Dua Lipa: «La mia forza si chiama musica»
Ogni volta che si sente debole, DUA LIPA scrive una canzone. Ed è così che questa ragazza albanese partita da Londra con un sogno è diventata non solo la popstar del momento, ma anche una delle icone più cercate dagli stilisti.
L'importante è non avere un piano B. A 22 anni, Dua Lipa, la nuova ossessione del pop internazionale, ha le idee chiare. Per avere successo, non ci si deve distrarre. «Me l’ha insegnato mio padre», spiega poco prima d’iniziare il servizio fotografico per Grazia che vedete in queste pagine. «Se hai un’alternativa, finisci per perdere di vista l’obiettivo che ti sei prefissata. Se, invece, l’alternativa non c’è, sei obbligata a concentrarti sul traguardo che vuoi raggiungere». Una teoria insolita ma, almeno a giudicare dal successo ottenuto, decisamente efficace.
Nata a Londra da genitori di origini kosovaro-albanesi, Dua, che in albanese significa “amore”, è infatti la nuova stella delle classifiche mondiali. Idolo dei ragazzi, adorata dai fan, su Instagram ha quasi due milioni di follower e il video di New Rules, l’ultimo singolo tratto da Dua Lipa, il suo album di debutto, a sole due settimane dall’uscita aveva già superato le 40 milioni di visualizzazioni.
Dua vanta collaborazioni importanti come quelle con Chris Martin dei Coldplay, con cui ha duettato sul palco dell’ultimo festival di Glastonbury e con cui duetterà ancora in Brasile, e Bruno Mars, con cui sarà in tour dal 14 settembre. E per rivederla in Italia, dove è stata in aprile, bisognerà aspettare l’anno prossimo: prima farà tappa a Las Vegas, Inghilterra, Francia, Germania... «Una giostra impazzita», come dirà lei in questa intervista».
A trasmetterle la passione per la musica è stato il padre, Dukagjin Lipa, cantante rock piuttosto noto in Kosovo. Mentre frequentava le elementari, Dua ottenne di poter frequentare la prestigiosa Sylvia Young Theatre School di Londra e a 15 anni, dopo aver trascorso qualche anno a Pristina, insieme con i genitori, chiese, e le dissero di sì, di poter tornare da sola in Gran Bretagna per tentare la carriera musicale.
Arrivata nella capitale, iniziò subito a farsi conoscere postando su YouTube le sue cover di brani di Pink, Nelly Furtado, Destiny’s Child e Christina Aguilera. Risultato: è stata scoperta da un’agenzia di modelle, iniziando una carriera parallela nella moda, che oggi la vede protagonista di Bang Bang, la campagna per la collezione autunno-inverno del marchio Patrizia Pepe.
«Musica e moda vanno di pari passo», dice Dua Lipa. «Anzi, penso che la moda sia solo un altro mezzo con cui poter esprimere la mia creatività. E Patrizia Pepe rappresenta molto bene il mio stile, la mia identità artistica. Glam e allo stesso tempo ribelle. Sexy, ma anche forte, potente. E soprattutto libera di essere quella che sono, indipendentemente dagli abiti che indosso».
La campagna è stata realizzata a New York. Come si è trovata sul set?
«È stato super eccitante, per la presenza di un grande fotografo come Sharif Hamza, e per il fatto che eravamo nella mia città del cuore».
Perché New York è così speciale?
«Ha un che di familiare ed è il posto che si avvicina di più a Londra. Dal momento che viaggio moltissimo, quando arrivo nella Grande Mela è come se arrivassi a casa».
È nata a Londra, ma a 11 anni è tornata in Kosovo con i suoi genitori. Che cosa ricorda di quel periodo?
«Dovevo cominciare le medie, e l’idea di farlo in un posto nuovo, mi attirava moltissimo. Ed è stato in Kosovo che, grazie a un’insegnante, ho scoperto quanto mi piacesse esibirmi davanti a un pubblico. Purtroppo, però, dato che lì le opportunità sarebbero state limitate, decisi di tornare a Londra».
Aveva 15 anni. Come è riuscita a convincere i suoi genitori a lasciarla partire da sola?
«Giocando la carta della fiducia. Sono sempre stata più matura della mia età e, fin da piccolissima, sapevo che cosa avrei voluto fare da grande. Quindi, si è trattato di dimostrare che ero cresciuta. Ho convinto i miei che non li avrei delusi. E così è stato».
Un rapporto davvero molto bello, quello che ha con i suoi.
«Infatti, mi considero molto fortunata. Ma ammetto che, all’epoca, ero costantemente in contatto con loro. Al telefono anche più di una volta al giorno, e poi venivano spessissimo a trovarmi. In realtà, non mi sono mai sentita veramente da sola».
È stata un’esperienza che l’ha cambiata?
«Di sicuro mi ha reso indipendente molto prima dei miei coetanei e mi ha aiutata a capire che se volevo realizzare i miei sogni, dovevo uscire dal guscio e lottare».
Vivere da soli non è affatto semplice. Che cosa le piaceva e che cosa, invece, odiava?
«Adoravo la libertà che avevo e il fatto di poter invitare i miei amici a casa ogni volta che ne avevo voglia, senza limitazioni di tempo o di orario. Odiavo invece il dovermi prendere cura di me stessa, perché non avevo vicino nessuno che lo facesse per me».
Si è mai sentita una fuori dal coro?
«Più che altro ci sono stati molti momenti in cui ho cercato di capire come avrei potuto avvicinarmi a ragazzi che non conoscevo. Non c’è infatti nulla di più terrificante del cercare di entrare in un gruppo di persone che, tra loro, si conoscono da tempo. Credo, però, di essere stata particolarmente fortunata perché ho sempre trovato qualcuno che facesse la prima mossa. Quando sono tornata a Londra dal Kosovo, la prima ragazza che mi si è avvicinata, presentandosi, e offrendomi la propria amicizia, è tutt’ora la mia migliore amica».
Che cosa l’ha spinta a postare le sue canzoni su YouTube?
«Sapevo che volevo diventare un’artista e che desideravo esibirmi in ogni parte del mondo, e dato che non avevo idea di come poter incontrare chi avrebbe potuto aiutarmi a sviluppare questa carriera, ho pensato di utilizzare a mio vantaggio i social media. Twitter, Facebook, Instagram e quindi YouTube. Così, ogni volta che incontravo qualcuno dell’ambito musicale avrei potuto parlargli delle mie cover».
Come sceglieva i brani?
«Erano canzoni che mi piacevano. Che cantavo, che mi avevano influenzato e che pensavo di poter rendere mie».
E poi è diventata cantautrice.
«È successo tardi. Anche se a scuola mi piaceva scrivere poesie, racconti, temi, non mi ero mai messa seriamente a comporre canzoni. L’ho fatto verso i 16-17 anni, quando ho incontrato Ben Mawson, il mio manager (lo stesso della popstar Lana Del Rey, ndr). È stato a quel punto che, cercando di capire quale fosse veramente la mia musica, mi sono chiusa in uno studio. Ogni giorno, per settimane. La prima canzone che ho scritto, Hotter than Hell, ha in un certo senso determinato la mia musica, e ha dato il via al processo per la realizzazione dell’album».
Come scrive una canzone?
«Lo faccio non appena mi viene in mente qualcosa, in modo da non dimenticarmene. E, quando vado in studio, ci aggiungo la melodia. Se, come purtroppo capita, sono colta dal “blocco dello scrittore”, inizio a scrivere la prima cosa che mi viene in mente, perfino del lavare i piatti. L’importante è prendere nota. Lo faccio sul mio cellulare».
Su Instagram ha quasi due milioni di follower: un bel numero.
«Sì, anche perché cerco di restare in contatto con loro. Instagram è la piattaforma ideale per comunicare con i fan. Lo so, mi chiedono spesso se l’uso dei social media non sia diventato un lavoro nel lavoro, ma io ci sono così abituata, che lo faccio senza neppure pensarci. Fa parte della mia vita e mi diverto moltissimo».
Nel documentario See in Blue, in cui racconta la sua vita, dice che a un certo punto ha pensato che la carriera musicale fosse al di fuori della sua portata. Come mai?
«Perché l’incognita è sempre dietro l’angolo. E perché i sogni raramente si realizzano. Cercavo di essere realista. E poi, mi sembrava impossibile che qualcosa che mi stava così a cuore potesse davvero diventare un lavoro».
Qual è, secondo lei, il segreto del successo?
«Quello che mi ha sempre detto mio padre: “Lavorare molto duramente per attirare a sé la fortuna”. Credo che questo sia importante. La fortuna arriva, ma solo se la cerchi. Soltanto se ti impegni al massimo perché ti scopra. In altre parole, se vuoi avere successo, devi essere determinato, non lasciarti scoraggiare, e soprattutto, non mollare mai».
Cosa che lei ha fatto. Ci racconta i suoi ultimi 12 mesi?
«In realtà è stato alla fine del 2015, quando è uscito il singolo Be the One, che tutto ha iniziato a prendere il volo e non c’è più stato un giorno che fosse uguale all’altro. In questo ultimo anno, poi, mi è sembrato di salire su una giostra impazzita. Sono costantemente in viaggio, incontro gente sempre diversa, vedo luoghi che non avrei mai immaginato di visitare. In altre parole, sto vivendo quello che ho sempre sognato. E ne sono immensamente felice».
Da dove nasce il suo amore per la musica?
«Mio padre era un musicista, ascoltava David Bowie, Bob Dylan, Sting, gli Stereophonic, i Radiohead. Quando sono cresciuta, vederlo sul palco mi ha ispirato e mi ha fatto capire che quella era la carriera che volevo seguire. E poi, sono stata influenzata da artiste forti come Nelly Furtado e Pink. Popstar che, quando ero bambina, mi piacevano da impazzire e di cui conoscevo a memoria tutte le canzoni».
Qual è la sua fonte d’ispirazione?
«La mia vita. Le mie canzoni sono tutte molto personali e autobiografiche. Scrivo di cose che mi sono successe, di cose che conosco. Delle mie debolezze. Anzi, tutte le volte che mi sento debole, cerco di scrivere qualcosa che mi faccia sentire più forte. Ovviamente, dato che quelle che descrivo sono situazioni, e sentimenti, che tutti proviamo, spero che vi si possano riconoscere in molti».
Nonostante la fama, riesce ancora ad avere una vita normale?
«Certo. La prima cosa che faccio quando torno a Londra, è invitare gli amici a mangiare da me, o semplicemente a passare da me la serata. E poi, forse proprio perché sono sempre in giro, adoro passeggiare per il quartiere, vedere i miei amici, andare al cinema o alle feste, esattamente come fanno tutte le 20enni».
Va bene. Allora la metto alla prova. Il suo sabato sera ideale?
«A tavola con gli amici, probabilmente a casa mia. A chiacchierare per ore e ore».
La domenica, invece?
«Se non ho esagerato la sera precedente, una lezione di yoga, un brunch con gli amici, una lunga passeggiata per le vie di Londra e quindi, a cena, il più classico dei menù britannici: un bel Sunday roast, cioè l’arrosto della domenica accompagnato da patate al forno e salse».
Un’ultima domanda. Che cosa significano i tatuaggi che ha sui pollici?
«Sono due “Dancing Men”, due uomini che ballano di Keith Haring, lo street artist newyorkese, scomparso nel 1990: è uno dei miei artisti preferiti. Li ho voluti sulle dita perché così, muovendole, avrei potuto farli ballare davvero. Mi piacciono perché sono visibili, e allo stesso tempo discreti, ma non troppo».
Esattamente come Dua Lipa.
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