Stefania Rocca: «Ho smesso di combattere contro me stessa»
In Tv Stefania Rocca interpreta una donna in crisi. Nella vita, invece, si è sempre considerata una persona felice, ma anche una mamma tuttofare un po’ inquieta. Finché ha capito che quella voglia di provare tutto non era un problema, ma la sua più grande forza
Stefania Rocca sfila dalla tasca della giacca il cellulare e dà un’occhiata veloce. Poi dice a se stessa: «Tutto bene». Scommetto che sta parlando di figli. E vinco. «Il mio bambino grande è in gita scolastica su una pista da sci», ammette. «Avrei dovuto essere con lui. Sono qui».
Scontro frontale fra sensi di colpa: il suo, identico a quello di ogni madre che lavora, e il mio, perché le ho dato un appuntamento in un giorno sbagliato. «Non si preoccupi», mi assolve lei. «Oggi ho un sacco di altri impegni, comunque». Segue sorriso. Che poi è lo stesso che illuminerà per tutto il tempo la faccia di Stefania, attrice, 45 anni portati da ragazza.
E non sto parlando di rughe in più o in meno. Parlo di ritmo, che secondo Rocca è quello che dà un’identità a ognuno di noi. E il suo è indubbiamente rock.
Sedute al tavolo di un bar, dentro a una libreria milanese, nessuno ci bada. Allora lei si alza di scatto e torna con due caffè, senza che io abbia il tempo di chiederle se ha bisogno di una mano. Cominciamo a chiacchierare ed è subito chiaro che il mix lavoro-famiglia-libertà sarà “il tema”. Perché questa è la vita. E soprattutto questo è il cardine attorno a cui gira il personaggio che Stefania interpreta nella fiction tv Di padre in figlia (di Riccardo Milano, su Rai Uno dal 18 aprile), una saga familiare riletta al femminile, un viaggio profondo negli Anni 60 e 80.
«Il mio ruolo è quello di una donna, madre di tre figlie e di un maschio, che tenta di adeguarsi alle regole della borghesia veneta degli anni del boom economico. Ci prova e non ci riesce. Perché non può rinunciare ai suoi sogni, a se stessa. E nemmeno alla possibilità di un amore».
Che cosa c’è di attuale in questa storia?
«Sembra remotissima, vero? E invece non lo è, purtroppo. Anche io, che mi ritengo una mamma moderna, mi sento spesso inadeguata. Quindi cerco di fare sempre tutto, al posto di tutti: non delego, mi faccio carico di ogni cosa. Come ognuna di noi, credo».
Stiamo tutte tornando indietro?
«No, ma paghiamo lo scotto di una mentalità che c’era e c’è ancora, anche se è più impalpabile. Siamo andate molto avanti sul fronte dei nostri diritti e del nostro lavoro. Ma non abbiamo mollato nessuno dei compiti che avevamo prima: famiglia, cura, spesa, casa. Facciamo la vita delle donne di oggi, sommata a quella degli Anni 50. Un carico immane».
Si sente in colpa perché suo figlio scia senza che la mamma sia lì con lui?
«Sì e no. Da un lato dico: cavoli, tutti stiamo crescendo, anche lui deve sapere che può essere indipendente e sentirsi saldo, protetto, forte. Pure se io sono qui. Lui sa che io devo lavorare, lo capisce, è un ragazzino sereno. Quel che mi mette a disagio è la presenza a bordo pista delle altre mamme, il confronto mi mortifica. Mi fa sentire sbagliata».
Sempre?
«No, no, sto migliorando tanto. Quando i bambini erano più piccoli (Stefania ha due figli avuti dall’imprenditore Carlo Capasa: Leo, 9 anni, e Zeno, 7, ndr) mi sentivo in colpa persino per la loro gioia quando eravamo insieme. Gridavano: “La mamma è tornata!”. Sapevo che questo corrispondeva al dispiacere per ogni mia assenza. Un’instabilità emotiva che temevo fosse troppo pesante. Difficile da vivere. Mi dicevo che i bambini hanno bisogno di routine e poi non riuscivo a garantirgliela. Capivo che loro volevano abitudini e io, ogni mese, facevo una vita diversa».
Mamma mia, che ansia.
«Va bene, dai, ho voluto tutto, adesso non devo rompere, ok? Ho la mia famiglia e sono grata».
Mi racconti la gioia di lavorare, adesso.
«È libertà assoluta: quando interpreto un personaggio posso dire, fare, sbagliare quello che voglio».
Mi scusi, ma il copione?
«Lo so, sembra un controsenso, ma quando reciti ti senti libera da ogni zavorra. Non hai paura di non piacere, sei un’altra persona. Questo ti dà la possibilità di essere, semplicemente. Poi, se fai teatro, hai in più l’adrenalina del rapporto con il pubblico».
Dal palco si sente davvero la presenza della gente in sala?
«Senti tutto, anche lo scricchiolio di una sedia, quando uno spettatore si sta annoiando e scivola giù per mettersi comodo. Hai come un radar, se uno tossisce capisci se lo fa per noia o, al contrario, perché è molto coinvolto. È come con i figli: quando piangono sai sempre perché lo fanno, anche quando non sanno parlare».
Recitare è terapeutico?
«Secondo me sì, non so proprio in quale altro modo avrei potuto imparare a gestire le mie emozioni. A 7 anni volevo già fare l’attrice, ma ero troppo timida, diventavo rossa continuamente, mi sentivo imbarazzata ogni volta che qualcuno mi rivolgeva la parola. Poi ho capito che recitare mi dava un alibi di libertà. Non dovevo più sparire, bastava che diventassi un’altra persona. Nella vita io sono sempre presente a me stessa, so quel che faccio e quel che dico. Quando recito non mi sento, non mi vedo. Magnifico».
Stefania a ruota libera dentro un copione, che paradosso. Come si fa a diventare un’altra persona?
«Non bastano trucco, parrucco e vestiti. Devi cambiare ritmo: ognuno ha il proprio. Il ritmo è l’impronta digitale dell’anima».
Dove studia il ritmo di ogni suo personaggio?
«A casa ho un mio piccolo spazio. Ma a volte studio ruoli per cui ho bisogno di molto di più, allora mi metto in salone. Però lo faccio soltanto quando sono in casa da sola. Non mi va di essere una mamma che invade tutta la casa. Sa, no, la madre-attrice, con ego ridondante. Insomma quel cliché lì non mi piace. E poi mi piace mantenere segreto il rapporto con il mio personaggio in fase creativa».
Una cosa di questa età della vita, una sorpresa portata dagli anni?
«Non mi aspettavo di sentirmi così giovane a questa età. Sono io che deliro, oppure davvero lo sono? Ho 45 anni e mi sembrano niente, ho ancora voglia di imparare. Vado a cantare, a ballare il tip tap. Mi piace leggere, studiare economia».
Economia?
«La borsa, sì, con tutto quel suo mondo assurdo: non ci capisco niente, ma ci provo. Mi piace tentare un sacco di cose. Per esempio: mio figlio si è iscritto a un corso di pianoforte e allora l’ho fatto anch’io. E intanto pensavo: “Quasi quasi, anche la batteria...”. Non smetto di essere curiosa. Prima mi consideravo troppo inquieta, adesso, a 35 anni, ho smesso di combattere contro la mia voglia di fare. È tutta vita, in fondo».
Quarantacinque.
«Che cosa?».
I suoi anni: lei ha appena detto di averne 35.
«Davvero? Vede? Non li ho ancora metabolizzati tutti, eppure sono quasi 46».
Nella sua vita contano di più gli sguardi degli uomini o quelli delle donne?
«Entrambi. Io ho una complicità forte con le donne. Mi paiono più intense, profonde, sensibili. Sono incuriosita al punto che qualcuno ha pure scritto che sono lesbica, e invece no. Ho molto bisogno dello sguardo maschile: avvolgente, protettivo. Fa uscire la mia parte femminile: mi sento più donna quando sono vicina a un uomo. A questo proposito, posso dirle una cosa che quasi nessuno sa?».
Prego.
«Mi sono sposata. Sì, insomma tutti credono che io e Carlo conviviamo, ma invece abbiamo celebrato le nozze da soli, tre anni fa, a New York. Senza dirlo a nessuno, perché fosse intimo e vero. C’erano soltanto i nostri bambini. E noi due: vestiti in modo qualunque, felici. Quando hanno chiamato il nostro numero ci siamo presentati: una firma, un bacio, un matrimonio».
Molto romantico.
«Aspetti, non le ho ancora raccontato il meglio. Avevamo comprato una torta, per festeggiare. E i bambini ci hanno piazzato sopra due pupazzetti, due supereroi: in piedi, al posto degli sposi. Allora abbiamo brindato. Bello, no?».
Magnifico, a dire il vero.
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