Tilda Swinton: «Non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna»
Elegante, algida (ma solo nell’aspetto), quasi un’aliena per la sua inumana capacità di non essere toccata dal tempo (sembra incredibile, ma ha 60 anni. Tilda Swinton è al festival di Cannes 2021 con ben tre film: The French Dispatch di Wes Anderson, Memoria di Apitchapong Weerasethakul e The Souvenir II di Joanna Hogg.
E, ancora più incredibile, il suo viso appare del tutto privo di make-up), la Swinton a Cannes si è concessa anche per un lungo incontro organizzato da Kering e dedicato alle donne del cinema (Il titolo: Women In Motion).
È cambiato qualcosa rispetto alla presenza femminile nell’industria dell’intrattenimento?
«Le donne fanno film da sempre e continueranno a farlo. Fin dall’inizio della storia del cinema ci sono sempre state sceneggiatrici e registe, ovunque nel mondo. Dobbiamo guardare al passato e riscoprire ciò che è già accaduto. Perché l’idea che la presenza femminile nel cinema sia una realtà recente è una narrazione che non corrisponde alla verità».
Quindi si tratta semplicemente di andare avanti?
«E anche di accendere i riflettori su ciò che abbiamo già fatto. Ci aiuterebbe ad avere più fiducia in noi stesse. Personalmente, non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna».
Neppure dal punto di vista economico?
«Onestamente, se è successo non me ne sono accorta. Il punto è che non ricordo di essere stata pagata per i primi dieci anni della mia vita. Si trattava di film indipendenti ai quali lavoravamo perché eravamo interessati al progetto, non per i soldi. Detto questo, la parità di salari tra uomini e donne è fondamentale. In ogni campo, non solo nel cinema. Ed è importante che alcune attrici abbiano parlato pubblicamente del fatto che i loro colleghi hanno ricevuto un trattamento economico migliore a parità di impegno».
Lei è una delle poche attrici che da sempre ha interpretato anche ruoli maschili con naturalezza unica. Lo ha fatto in Orlando, Costantine, Suspiria. Si sente una pioniera del gender fluid?
«Ho sempre pensato che il cinema, l’arte in generale, sia un luogo privo di barriere, di assoluta libertà. E che recitare solo un genere, maschile o femminile, significherebbe sprecare queste infinte possibilità. In un film posso essere un uomo, o un asino. Perché no? È quello che facevano i miei figli quando erano piccoli. Si travestivano da uomo anziano o da gatto e, insieme, giocavamo ai piedi del letto».
Una questione di libertà, insomma.
«Tutti noi dovremmo avere la possibilità di cambiare, mutare, spostarci nel mondo. Pochi giorni fa, all’aeroporto di Roma mi hanno timbrato il passaporto. In quanto inglese, non sono più una cittadina europea… Solo l’idea mi fa star male».
Anche sua figlia Honor fa l’attrice ed è venuta a Cannes con lei perché recitate insieme nel film The Souvenir: Part II. È stato bello condividere il set?
«Non dovrei dirlo perché sono sua madre, ma Honor è davvero molto brava. Nel film siamo madre e figlia, mi è piaciuto tanto lavorare con lei e spero di farlo di nuovo: ci darebbe l’opportunità di passare altro tempo insieme».
La regista del film, Joanna Hogg, è una sua amica.
«Sì. Da quando avevamo dieci anni. È un sogno poter lavorare con una persona che conosci fin da quando eri bambina. Lavoro spesso con registi ai quali mi lega anche un rapporto di amicizia. Luca Guadagnino è un caro amico da oltre vent’anni. Quando collabori con qualcuno che conosci da tanto tempo puoi essere del tutto onesta, autentica e non aver paura. Ammiro quelli che sanno passare da un set all’altro, trovarsi ogni volta con gente che non hanno mai visto prima in vita loro. Io non potrei».
Che effetto le fa essere di nuovo a un festival di cinema dopo oltre un anno di pandemia?
«Quest’edizione di Cannes, evidentemente, è speciale. Finalmente, ci siamo ritrovati insieme. Non è successo l’anno scorso, potrebbe non succedere di nuovo. Ma, prima o poi, si tornerà ancora una volta qui. Sono positiva e ottimista rispetto al futuro».
Come fa?
«Cerco di non dare retta all’ansia. Siamo umani, è normale avere preoccupazioni, angosce. Ma dobbiamo cercare di non prestare ascolto ai sentimenti negativi».
Il suo di futuro come lo vede?
«Non sono una che programma: “Farò questo, farò quello”. Non mi considero neppure un’attrice in senso proprio. Perché non scelgo i film, scelgo le persone con le quali voglio lavorare ancor prima di sapere a che cosa».
E dal punto di vista personale ha un obiettivo da raggiungere?
«Vorrei che qualcuno finisse di costruire la mia cucina. A quanto pare, a settembre dovrebbe essere pronta e potrò finalmente rimettermi ai fornelli»
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