Isabella Ferrari: «Tutto il bello che nasce da una ferita»
I due anni di assenza dal set. La decisione di raccontarsi agli altri, anche senza trucco. La scoperta della Cina. Da Shanghai, dove si trovava per il festival del cinema, l’attrice parla di come è uscita dal
suo momento più difficile.
Poco trucco, un filo di rossetto, il capelli sciolti “da ragazza” (è lei stessa a definirli così). L’attrice Isabella Ferrari, 53 anni, sorride a Shanghai, la città della Cina che ha ospitato la 20a edizione del Festival Internazionale del Cinema.
Lei è lì nel ruolo (ricoperto da ormai 20 anni) di ambasciatrice di Bulgari, partner dell’evento. Ha molta voglia di raccontare l’esperienza: «È il mio primo viaggio in Cina, ogni giorno scopro qualcosa», dice mentre vedo passare dietro di lei il suo accompagnatore ufficiale: il figlio Giovanni, 16 anni, nato dal matrimonio con il regista Renato De Maria che ha dato a Isabella anche Nina, 19, mentre la primogenita Teresa, 22, è figlia dell’attrice e dello stilista Massimo Osti scomparso nel 2006.
A Shanghai, Isabella è andata in giro senza sosta visitando quartieri e gallerie d’arte. Ha anche parlato al seminario “Estetica della vita nel cinema cinese e in quello italiano” portando la sua esperienza di attrice lanciata da film popolari come Sapore di mare e diventata poi la musa, premiata perfino alla Mostra del Cinema di Venezia, di grandi registi come Ettore Scola, Marco Tullio Giordana, Gillo Pontecorvo, Paolo Sorrentino. Appare perfettamente ristabilita dopo la malattia che l’ha tenuta fuori dalle scene per un paio d’anni. «Ma ho ripreso a lavorare», racconta. «E per volare in Asia ho interrotto per qualche giorno le riprese del film di Ferzan Ozpetek, Napoli velata».
Che cosa l’ha colpita della Cina?
«La sua modernità. È il nuovo mondo, un Paese proiettato nel futuro. Per questo, d’istinto, mi sono fatta accompagnare dal figlio più giovane».
E Giovanni come ha reagito?
«Si è subito dimostrato entusiasta, curiosissimo di tutto. Mi ha detto che Shanghai non è tanto una città da visitare, ma quella in cui bisogna stare per capire la nostra epoca».
Le capita spesso di vedere il mondo attraverso gli occhi dei suoi figli?
«Sì, li ho sempre portati con me. E finché accettano di accompagnarmi, mi preoccupo di scegliere i luoghi che possano interessarli di più».
Che cosa l’ha colpita in particolare a Shanghai?
«A parte la diffusione delle gallerie d’arte, sono rimasta impressionata dalla popolarità dei selfie. È un’autentica mania collettiva, molto più che da noi. Non c’è una persona che non si auto-fotografi con lo smartphone. Mi sono divertita a riprendere il fenomeno».
Ma lei è contraria ai selfie, pensa che abbiano preso troppo piede?
«No, per carità, li faccio anch’io. Non ci trovo niente di male se non si esagera. Di recente ho scoperto Instagram: mi piace perché mi ha insegnato a gestire la mia immagine».
Mi spiega in che modo?
«All’inizio postavo solo gli scatti dei grandi fotografi, oggi mi presento ai follower senza trucco, vestita come capita, nella mia quotidianità. È un momento in cui sento di dovermi raccontare agli altri con la massima autenticità possibile».
I social sono alleati di un’attrice perché la rendono più vicina alla gente o al contrario rischiano di farla esporre troppo?
«Io sono entrata nel gioco quasi senza volerlo e oggi non posso più farne a meno. Ormai conosco molti dei miei fan, li considero amici. E a Shanghai ho scoperto una particolarità: sui social, in Cina, è proibito insultarsi. È un modello su cui riflettere. Molti detestano questi nuovi media, ma io li amo e per questo mi sento un po’ controcorrente».
Ritiene di esserlo stata spesso, nella vita?
«Non sono mai stata troppo conformista. Mi piace pensare e scegliere con la mia testa».
Se ripensa a se stessa a 15 anni, quando vinceva il titolo di Miss Teenager e muoveva i primi passi nello spettacolo, che sentimenti prova?
«Una grande tenerezza. Oggi mi rivedo nelle mie figlie. Rivivo la fatica di trovare la propria strada e il conflitto che allora mi lacerava: mi sentivo divisa tra il desiderio di diventare famosa e la paura che la mia bellezza venisse sfruttata».
Pensa di aver completamente superato quel conflitto?
«Sì, oggi finalmente sono contenta di aver usato il mio aspetto fisico per arrivare a essere quella che sono. Non bisogna vergognarsi della bellezza che spesso nasce da una ferita».
Che cosa intende dire?
«La ferita è la paura che gli altri possano approfittare di te. All’inizio sono stata travolta dal successo, poi ho imparato a difendermi quando ho, finalmente, imparato ad amarmi».
Qualcuno dei suoi figli vuole lavorare nel cinema?
«No, almeno per ora. Teresa, Nina e Giovanni studiano e non hanno ancora chiaro che cosa vogliono fare da grandi».
Siete stati forse voi genitori a “vaccinarli” contro i rischi del mestiere?
«Non credo proprio. Il disinteresse dei ragazzi nasce dal fatto che li ho sempre spinti ad amare l’arte contemporanea, la mia vera passione, più che lo spettacolo. Li ho portati a vedere più mostre di pittura che spettacoli teatrali».
È stato difficile tornare a lavorare dopo due anni di assenza?
«No, sono abituata a prendermi lunghe pause. Ho sempre avuto bisogno dei miei tempi per vivere anche fuori dal set. Le gravidanze mi hanno aiutato. Sono una delle poche attrici ad aver fatto tre figli».
Come va sul set col regista Ferzan Özpetek?
«Mi sono sentita immediatamente in famiglia, per me lui è un fratello. Come l’attore Valerio Binasco, con cui tornerò presto a fare teatro. Ma ho altri bellissimi progetti nel cinema. Non posso ancora rivelare i dettagli, ma mi aspettano dei mesi molto intensi».
Non le è venuta la tentazione, in Cina, di allargare i suoi orizzonti professionali?
«Ma no, non mi ci vedo proprio in un film del regista Zhang Yimou. All’estero dobbiamo esportare quello che abbiamo: le nostre città, i monumenti, i paesaggi italiani descritti dal cinema. Non a caso a Shanghai sono stata annunciata dal film premio Oscar La grande bellezza di Paolo Sorrentino che celebra l’unicità di Roma, e dalla scena di Saturno contro in cui, diretta da Özpetek, attraverso una grande piazza».
In America le attrici si battono per essere pagate come i maschi: condivide la loro lotta?
«C’è poco da fare: i film interpretati dagli uomini incassano di più. È il mercato a stabilire i compensi».
Ma anche le donne, come ha dimostrato il recente successo di Wonder Woman, possono trascinare gli spettatori in sala. Lei si sente a suo agio nel cinema italiano?
«Sì, senza dubbio. Il nostro cinema è una magnifica espressione dell’artigianato nazionale, è fatto da persone innamorate del proprio mestiere. I talenti non mancano: i nuovi Fellini esistono e sono pronti a manifestarsi. Ma i produttori dovrebbero rischiare di più sui film d’autore. Prendiamo l’esempio della Cina: ogni anno sfornano decine di kolossal commerciali ma poi, nel mondo intero, noi stranieri andiamo a vedere il magnifico dramma Lanterne rosse».
C’è, nella sua carriera, un film che le è rimasto nel cuore, che la rappresenta di più?
«È Sapore di mare di Carlo Vanzina, che girai nel 1983. Lo amo non solo perché mi regalò il primo vero successo, ma perché non invecchia mai: nei protagonisti, uniti da una vacanza in Versilia negli Anni 60, possiamo rivedere noi, i nostri genitori, i nostri figli. Riesco a celebrare quell’esperienza con più entusiasmo ora che ho smesso di vergognarmi della mia bellezza».
A proposito di bellezza, che effetto le fa essere ambasciatrice del marchio di gioielli Bulgari da vent’anni?
«Sono felice e onorata di ricoprire questo ruolo. Ringrazio l’azienda che nell’immaginario mondiale incarna il sogno, la creatività, l’eleganza e non si limita a puntare sulle modelle giovanissime o sulle blogger, ma fa una scelta interessante continuando a scegliere donne della mia età».
E lei come si sente oggi?
«Penso di essere un buon vintage».
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