Litigare fa bene alla coppia (lo dice la scienza)

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Secondo gli esperti, i partner che litigano di più stanno insieme più a lungo. Ecco spiegato perché

A nessuno piace discutere. Soprattutto se si tratta di un litigio con il proprio partner. 

Idealmente, una coppia vuole andare d'accordo e vivere insieme pacificamente senza troppi problemi. Purtroppo però, sappiamo tutti le cose non sono così semplici.

Non importa come o perché, prima o poi avrete una discussione con il vostro partner

Molte persone considerano i litigi all'interno della coppia un evento orribile; il sinonimo di una relazione malsana. Ma lo sapete che discutere non è necessariamente una cosa negativa?

In effetti, litigare può essere una parte piuttosto sana e positiva di una buona relazione. La scienza ci spiega perché. 

**Le regole dei litigi: siete sicuri di saper litigare bene?**

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Matrimonio Carrie e Big

Ecco perché litigare fa bene alla coppia

Pensate che litigate frequenti siano un segno di incompatibilità, e non di un amore vero e profondo? Vi sbagliate! 

Numerosi studi hanno dimostrano esattamente l'opposto. Le coppie che litigano spesso (in modo civile, ovviamente) tendono ad avere relazioni più amorevoli e durature rispetto a quelle che non litigano mai.

Un recente sondaggio ha evidenziato che il 44% delle coppie sposate crede che i litigi regolari (cioè più di una volta alla settimana) aiutino a mantenere il loro rapporto sano.

Naturalmente, un sondaggio non è certo la prova inconfutabile. Ma la scienza conferma: «Couples who argue together, stay together» (le coppie che litigano insieme, stanno insieme).

Secondo svariate ricerche sull'argomento, i partner che discutono in modo civile e produttivo hanno 10 volte più probabilità di avere una relazione felice rispetto a quelle che nascondono problemi difficili e evitano di affrontarli. 

**La domenica è il giorno in cui più coppie si lasciano: ecco perché**

Brad Pitt e Angelina Jolie coppia

Cosa ne pensa l'esperto?

Molte coppie credono erroneamente che evitare di discutere questioni delicate significhi evitare una discussione, e che, a sua volta, questo sia un bene per la loro relazione.

Tuttavia, non c'è niente di più sbagliato.

Joseph Grenny, coautore del bestseller Crucial Conversations del New York Times, ha spiegato: 

«L'errore più grande che le coppie fanno è 'l'evitare'. Sentiamo qualcosa, pensiamo qualcosa ma non diciamo nulla. Almeno fino a quando non ce la facciamo più».

«Quindi aspettiamo più a lungo possibile, ma finiamo con l'essere certi di discutere male quando sarebbe bastato solo parlarne».

E ancora: «Tendiamo ad evitare queste conversazioni perché siamo consapevoli dei rischi di parlare apertamente, ma inconsapevoli dei rischi di non parlare».

«Questo perché soppesiamo solo i rischi immediati ed evidenti senza considerare i costi a lungo termine per l'intimità, la fiducia e la connessione con il partner».

**Attenzione: questi 4 comportamenti distruggono la coppia**

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Nel sondaggio, quattro intervistati su cinque hanno affermato che la scarsa comunicazione ha giocato un ruolo fondamentale per la fine della relazione. Una metà ha addirittura indicato la scarsa comunicazione come causa effettiva del fallimento della relazione.

Ma soprattutto, ha detto Joseph Grenny, meno di uno su cinque crede di essere «da incolpare» quando una conversazione va male.

«Il più grande errore inconscio che le coppie fanno è non assumersi la responsabilità emotiva dei propri sentimenti - ha detto Joseph Grenny - Pensiamo che gli altri ci stiano facendo sentire in un particolare modo, e non riusciamo a vedere il nostro ruolo nelle nostre emozioni».

«Questo è il motivo per cui quando discutiamo delle nostre emozioni con la persona amata siamo così spesso pieni di accuse e ci mettiamo subito sulla difensiva».

Cosa consiglia allora l'esperto? Parlare, parlare, parlare. E perché no, anche litigare fa bene! 

«Il successo di una relazione è determinato dal modo in cui vengono discusse le questioni delicate - ha concluso Grenny -  Il vero amore richiede lavoro. La vera intimità non riguarda solo l'amore, ma anche la verità».

«Le conversazioni cruciali, così come i litigi, sono il veicolo per far emergere la verità in un modo in grado di riportare la coppia a una sensazione di intimità, connessione e fiducia».

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Ecco il motivo psicologico per cui restiamo in relazioni che non funzionano più

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Ci illudiamo di poter guarire amando chi ci ferisce. Ma spesso restare in relazioni sbagliate è solo un modo per provare, ancora una volta, ad aggiustare quello che non ha funzionato nel nostro passato

Ci sono relazioni che non funzionano da tempo, eppure restiamo.

Restiamo anche quando non siamo più felici, quando i silenzi fanno più rumore delle parole, quando ci sentiamo più soli dentro un abbraccio che fuori. Restiamo e intanto ci raccontiamo che è per amore, per i figli, per paura di ricominciare.

Ma spesso non è per nessuna di queste ragioni. Restiamo perché speriamo, inconsapevolmente, di aggiustare qualcosa che si è rotto molto tempo fa.

**Come capire se una relazione non vi rende felici (anche quando sembra funzionare)**

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Le dinamiche del passato condizionano le dinamiche del presente

Ognuno di noi porta nelle relazioni adulte le dinamiche che ha vissuto da bambino in famiglia; come è stato amato e come ha visto amarsi i propri genitori.

Si porta con sé le mancanze, gli sguardi che non ha ricevuto, l’amore condizionato — quello che dovevi meritarti con il comportamento giusto, la versione “buona” di te.

Così da adulti, senza rendercene conto, cerchiamo di riscrivere quella storia.Scegliamo persone che ci ricordano proprio chi non ci ha saputo amare, e proviamo, con loro, a ottenere finalmente ciò che non abbiamo avuto allora.

È come se l’inconscio dicesse: “Se questa volta ce la faccio, se riesco a farmi scegliere da qualcuno come lui o come lei, allora guarirò”.

E così restiamo.

Restiamo anche quando ci sentiamo invisibili, anche quando ogni discussione diventa una guerra fredda, anche quando il rispetto si è perso per strada. Restiamo perché se andassimo via, dovremmo guardare in faccia il fallimento del nostro tentativo di guarigione.

E allora preferiamo restare in un dolore conosciuto, piuttosto che affrontare un vuoto nuovo.

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Ma non si guarisce dove ci si è feriti. Restare nelle relazioni che non funzionano più sperando che diventino la cura è come cercare di medicare una ferita con ciò che l’ha provocata.

Il presente non aggiusta il passato: lo ripete.

E mentre cerchiamo di sistemare l’altro, finiamo per trascurare ancora noi stessi - come abbiamo imparato a fare da bambini, quando per sopravvivere bisognava essere “bravi”, adattarsi, capire tutto prima, anche il non detto.

La verità è che certe relazioni non si aggiustano perché non nascono per funzionare: nascono per insegnarci dove fa male. E quel dolore, una volta riconosciuto, non va negato o ignorato, ma attraversato.

Capire perché restiamo è il primo passo per smettere di restare. Non per diventare più forti o più cinici, ma per diventare più liberi.

Guarire, in fondo, non è riuscire a farsi amare da chi non può o non sa farlo. È smettere di cercare in un altro la prova del proprio valore. È restare dove l’amore non chiede di essere dimostrato, ma semplicemente vissuto.

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Come capire se una relazione non vi rende felici (anche quando sembra funzionare)

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Capire quando una relazione non fa più stare bene è difficile, soprattutto se non ci sono crisi evidenti: ecco i segnali più importanti da osservare

Può capitare che in una relazione non ci siano particolari problemi: non ci sono litigi, crisi evidenti o grandi drammi. Eppure, qualcosa non va.

È come se la vostra energia fosse spenta, come se la spontaneità avesse perso intensità e alcune parti di voi fossero rimaste indietro senza un motivo preciso. Succede più spesso di quanto si pensi: tutto sembra “a posto”, ma dentro si percepisce una sottile sensazione di blackout emotivo.

È una sensazione che molte persone vivono senza riuscire a darle un nome, perché “sulla carta” è tutto a posto: la relazione funziona, c’è affetto, c’è routine, c’è stabilità. Ma non sempre questo basta a far sentire vivi. 

Qui proviamo a raccontare proprio quella zona intermedia e difficile da definire, dove i segnali non sono immediatamente riconoscibili, ma parlano comunque di qualcosa che merita attenzione.

**“Se mi amassi davvero…”: 6 frasi per capire se lui vi sta manipolando**

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Quando non succede nulla… ma non vi sentite più voi stesse

Le relazioni non diventano difficili solo quando scoppiano i conflitti. A volte la fatica arriva quando tutto procede in modo apparentemente tranquillo, ma voi avete la sensazione di non riconoscervi più.

È una forma di cambiamento lento, che si manifesta quando iniziate a fare meno cose che vi fanno brillare gli occhi, a parlare meno di ciò che amate, a chiudere un occhio un po’ più spesso per evitare discussioni inutili. Magari vi scoprite meno spontanee, più controllate, più attente a non disturbare che a condividere.

E mentre all’esterno tutto sembra “normale”, dentro qualcosa vi dice che la vostra energia emotiva non scorre più come prima. È quel tipo di stanchezza che non viene dalla giornata pesante o dalla mancanza di sonno, ma dal sentirvi un po’ più piccoli di come eravate. Una forma di adattamento che vi costa più di quanto vi restituisca.

I piccoli segnali che non sembrano segnali

Quando una relazione inizia a togliere più di quanto dà, di rado lo fa in modo evidente. Spesso tutto avviene in una serie di dettagli: piccole rinunce quotidiane che sembrano irrilevanti, ma che nel tempo costruiscono una distanza tra chi eravate e chi siete diventati.

Capita, ad esempio, di trovarsi a parlare meno dei propri sogni perché non si percepisce entusiasmo dall’altra parte. Oppure di sentire che ogni discussione potenziale va evitata, così da non introdurre tensioni che sembrano sempre troppo grandi per essere affrontate.

Con il passare dei mesi questa dinamica diventa quasi automatica. La voce si abbassa, i desideri si riducono, la spontaneità lascia spazio alla prudenza. Persino il corpo manda segnali: meno energia, meno iniziativa, meno voglia di condividere momenti che un tempo sarebbero stati fonte di piacere. E non perché la relazione sia “sbagliata”, ma perché la somma delle piccole cose può finire per erodere la vitalità emotiva più di quanto ci si accorga.

Quando ci si accorge che stanno cambiando i propri desideri

Il desiderio è uno dei primi elementi a risentire di una relazione che non nutre. E qui non si parla soltanto di desiderio sessuale, ma di quella forza interna che dà direzione alla vita: i piccoli progetti personali, le idee nuove, le scelte che fanno brillare gli occhi.

Se tutto questo sembra spento, se non si prova più entusiasmo per ciò che prima vi faceva saltare di gioia, forse è il momento di cercare di capire cosa sta succedendo.

A volte si tratta di un semplice periodo di stanchezza, ma altre volte ciò che si riduce non è la voglia di fare, ma la percezione di potersi permettere di esistere pienamente dentro la relazione. Quando i desideri si appiattiscono, quando i momenti di gioia diventano più rari, quando ci si sorprende a mettere in pausa parti importanti di sé “per il bene della coppia”, il punto non è trovare un colpevole, ma capire come recuperare spazio per la propria autenticità.

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È davvero la relazione… o è un momento della vita?

La domanda più difficile, e spesso anche la più importante. Non sempre una sensazione di “spegnimento” è legata al partner: lo stress del lavoro, la famiglia, la salute mentale, la fatica accumulata possono trasformare anche la relazione più sana in un luogo di minor energia. Vale la pena chiedersi se, al di fuori della vita di coppia, si prova la stessa sensazione.

Ciò che può aiutare a fare chiarezza è una domanda semplice ma rivelatrice: con questa persona ci sentiamo più noi stessi o meno noi stessi?

Perché le relazioni sane non cancellano i momenti difficili, ma li attraversano creando spazi di sostegno e non di ulteriore fatica. A volte parlarne con sincerità permette di aprire una porta nuova dentro la coppia; altre volte rivela che il malessere non ha a che fare con la storia ma con il periodo della vita.

Cosa fare se non vi riconoscete più

Accorgersi di essersi un po’ spenti non significa dover chiudere una relazione. Significa, piuttosto, prendersi cura di ciò che si prova, senza minimizzarlo.

Recuperare spazi solo per sé può essere un primo passo: un corso, un'amica da rivedere, un hobby messo in pausa, un po' di tempo di qualità con la propria interiorità. Condivisione e autonomia, nelle relazioni, crescono insieme.

Parlarne con il partner – con calma, senza accuse – può essere un momento prezioso: l’altro non può intuire ciò che non viene espresso. E se serve un confronto esterno, amici di fiducia o un percorso psicologico possono dare strumenti utili.

Qualunque sia il percorso successivo, una cosa resta vera: l’amore che fa bene è quello che permette di espandersi, non di rimpicciolirsi. È quello che accende, non quello che spegne. E nessuna relazione dovrebbe mai privare della possibilità di sentirsi pienamente vivi.

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Quanto aspettare per avere una nuova relazione quando ci si lascia?

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Frequentare qualcuno se la propria relazione è appena finita è difficile, ma non c’è nulla di male nel voler vivere. Ecco quanto aspettare

Affrontare nuove frequentazioni dopo la fine di una storia importante o di un matrimonio è complesso, ma decidere quanto aspettare è (o dovrebbe essere) una scelta personale.

Le condizioni che mettono fine a una relazione (non necessariamente culminata in uno sposalizio o in una unione civile) sono un milione e rappresentano un punto di partenza totalmente unico dal quale poi emerge quel famoso “nuovo capitolo” di vita che cambierà tutto.

Di conseguenza non esiste un tempo univoco per tutti da rispettare prima di iniziare una nuova relazione dopo la fine di quella precedente.

Però ci sono delle indicazioni di massima che possono aiutarvi ad affrontarlo nel modo più sicuro e semplice.

Quanto aspettare prima di una nuova relazione quando ci si lascia?

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quando tornare a frequentare qualcuno

Frequentare qualcuno dopo un matrimonio finito: quanto aspettare?

Guardiamoci negli occhi e diciamoci la verità: sappiamo bene che certe cose succedono quando decidiamo di volerle e frequentare una persona dopo un matrimonio finito, anche prima del divorzio ma già in fase di separazione, è piuttosto comune.

Il tempo è un fatto puramente personale e alcune persone preferiscono confrontarsi con figure professionali come psicologi (o addirittura con i legali) per capire quanto è il momento esatto, ma sappiamo bene che alcune cose, anche per i più razionali, non si possono troppo controllare.

Le relazioni non sono matematiche. Potete darvi un limite di tempo oppure farlo e basta.

Non dovrebbero esserci regole quindi guai a chi le impone, se ma se ci fossero riguarderebbero solo e soltanto voi e sono tutte veicolate da un obbiettivo importante: non passare “dalla padella alla brace” o da una condizione di malessere a una che vi fa stare diversamente male.

L'indecisione è un segnale, ma innamorarsi dell'indecisione è senza dubbio un errore.

La celebre teoria dell’elaborazione del lutto

Nel libro “La morte e il morire” della psichiatra Elisabeth Kübler-Ross del 1969 si parla di una teoria che è molto popolare tra le persone che affrontano un lutto o la fine di qualcosa di importante nella propria vita.

Le fasi di negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione (che non si verificano esattamente sempre in questa sequenza) rappresentano dei momenti che solo poi nell’accettazione portano all’esplorazione di nuove possibilità.

Il punto è che tantissime persone affrontano questo processo molto prima della fine effettiva della relazione e si trovano, più o meno consapevolmente, dentro una fase di esplorazione di ciò che li circonda, passando però da una ricostruzione individuale.

Questo significa che non dovreste giudicare voi stessi per come vivete le cose ma è importante prendere consapevolezza che la fine di un rapporto non è un "click" ma un processo e questo processo non richiede per forza tempo, richiede il doverlo vivere.

ritrovare se stessi dopo la fine di una relazione

Pensare a se stessi o filtrare il dolore?

La velocità con la quale decidiamo di frequentare altre persone per gettare le basi per qualcosa (qualsiasi cosa) hanno, al di là delle mille sfumature possibili, due colori: o lo facciamo con l’idea di voltare pagina o lo facciamo con l’idea di rimanere sulla stessa pagina.

C’è un bellissimo scambio su Reddit in cui si parla proprio di questo e l’espressione usata da un utente è che vi consiglio di ricordare è l'effetto “rebound”, ovvero avere consapevolezza che una nuova frequentazione possa sfociare in una relazione di rimbalzo che parte dal presupposto di colmare un vuoto (o filtrarlo).

Avere molta intelligenza emotiva vi aiuterà a capire cosa state facendo davvero e fare delle scelte che rispettino voi stessi e la nuova persona che vi è al fianco.

È la differenza che intercorre tra l'entrare in una pizzeria per chiedere la solita pizza da mangiare per strada o chiedere di fare una pizza nuova assieme, per mangiarla assieme.

Come si capisce di essere pronti? L'esempio di Miley Cyrus

Per parlare di casi pratici, ci viene incontro una delle storie di matrimonio finito più popolari (e più discusse), quella tra Miley Cyrus e Liam Hemsworth.

«È come morire quando perdi la persona che ami, è una ferita molto profonda. Mi sono sentita come se fossi morta. Non c’è un manuale su come affrontare quell’attacco di cuore, ma so di essere stata giudicata come cattiva per aver voltato pagina. Mi hanno fatto sentire infedele, cosa che è contro il mio modo di essere».

Miley ha voltato pagina dopo poco tempo in effetti, nonostante le mille critiche, e l'ha fatto perché ha raccontato di aver già metabolizzato la fine delle relazione prima che finisse il matrimonio, consapevole che quella relazione non le dava più nulla che la facesse stare bene.

Da lì, ha scelto di non rimanere in lutto perché i media volevano così, ma attivare un processo che la facesse “evolvere”, sentire meglio, al di là di quello che poteva pensare il pubblico.

Nel bene o nel male, era pronta.

Nel nostro quotidiano nessuno dovrebbe giudicare i nostri tempi e i nostri modi, anche in vite meno esposte di quella della popstar.

tornare a essere felici dopo la fine di una relazione

Fai ciò che vuoi, tranne farti del male

In definitiva, frequentare una persona dopo un matrimonio o una relazione finita ha sempre senso nella misura in cui, come affermano molti terapisti di come Alicia Muñoz, lo si faccia nella consapevolezza degli errori della precedente relazione, cercando di capire cosa non si vuole più e chi non si vuole essere o diventare, per evitare (come spesso accade) che il copione si ripeta.

Affrontare questa paura che a volte è grande come una montagna, quella di soffrire di nuovo per gli stessi motivi, si affronta solo in un modo, dandosi tempo per ricostruirsi senza mai “fermarsi”.

Come? Avendo per esempio rapporti sani e di scambio con le persone che amiamo, famiglia compresa, parlando delle proprie esigenze alle persone che incontreremo, a costo di sembrare “antipatici”.

Mettere paletti non serve solo agli altri per capire di cosa abbiamo bisogno, ma soprattutto serve a noi per mettere a fuoco cosa vogliamo davvero da un rapporto.

Se non siamo pronti per agire, impariamo a essere pronti a esprimere come vorremmo muoverci, sognando uno scenario, in modo da dare definizione al nostro pensiero e magari al nostro futuro agire, magari proviamo a dare una forma ai nostri sogni, modellando con convinzione il futuro.

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Questi 5 segni zodiacali sono allergici a dire "ti amo", confermate?

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Non tutti riescono a dichiararsi con facilità: questi segni zodiacali vivono le relazioni con intensità, ma non riescono a dire "ti amo"

Per alcuni, dichiarare il proprio amore a qualcuno è la cosa più naturale del mondo. Per altri, invece, pronunciare quelle due parole sembra un’impresa titanica. Non è (solo) una questione di paura dei sentimenti, ma di come ciascuno dei dodici segni zodiacali vive l’amore, la vulnerabilità e il bisogno di proteggersi.

C’è chi preferisce dimostrare con i fatti piuttosto che con le parole, chi ha bisogno di sentirsi totalmente al sicuro prima di aprirsi, e chi, anche quando è innamorato, continua a nascondersi dietro battute o silenzi.

Ecco i cinque segni zodiacali che, più di altri, fanno fatica a dire “ti amo”. Non perché non lo provino, ma perché hanno il loro modo (spesso tutto da decifrare) di dimostrarlo.

**La qualità numero uno che ogni segno zodiacale cerca in un partner**

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Toro

Il Toro è uno dei segni più fedeli e concreti dello zodiaco, ma anche uno dei più lenti a lasciarsi andare. Per lui, dire “ti amo” equivale a fare una promessa che va mantenuta nel tempo: una parola che non può essere pronunciata a cuor leggero.

Prima di arrivare a quelle due sillabe, il Toro osserva, valuta, costruisce. Dimostra l’affetto con gesti quotidiani (come una cena preparata con cura, una presenza costante, un abbraccio che dura più del previsto) ma non con parole. Non è freddo, semplicemente vive l’amore come un progetto che richiede radici profonde. Quando finalmente lo dice, potete essere certi che lo pensa davvero.

Vergine

Tra i segni zodiacali più riflessivi, la Vergine tende a filtrare ogni emozione attraverso la mente. Anche in amore, analizza tutto: le parole, i gesti, le intenzioni dell’altro. Per lei, dire “ti amo” significa esporsi completamente, e questo la mette in difficoltà.

Non perché non senta le emozioni, ma perché teme di non essere ricambiata con la stessa intensità. Così preferisce restare nel territorio sicuro. Ma il suo “ti amo” è silenzioso: si nasconde in un messaggio la sera tardi, in un consiglio dato con premura o in un gesto pratico che rende la vita dell’altro più semplice.

Scorpione

Tra i segni zodiacali più intensi e misteriosi, lo Scorpione vive l’amore come una trasformazione profonda. Quando ama, ama completamente. Ma proprio per questo ha paura di dirlo. Quelle due parole, per lui, equivalgono a un’apertura totale, a un’espansione che lo rende vulnerabile.

Preferisce lasciar parlare lo sguardo, la passione, il silenzio carico di significato. Ma dietro il controllo e la diffidenza c’è un cuore che brucia. Lo Scorpione non dice “ti amo” finché non è sicuro di potersi fidare, ma quando lo fa, diventa la sua verità più assoluta. È l’amore che non ha bisogno di essere ripetuto, perché basta sentirlo.

Capricorno

Il Capricorno è l’archetipo del controllo e della determinazione, ma anche della paura di mostrarsi fragile. Spesso è convinto che i sentimenti vadano gestiti come un piano a lungo termine: con strategia, responsabilità e poca leggerezza.

Dire “ti amo” gli sembra quasi una perdita di potere, un cedimento che non si concede facilmente. Così si rifugia nel lavoro, negli impegni, nei progetti, e lascia che i fatti parlino per lui. Eppure, dietro quell’aria composta, c’è un bisogno autentico di connessione. 

Acquario

L’Acquario è uno dei segni zodiacali più complessi in amore. Indipendente per natura, tende a difendere la propria libertà anche quando è profondamente coinvolto. Per lui, dire “ti amo” può sembrare una minaccia alla propria autonomia, come se quelle due parole potessero chiuderlo in una gabbia emotiva.

Spesso preferisce mostrare l’affetto con la complicità intellettuale, le lunghe conversazioni o la condivisione di ideali. È un amore cerebrale, fatto di libertà e di fiducia reciproca. Eppure, dietro la sua apparente freddezza, l’Acquario è un romantico che ama a modo suo: non dirà “ti amo” spesso, ma farà di tutto per esserci quando serve.