progetto di riqualificazione del quartiere Fiera di Milano che ha regalato a Milano tre grattacieli, un parco e abitazioni lussuose.
Ma prima di arrivarci, facciamo sosta ai giardini Bompiani, dedicati al celebre editore milanese. Pensate che fino a un secolo fa non c’era neanche un albero qui, ma solo un enorme scalo merci, non troppo lontano dalla stazione di Cardorna.
Costeggiamo tutte insieme via Vincenzo Monti ed Egle ci racconta che vale la pena fare una piccola deviazione in via Nievo: qui c’è una delle case progettate da Luigi Caccia Dominioni, l’architetto del Novecento più milanese di tutti. Rivestita con gres azzurrino, elegante e perfetta, ha le finestre a filo e i bow-windows: è da vedere.
Poco oltre, sopra i tetti, si vede già il grattacielo di Isozaki, una delle Tre Torri di City Life: è la più alta, 209 metri. Sapete che l’hanno soprannominato “il Dritto”? Per distinguerlo da quello di Zaha Hadid che ruota un po’ su di sé ed è chiamato “lo Storto” e quello di Daniel Lebeskind “il Curvo”.
Ma prima di arrivare davanti ai grattacieli, camminiamo lungo una costruzione che sembra davvero un transatlantico: sono le residenze di lusso firmate dall’archistar anglo-irachena Zaha Hadid.
Con gli esterni color bianco e legno e le grandi vetrate, assomiglia effettivamente a un super yacht. Molto diverso dalle residenze accanto, con le superfici quasi inclinate, un po’ asimmetriche, firmate dal polacco Daniel Lebeskind.
È lì che vive ora Chiara Ferragni, con una sala cinema con maxischermo.
In questa zona una volta c’era la Fiera Campionaria di Milano. L’appuntamento più importante era ad aprile: tutti i milanesi potevano entrare alla Fiera a vedere ogni sorta di prodotto nazionale o internazionale, dai formaggi alle moto Guzzi agli oggetti design Alessi. Di tutto questo oggi è rimasto solo l’edificio chiamato oggi Palazzo delle Scintille.
In fondo Milano si rinnova di continuo ed è proprio nel suo rinnovarsi c’è la sua identità più autentica. Per questo è anche divertente fare un giro del parco di City Life: lì c’è un museo d’arte contemporanea a cielo aperto con 20 sculture disseminate tra prati e alberi.
Le opere sono divertenti, come “Bauci e Filomene” due grandi colonne umanizzate in alluminio che si tengono a braccetto e osservano i nuovi grattacieli.
Poi abbiamo fatto una caccia al tesoro delle classiche fontanelle di ghisa verde: sembrano uguali a quelle sparse in tutta la città, ma qui a City Life sono speciali. L’artista Serena Vestrucci si è divertita a prenderci in giro sostituendolo il classico drago da cui esce l’acqua, con animali diversi, dall’elefante al polpo fino alla giraffa.
Ma l’opera più curiosa è quella su cui camminiamo a un certo punto: è un mosaico di stelle incastonate nel pavimento davanti a uno dei grattacieli. Riproduce il cielo stellato del 600 a.C: Milano, secondo lo storico Tito Livio, è stata fondata dal principe Belloveso proprio allora. Un modo per immaginare la città prima che tutta la sua storia cominciasse.
Il nostro urban trekking continua e vediamo da lontano il Vigorelli: un impianto sportivo storico dove il ciclista Fausto Coppi ha fatto tanti record, ma gli appassionati di musica lo ricordano soprattutto perché è qui che i Beatles, il 24 giugno 1964 hanno fatto un concerto nel loro unico tour italiano.
Arriviamo finalmente al Portello, che non è solo una fermata della metropolitana, ma luogo di un importante pezzo di storia italiana. Dal 1906 è stata infatti la sede dell’Alfa Romeo.
Ora c’è solo un centro commerciale e una piazza immensa un po’ disumana e totalmente deserta, piazza Gino Valle, che copre un parcheggio. Qui l’unica cosa che vale la pena vedere è il bassorilievo di Emilio Isgrò, l’artista che ha eletto la cancellatura a forma d’arte.
Ha preso infatti una frase del racconto Ponte della Ghisolfa dello scrittore Giovanni Testori, ha cancellato molte parole e ne ha restituito un messaggio che si legge fra le righe nella piazza.
E pensare che proprio qui, quando c’era la fabbrica Alfa Romeo, è stato girato il capolavoro di Luchino Visconti, Rocco e i suoi fratelli. Era il 1960 e dalla catena di montaggio uscivano le mitiche Giulietta. E prima che smantellassero i vecchi stabilimenti, un altro regista, Gabriele Salvatores, ci ha girato un film: Nirvana.
Finalmente dopo tanto cemento, camminiamo verso il verde: il parco del Portello. È piccolo, ma c’è tutto, laghetti, prati, quella che dicono sia la panchina più lunga del mondo (208 metri), ma soprattutto una collina artificiale.
Ispirata al ciclo lunare (si chiama Moon Garden) ha un divertente e scenografico percorso a spirale in salita. Egle ci racconta che è stata costruita utilizzando il materiale di scavo dei cantieri della ex Alfa Romeo. L’idea dei milanesi era non buttare niente, ma riciclare. È il principio della economia circolare.
Per il nostro pic-nic, che segna la fine del nostro urban trekking, mancano ancora dieci minuti di cammino. La destinazione è un altro angolo di verde della città, uno dei più famosi: “la Muntagna de Milàn”, il Monte Stella.
Diciamo la verità: fa un po’ sorridere chiamarla montagna, visto che è alta solo 185 metri, eppure dalla strada che la circonda è tutto un salire e scendere di ciclisti, corridori e, appunto, appassionati di urban trekking. Insomma, qui si chiacchiera, si cammina, ma soprattutto si fa sport.
Ed è incredibile che sia stata realizzata utilizzando le macerie sparse per la città dopo la seconda guerra mondiale.
Ed è proprio in cima alla montagna milanese in miniatura, che salutiamo le amiche del nostro urban trekking, per darci appuntamento magari in Alto-Adige, dove nasce il brand La Munt che ci ha accompagnato in questa speciale escursione urbana.
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Pandoro o panettone? La psicologia spiega cosa c'è dietro la scelta

C’è una scelta che, durante le feste, ritorna con puntualità quasi rituale sulle nostre tavole: pandoro o panettone?
Apparentemente banale, questa preferenza divide gusti e abitudini familiari da generazioni, ma può essere letta anche come un piccolo segnale del nostro modo di vivere il Natale.
Al di là delle mode e delle infinite varianti artigianali, il dolce delle feste resta un simbolo potente; legato all’idea di comfort, tradizione e piacere condiviso.
Senza voler trasformare una scelta gastronomica in un test di personalità, è interessante osservare come la psicologia attribuisca al cibo un valore emotivo e identitario.
Preferire il pandoro o il panettone non svela i nostri segreti più nascosti, ma può raccontare qualcosa del nostro rapporto con la semplicità, la complessità e il bisogno di rassicurazione o di varietà, proprio nel periodo dell’anno in cui queste dinamiche emergono con più forza.
**Le 5 personalità che si trovano durante le vacanze di Natale: quale siete?**
Pandoro o panettone? La psicologia spiega cosa c'è dietro la vostra scelta
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Se siete team pandoro
Chi è team pandoro spesso cerca nel Natale (e nel cibo) una forma di rassicurazione.
Il pandoro è lineare e senza sorprese: stesso sapore, stessa consistenza, stesso rituale ogni anno. Psicologicamente, questa scelta può riflettere una personalità che ama le cose chiare, riconoscibili, che funzionano senza troppe complicazioni.
Il pandoro piace a chi tende a preferire il comfort emotivo alla sperimentazione, a chi trova benessere nella ripetizione e nelle tradizioni così come sono. Non è una chiusura al nuovo, ma un bisogno di stabilità: in un periodo già carico di stimoli, impegni e aspettative, scegliere qualcosa di semplice diventa un modo per alleggerire.
È la scelta di chi nel Natale cerca una pausa dal rumore, più che un’esperienza da esplorare. Un dolce che non chiede di essere interpretato, ma solo gustato.
Se siete team panettone
Chi invece è team panettone tende ad avere un rapporto più fluido con la varietà e l’imprevisto.
Il panettone è stratificato, imperfetto, pieno di elementi diversi che convivono insieme: dolcezza, acidità, consistenze differenti. Non è mai identico a sé stesso, e forse è proprio questo il suo fascino.
Dal punto di vista psicologico, chi lo preferisce è spesso più aperto al cambiamento, meno infastidito dalle sfumature della vita e più attratto dalle esperienze complesse. Scegliere il panettone significa anche accettare ciò che non piace a tutti (uvetta e canditi) ma che fa parte del “pacchetto”. Un atteggiamento che racconta tolleranza, adattabilità e curiosità.
Il panettone è il dolce di chi vive le feste come un momento di convivialità vera, fatta di differenze che si incontrano. Di chi ama mescolare, provare, cambiare versione ogni anno. È la scelta di chi non cerca solo conforto, ma anche stimoli, storie, contaminazioni.
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Questi comportamenti quotidiani (apparentemente normali) peggiorano l'ansia senza che ce ne accorgiamo

Ci sono giornate in cui non sappiamo spiegare bene perché ci sentiamo irritabili, sotto pressione, come se il corpo corresse più veloce della testa. Spesso diamo la colpa al lavoro, ai ritmi frenetici della vita, ai colleghi anticipatici, al meteo o semplicemente al periodo dell’anno.
Può essere però che a contribuire a questa sensazione ci siano abitudini minuscole, talmente automatiche da non farci più caso.
Secondo diversi terapeuti, molte delle nostre routine quotidiane (dal modo in cui iniziamo la nostra gioranta al modo in cui usiamo lo smartphone) attivano il sistema nervoso senza che ce ne rendiamo conto. E così un po’ alla volta, giorno dopo giorno, contribuiscono a rafforzare quell'ansia, quella tensione di fondo costante che sembra arrivare “dal nulla” ma che in realtà ha radici molto concrete.
Niente allarmismi: la buona notizia è che, una volta identificate, queste micro-abitudini si possono correggere con piccoli cambiamenti sostenibili. E gli effetti sul benessere mentale possono essere sorprendenti.
**5 frasi da non dire mai a una persona ansiosa (e cosa dire invece)**
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Il telefono al risveglio, il multitasking continuo e quelle “micro-scosse” che attivano il sistema nervoso
Molti comportamenti che ci sembrano innocui sono, in realtà, tra i principali responsabili dell’ansia quotidiana.
Il primo della lista? Guardare il telefono appena svegli. Quello che sembra un gesto normale, controllare notifiche, messaggi, social, non dà al cervello il tempo di passare gradualmente dal sonno alla veglia. Al contrario, lo espone immediatamente a un flusso di informazioni, stimoli e richieste che attivano la risposta allo stress già dal primo minuto della giornata.
A questo si aggiunge il nostro stile di vita iper-veloce: multitasking costante, pause saltate, pasti mangiati in fretta o direttamente rimandati, riunioni che si accavallano, email che arrivano a raffica. Corpo e mente non hanno mai un vero momento per rallentare e ricalibrarsi. È la condizione perfetta per alimentare ansia, stress e irritabilità.
Anche i micro-stress ripetuti, come le notifiche del telefono o l’email che lampeggia sullo schermo del pc, hanno un impatto maggiore di quanto pensiamo. Funzionano come piccole scosse al cervello; brevi, ma continue. Il risultato? Il sistema nervoso resta in iper-attivazione, come se fosse sempre pronto a reagire a una minaccia, anche quando in realtà non c’è.
Non è un caso che molte persone raccontino di “non riuscire più a rilassarsi davvero”: il corpo rimane in modalità fight or flight anche mentre siamo seduti sul divano. Una condizione sottile, invisibile, ma che alimenta anisao a lungo termine.
Poco sonno, troppi schermi e una routine che non rispetta i ritmi naturali
Un altro fattore chiave è il sonno. Quando dormiamo troppo poco (o male) le aree del cervello che regolano le emozioni diventano più reattive. E così, ciò che in un giorno normale sarebbe un piccolo fastidio (una mail urgente, un imprevisto, una discussione) diventa un detonatore emotivo. Siamo più suscettibili, più stanchi, più vulnerabili allo stress.
Il problema è amplificato dal tempo passato davanti agli schermi, soprattutto nelle ore serali. La luce intensa del computer o della televisione comunica al cervello che “non è ancora ora di dormire”, interferendo con la produzione di melatonina e con la capacità di disattivare gradualmente il sistema nervoso. E quando andiamo a letto con lo smartphone in mano, portiamo con noi anche tutte le sue notifiche, informazioni e stimoli non elaborati. Il risultato? Un sonno meno profondo, più risvegli notturni e maggiore anisao al mattino.
Infine, c’è un elemento spesso sottovalutato: il sovraccarico decisionale. Tra lavoro, messaggi, social, email, appuntamenti, scadenze e notifiche, ogni giorno prendiamo centinaia di micro-decisioni. Questo crea un affaticamento mentale che il nostro sistema non è progettato per sostenere a lungo senza pause. E quando il cervello si sente “sovraccarico”, l'ansia trova terreno fertile.
Cosa possiamo fare per controllare e ridurre l'ansia
La buona notizia è che per ridurre l'ansia non servono cambiamenti drastici: spesso bastano piccoli aggiustamenti inseriti nella routine quotidiana.
Gli psicologi suggeriscono, ad esempio, di evitare di iniziare la giornata con il telefono in mano. Concedersi anche solo dieci o quindici minuti di “risveglio lento”, senza notifiche né stimoli digitali, aiuta il sistema nervoso a non attivarsi subito in modalità allerta.
Allo stesso modo, introdurre brevi pause durante la giornata (anche solo una manciata di secondi per fare stretching, chiudere gli occhi e fare un paio di respiri profondi) permette al corpo di ritrovare un ritmo più regolare e meno reattivo.
Un altro accorgimento utile riguarda le notifiche: limitarle significa ridurre quel flusso costante di micro-sollecitazioni che mantiene la mente in tensione.
Anche la gestione degli schermi serali può fare una grande differenza: tenere il telefono lontano dal viso o ridurre il tempo trascorso online prima di dormire aiuta il cervello a produrre melatonina e a prepararsi al riposo.
Infine, muoversi un po’ ogni giorno, anche per pochi minuti, contribuisce a sciogliere la tensione accumulata e a rimettere in circolo energie più equilibrate. È un modo semplice per ricordare al corpo che non deve restare sempre in modalità emergenza: può rallentare, respirare, ritrovare il proprio centro.
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Ecco il segreto per impacchettare i regali di Natale in 4 mosse

Impacchettare i regali di Natale per molti è un task più difficile e impegnativo che scegliere e comprare un pensiero per tutti.
Nonostante la sua apparente semplicità, l’idea di carta stropicciata, scotch visibile e fiocchi sbilenchi può mettere in crisi tutti, ma soprattutto gli amanti della precisione con poca dimestichezza coi lavoretti manuali.
La buona notizia però è impacchettare i regali di Natale in modo ordinato ed elegante non richiede talento artistico né materiali costosi, ma solo un po’ di metodo e qualche accorgimento pratico.
Con pochi passaggi mirati e un approccio più attento ai dettagli, anche il pacchetto più semplice può trasformarsi in una confezione curata e armoniosa, capace di valorizzare il regalo e di fare la una bellissima figura sotto l’albero, senza l’effetto improvvisato dell’ultimo minuto.
**5 trucchi per scrivere bigliettini di auguri di Natale originali (senza chiedere a ChatGPT)**
Come impacchettare i regali di Natale: i consigli da seguire passo dopo passo
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1. Scegliere carta e materiali (pochi, ma giusti)
Il primo errore quando si cerca di capire come impacchettare i regali è pensare che servano mille decorazioni. In realtà, meno materiali si usano, più il pacchetto risulta elegante.
La scelta della carta è fondamentale: meglio una carta leggermente più spessa, facile da piegare e meno soggetta a strapparsi. Le carte troppo sottili o lucide, invece, tendono a segnarsi subito e a rendere le pieghe imprecise.
Per andare sul sicuro, puntate su colori neutri o naturali (come carta kraft, bianco, verde bosco, rosso scuro) e abbinate un solo elemento decorativo: uno spago, un nastro in tessuto, un filo dorato. Anche materiali semplici come carta da pacchi e spago da cucina possono diventare molto chic se usati con coerenza.
2. Tagliare e piegare con precisione (il passaggio che fa la differenza)
Uno dei segreti di come impacchettare i regali bene è la precisione. Prima di tutto, misurate la carta appoggiando il regalo al centro e assicurandovi che i lati coprano completamente l’oggetto senza eccessi. Troppa carta rende difficile gestire le pieghe, mentre troppo poca vi costringerà a rattoppare all’ultimo minuto.
Quando piegate, fatelo con calma: passate il dito lungo i bordi per segnare le pieghe e ottenere linee nette. Anche i lati corti vanno chiusi con ordine, piegando prima verso l’interno e poi verso il centro.
Questo passaggio, spesso sottovalutato, è quello che trasforma un pacchetto “fatto in fretta” in uno visivamente pulito.
3. Chiudere bene (e nascondere lo scotch)
Un altro punto chiave di per impacchettare i regali di Natale alla perfezione è la chiusura. Lo scotch serve, ma non deve mai essere protagonista. Usatelo solo dove serve davvero e cercate di nasconderlo all’interno del pacchetto o sotto le pieghe. Se la carta è stata tagliata correttamente, basteranno pochissimi pezzetti.
Il resto del lavoro può farlo il nastro o lo spago: un giro semplice, un nodo ben stretto e magari un doppio passaggio intorno al pacchetto sono più che sufficienti.
Evitate fiocchi troppo grandi o complessi se non siete pratiche: un nodo pulito risulta sempre più elegante di un fiocco sproporzionato.
4. Il dettaglio finale che personalizza davvero il regalo
L’ultimo passaggio è quello che rende il pacchetto unico. Non serve esagerare: un solo dettaglio basta. Un bigliettino scritto a mano, un rametto di pino, una fettina d’arancia essiccata, un’etichetta in carta riciclata.
Il consiglio è di scegliere un dettaglio coerente con il resto del pacchetto e ripeterlo su tutti i regali: questo crea un effetto armonioso sotto l’albero e dà subito l’idea di cura e attenzione.
Alla fine, imparare come impacchettare i regali di Natale non significa puntare alla perfezione, ma dedicare qualche minuto in più a un gesto che parla di tempo e presenza. Ed è proprio questo, spesso, il regalo più bello da ricevere.
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Nuovo SUV C5 Aircross: più spazio, più comfort, più tecnologia

Chi è al volante, guida rilassato. I passeggeri a bordo, intanto, si godono il viaggio in classe extra-comfort. Un’alchimia perfetta, frutto delle qualità distintive del Nuovo SUV C5 Aircross: più spazio, comfort, tecnologia, sostenibilità e accessibilità, il tutto made in Europe, a Rennes, in Francia, nello storico stabilimento del marchio.
Se nel sovraffollato mercato dei SUV farsi notare non è facile, la nuova ammiraglia Citroën non passa di certo inosservata. Non è solo per il restyling estetico, è anche per quell’evoluzione di sostanza che ha portato la vettura verso un’idea di funzionalità e di utilizzo superiore. In un mercato dove spesso ci si concentra solo sulle prestazioni o sul design delle linee, infatti, Citroën punta sull'ergonomia.
Il risultato? Un SUV diverso da tutti gli altri, progettato per chi vive l’auto come un’estensione della propria casa, per chi affronta il traffico quotidiano o lunghi trasferimenti stradali e cerca un ambiente che "ammortizzi" non solo le buche, ma anche lo stress della giornata. Il modello è ideale per le famiglie, ma anche per il mercato B2B/fleet.
Design più maturo e scolpito
Rispetto alle linee arrotondate del passato, il Nuovo SUV Citroën C5 Aircross adotta un volto più deciso e aerodinamico. Il frontale è stato completamente ridisegnato, sono nuovi i fari a LED e altri dettagli eleganti che ne esaltano il carattere e fanno la differenza.
Un "tappeto volante"
Uno dei punti di forza della vettura è il sistema di sospensioni con smorzatori idraulici progressivi (Progressive Hydraulic Cushions®). In parole semplici? Significa che l’auto assorbe le buche e le irregolarità del terreno in modo fluido, regalando quella sensazione di "tappeto volante" tipica della tradizione Citroën.
Come nel salotto di casa
Se il design esterno cattura l’occhio, è l’abitacolo del Nuovo SUV C5 Aircross a convincere definitivamente chi cerca un’esperienza di guida decompressiva.
Citroën ha lavorato per trasformare l’interno in un vero e proprio "salotto". Il concetto di Sofa Design si traduce in sedute ampie e accoglienti, un’illuminazione ambientale estesa, la presenza di elementi d'arredo e l’uso di tessuti che riprendono i codici dell'interior design.
A seconda degli allestimenti, l’uso dell’Alcantara o della pelle con impunture a contrasto non serve solo all'estetica, ma trasmette una sensazione tattile di calore.
Sotto il rivestimento superficiale, i sedili nascondono uno strato di 15 mm di schiuma strutturata che evita l'effetto di "affossamento" tipico delle sedute troppo morbide, garantendo sostegno posturale anche dopo ore di viaggio.
Accanto alla comodità, il sistema di Ambient Lighting - illuminazione d’ambiente - definisce l’atmosfera desiderata a bordo: i punti luce discreti posizionati nei vani portaoggetti, nel tunnel centrale e lungo la plancia creano una luce soffusa che riduce l’affaticamento visivo durante la guida notturna.
Questa "bolla luminosa" esalta i volumi dell'abitacolo e aumenta la percezione di spazio e protezione, rendendo l'ambiente accogliente come una stanza ben illuminata.
Tutto a portata di mano
L’ottimizzazione dell’ergonomia sul Nuovo SUV C5 Aircross passa per una riprogettazione della console centrale, ora più pulita e razionale.
La seduta è alta per dominare la strada, ma qui è stata affinata per garantire che ogni comando sia dove il conducente si aspetta di trovarlo. Il nuovo posizionamento dello schermo da 10" è studiato per essere perfettamente in linea con lo sguardo, riducendo i movimenti della testa e permettendo di mantenere la massima concentrazione sulla guida. L'obiettivo è semplice: fare in modo che il conducente abbia tutte le informazioni davanti a sé e a portata di mano, in modo da poter guidare in tranquillità e ridurre lo stress, con l'ausilio di schermi digitali che offrono chiarezza e grafica accattivante.
Gamma completamente elettrificata
Per la prima volta anche 100% elettrico, Nuovo SUV C5 Aircross è disponibile in due versioni, la più equilibrata e accessibile Comfort Range, dotata di un motore da 210 CV / 157 kW abbinato a una batteria da 73 kWh, per un'autonomia di 520 km, e la Long Range, con motore da 230 CV/170 kW e una batteria da 97 kWh, presto ordinabile, che offrirà un’eccezionale autonomia di 680 km.
Non mancano Nuovo SUV C5 Aircross Hybrid 145 Automatic, la porta d'ingresso all'elettrificazione offerta a 28.900 euro, e Nuovo SUV C5 Aircross Plug-In Hybrid 195 Automat
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