Alba Rohrwacher: Mai stata fragile
Lei è Alba Rohrwacher, l'attrice italiana più talentuosa e la ragazza dalle mille sfumature che vedremo nel film d'apertura del Festival di Cannes.
Questa intervista potrebbe benissimo cominciare dalla fine, da quando, cioè, una settimana dopo esserci incontrate a New York, mando un’email a Alba Rohrwacher. È appena uscita la notizia che I fantasmi di Ismaele, il film di Arnaud Desplechin con protagonisti Marion Cotillard, Louis Garrel e Charlotte Gainsbourg e nel quale ha una parte anche lei aprirà il prossimo Festival di Cannes.
In un’edizione che, se si esclude Monica Bellucci madrina della manifestazione, vede pochi italiani presenti, non solo è un onore, ma è anche una notizia che va sottolineata. «Lavorare con Desplechin è stato un grande onore», mi scrive lei più tardi. «Amo il suo cinema. Essere chiamata a far parte di un suo film è stato emozionante, vertiginoso».
“Vertiginoso”: scrive proprio così. Se c’è una cosa che imparerò da questi scambi con lei, prima di persona e poi via email e telefonici, è che la sua scelta delle parole non è mai casuale. Così come non lo sono i suoi silenzi, primo tra tutti quello sulla sua relazione con il regista Saverio Costanzo, che Alba ha sempre tenuto per sé in questi anni. L’altra cosa che imparerò e di cui, però, avevo già il sospetto, è che Rohrwacher è una donna fortissima. Una macchina da guerra iper professionale capace di stare sul set per più di dieci ore, senza mai lamentarsi, nonostante il jet lag, la stanchezza, il male ai piedi e insomma tutto quello che spesso non si vede in un servizio di moda. Lei, così mingherlina e apparentemente fragile, è in realtà una forza della natura, un aspetto che le foto di questo servizio colgono in pieno.
A pensarci, il fatto che dai film traspaia spesso un’idea diversa è misura di quanto brava sia un’attrice, un segno del suo talento. Forse non ci siamo più abituati, oggi che dei protagonisti del grande schermo sappiamo persino che cosa mangiano a colazione per non parlare di dettagli anche più intimi.
Oggi ci siamo forse dimenticati che gran parte del fascino del cinema sta appunto nel mistero, nella capacità di creare distanza tra la persona e il personaggio, rimanendo, però, allo stesso tempo credibili e attaccati a un’idea di cinema che è fatta di verità. In una parola: creare contraddizione. E complessità. Che poi è quello che è Alba, o almeno, quello che sembra a me. Una creatura complessa, articolata, asciutta nelle risposte ma al tempo stesso molto ricca, che spesso usa immagini per spiegare quello che vuole dire e che giustamente non ci sta a farsi ridurre a una sola dimensione («Non parleremo mica della mia infanzia, eh?», dice a un certo punto, un po’ scherzando e un po’ no).
Della Alba cresciuta in campagna con il padre apicoltore ha d’altronde già detto tutto sua sorella Alice nel film Le meraviglie, premiato proprio a Cannes nel 2015. Una storia già raccontata. Quella ancora da raccontare la sta scrivendo lei stessa con una carriera fatta di successi e scelte d’autore - Saverio Costanzo, Marco Bellocchio, Luca Guadagnino, Matteo Garrone – dove tutto è sensato, misurato, cucito addosso.
«Ma non ho una lista in sette punti di che cosa fare nella mia vita», mi dice più avanti, parlando del futuro. «Ecco, questa foto è bella», dice quando si tratta di scegliere le immagini e di solito si tratta della foto in cui lei si vede meno, girata di spalle, o con i capelli che le coprono il viso. Forte e timida, un’altra contraddizione. Come quella finale che ho di lei: a servizio completato, lei e il fotografo Fabrizio Ferri si abbracciano contenti. Lui, alto e grosso, prende Alba e la solleva. Lei, piccolina, sembra ancora più minuta stretta tra le braccia di un tale omone. Sembra quasi una bambina.
Che ricordi ha del Festival di Cannes?
«Ricordo la prima volta che sono arrivata a Cannes con Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti. Che emozione. Una giostra. E poi con Alice, mia sorella. Bellissimo».
E con New York che rapporto ha?
«Vengo sempre volentieri. Non so bene perché ma qui mi sento a casa. Nonostante la stanchezza, lo sradicarsi per cinque giorni, come in questo caso, il fuso. Io qui sto bene».
La prima volta se la ricorda ancora?
«Avevo 14 anni. Mio padre mi mandò a fare un corso di inglese a Washington e poi arrivai a New York a trovare una nostra cara amica che lavorava qui e che mi lasciò molto libera. Infatti mi capitò di perdermi, presi la metropolitana sbagliata e mi ritrovai nel Bronx».
Una ragazzina bianca e bionda da sola nel Bronx. Sembra l’inizio di un film.
«Sì, io poi a 14 anni ne dimostravo ancora meno, sembravo una bambina. Ricordo che era agosto, faceva un caldo che in Italia non avevo mai provato. Per me, ragazzina nata e cresciuta in campagna, ritrovarmi all’improvviso qui in mezzo è stato come finire dentro a un film di fantascienza».
Ora si sente cittadina a tutti gli effetti?
«Vivo in città ma non è detto che prima o poi non torni a vivere in campagna. A New York potrei immaginarmi di restare, magari per un periodo. Da quella prima volta ci sono tornata tante volte per lavoro e per vacanza fino a quando, tre anni fa, ho girato qui Hungry Hearts. Per prepararmi, ci sono stata un periodo prima dell’inizio delle riprese. È stata una bella esperienza che mi ha permesso di vivere la città dal di dentro».
Lei è una che viaggia volentieri?
«Sì, molto. Ma In questo periodo mi pesa partire, lo ammetto. Ho lavorato tanto, a giugno inizio un nuovo film, ora avrei voglia di stare un po’ a casa».
Le vacanze come le vive?
«Non le faccio spesso. Ho la fortuna di avere un lavoro che in un certo senso è una specie di vacanza perché mi permette di fare esperienze nuove, di andare in luoghi dove imparo cose. Mi sento più viaggiatrice che vacanziera. E questo lavoro mi fa viaggiare».
Due film in francese, uno inglese. Ormai ha una dimensione internazionale.
«Sono occasioni che sono arrivate. Lavorare all’estero è stimolante. Sono state esperienze belle, indimenticabili».
Osservandola oggi sul set ho capito una cosa: è una tostissima. Altro che l’immagine fragile che molti hanno di lei...
«Il mio aspetto racconta di me una fragilità che forse non è la mia sola caratteristica».
Le dà fastidio essere percepita come fragile?
«Ma no. La prima persona che mi disse: “No, no, tu non sei questa cosa qui”, fu la regista Emma Dante. Stavo frequentando dei laboratori teatrali con lei. Emma mi fece capire che potevo essere molto diversa da quello che apparivo, che non dovevo spaventarmi. Mi ha insegnato a non fare affidamento solo sulla fragilità. Capita spesso di appoggiarsi all’immagine che gli altri hanno di noi perché ci fa comodo, perché si è sicuri di essere accettati. Lei invece mi stravolse».
Non è sempre facile mostrarsi diversi da come gli altri si aspettano
«Ci vuole intraprendenza e un po’ coraggio».
Un’Alba consapevolmente forte, quindi.
«Non lo so, davvero. Mi piacerebbe essere “consapevolmente forte”, suona bene, come un luogo sicuro, un punto di arrivo».
Quindi è anche una che non evita i confronti, quando c’è bisogno?
«No, non li evito. Anzi, certe volte vado anche allo scontro. Soprattutto con chi mi conosce bene, sono una che non manda a dire le cose».
È esigente con gli altri?
«Sì, perché lo sono con me stessa».
Quali sono le battaglie per cui lotta?
«Per le cose in cui credo e perché voglio proteggere qualcuno: allora lì mi animo e tiro fuori questa forza. Non so neanche da dove venga, da chissà quale antenato».
Avrebbe potuto fare un altro mestiere?
«Per un po’ ho studiato Medicina, ma adesso so che non avrebbe mai funzionato. E sa perché lo so? Perché quando lavoro tutto si pacifica, tutto si allinea. Le mie insicurezze, le tensioni, le aspettative, l’ansia, tutto si placa e in questa pace io vivo. È lì che capisco che non potrei fare nient’altro e che sono fortunata. Natalia Ginzburg in Le piccole virtù parla proprio di vocazione: “Avere una vocazione noi stessi, conoscerla amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita”. Io penso sia una fortuna sentire di avere qualcosa a cui tendere, sapere che la tua strada va un po’ storta, magari è un po’ imprecisa, però sai che stai andando nella direzione giusta».
La medicina non la interessa più?
«A casa ho ancora i tomi di anatomia su cui ho sofferto. Ogni tanto li guardo e mi viene voglia di riaprirli. Lo studio del corpo umano è sorprendente quanto stremante. Li guardo, ma poi mi arrendo».
Quando pensa al futuro che cosa vede?
«Abbiamo fatto una foto oggi. L’ho vista al computer mentre esaminavamo tutti gli scatti. Ci sono io. Diciamo che c’è questa ragazza vestita stravagante, seduta sul bordo di una strada newyorkese. Guarda verso il fiume, la città dall’altra parte del fiume. Mi sono immaginata quella donna la notte prima. La sua vita vissuta fino a quello scatto. E mi sono immaginata i suoi pensieri in quel momento. Come se stesse lì a guardare verso il futuro. E mi ha fatto tenerezza».
Credits foto: Getty Images
© Riproduzione riservata