Giulia Valentina è salita a bordo di un van, direzione Grecia, per provare la vera #vanlife, che non è quella di Instagram: ecco come ha raccontato il viaggio
Mia mamma mi ha sempre detto di non accettare caramelle né passaggi dagli sconosciuti - per fortuna non sono mai stata particolarmente obbediente, o non avrei conosciuto Allegra.
Era mattina, portavo i cani al parco e mi sono avvicinata incuriosita a un piccolo van della Volkswagen giallo e bianco dall’aria vintage, con la portiera aperta sul lato, un mini tavolino apparecchiato per il pranzo all'interno e la tenda tirata sul tetto.
Inevitabile fermarsi per fare qualche domanda alla ragazza che sembrava esserne la proprietaria, e così, mentre Allegra stava per pranzare con un amico sul tavolino dentro il van, cominciamo a chiacchierare.
Mi racconta che è innamorata della Grecia, dove passa diversi mesi all’anno a dipingere e a viaggiare con Gianni, che all’inizio presumo essere il nome del suo amico (e ogni volta che viene chiamato in causa, per educazione, lo guardo e annuisco).
Poi finalmente capisco che Gianni è in realtà il nome del suo van (e qui vengo a sapere che spesso ai van viene dato un nome proprio di persona).
Alla fine della nostra breve conversazione Allegra mi dice «La prossima volta che parto dovresti venire con me!», «Ma sì», ho pensato, «Allegra dal cognome complicato, che ho incontrato una sola volta su un van per strada, ora prendo lo zaino e parto, senza sapere niente di te e di dove vai, come no».
Un mese dopo ero sul ponte della nave Ancona - Patrasso con Allegra e Gianni.
(Continua sotto la foto)
Gianni viaggia a una velocità massima di 80km/h e richiede pause di raffreddamento occasionali, ma giustamente Allegra mi spiega che «Non è una macchina lenta, ma piuttosto una casa veloce».
Questi piccoli dettagli ci danno tanto tempo per parlare.
Mi racconta che viaggia spesso da sola e che è l’unica regina del suo van (con tanto di scettro), infatti solo lei lo può guidare, ma si capisce subito che la sua vita è piena di persone.
Al porto di Ancona conosce tutti: le donne che stanno alla cassa della vendita dei biglietti, quello che serve il cibo nel bar della nave, i primi ufficiali che riconoscendola le offrono una cabina dove riposare.
Il suo itinerario in Grecia è pieno di spostamenti, muri da dipingere, amici da salutare, incontri, festival e Gianni è stracolmo di regali per chi l’aspetta o la ospita in Grecia: tagliolini al farro, cruciverba in italiano, caffè, pasta, addirittura un canotto.
«Tante persone sono sorprese quando vedono una donna che viaggia da sola e si sentono in dovere di aiutarti o comunque parlarti».
Allegra ha oramai guidato per più di 6 ore e Gianni si deve riposare.
La prima notte la passiamo a dormire in Autogrill: scegliamo un parcheggio abbastanza distante dalla strada per non sentire il rumore delle macchine, ma comunque in vista e illuminato per sicurezza.
Io mi stendo al “piano di sopra” cioè sul tetto di Gianni dentro la tenda, mentre Allegra va a lavarsi i denti nel bagno del bar dell’Autogrill.
Dopo qualche minuto sento la voce di un uomo che si rivolge a lei, chiedendole se va tutto bene e dove era diretta.
Allegra risponde con il suo solito tono tranquillo e deciso, lui le chiede se può offrirle qualcosa da bere insistendo più volte, lei declina cortesemente e rientra sul Gianni - mentre io ero già pronta ad urlare «SIAMO ARMATE E ABBIAMO UN CANE!» da dentro per poi mettermi a piangere e magari saltare fuori armata di un deodorante fingendo fosse uno spray al peperoncino.
Il giorno dopo le chiedo se ha mai paura, perchè a me il solo suono di una voce di un estraneo, in un parcheggio così vicino a dove dormo, mi aveva messo un po' di preoccupazione.
«Viaggiando da sola ho imparato che prima di tutto è importante non presentarsi come “vittima”, ma porsi in modo da far capire subito di essere al pari di chi si rivolge a te. Quando arrivo in un posto nuovo, dove non conosco nessuno, prima di andare a dormire non mi rinchiudo subito dentro Gianni, ma spesso parlo con le persone, basta anche solo fare qualche domanda: la cosa importante per me è far sentire la mia presenza».
Il mattino dopo ci rimettiamo in viaggio verso una cittadina non lontana da Patrasso, Kainourgio, che ospita l’officina specializzata “Greek Westy” che da 3 generazioni restaura e accudisce tutti i Gianni che si presentano lì.
Una sorta di medjugorje dei Westfalia.
Allegra si era messa d’accordo con i ragazzi dell’officina: loro si sarebbero presi cura di Gianni e lei in cambio avrebbe realizzato un’opera sul muro dell’officina, la prima volta che vedo un baratto vero e proprio.
La realizzazione di entrambi i lavori richiede più del tempo previsto e dobbiamo rimanere a dormire una notte a Kainourgio.
La sorella del meccanico, figlio del proprietario dell’officina, con 2 parole in inglese e 10 in greco, ci invita a cenare a casa sua, con la sua famiglia.
A tavola c’è tantissimo cibo, tutto preparato dalla mamma che, entusiasta di averci ospiti, corre da casa sua a casa del figlio trasportando vassoi stracolmi.
Terminata la cena insistono per farci restare a dormire a casa loro e ci cedono la loro camera da letto: il marito va a dormire dalla madre, moglie e figlio si sistemano in soggiorno sul divano letto.
Io vado a dormire incredula, circondata da foto del matrimonio di quelli che, fino a poche ora prima, erano due sconosciuti.
Il giorno dopo, terminati i lavori, riempiono Gianni di provviste e ci salutano affettuosamente.
Ci dirigiamo verso Atene. Mentre siamo per strada Allegra mi spiega che mi avrebbe insegnato a lavare i piatti con l’acqua del mare e le pietre, e io, che a casa mia a volte per non lavare i piatti condisco l’insalata pre-confezionata direttamente dentro al sacchetto in cui la vendono, ingenuamente le propongo una soluzione alternativa:
«Ma non possiamo comprare i piatti di plastica?».
Allegra trova così assurda la mia idea che pensa si tratti di una battuta e ride.
Poi mi guarda, capisce che non stavo scherzando e mi ricorda che la plastica inquina.
Già, non ci avevo pensato.
Mi rendo conto che io e Allegra siamo molto diverse nel modo in cui affrontiamo le cose, spesso io scelgo la strada più comoda, quella più facile e veloce che mi procura meno fastidio e sforzo, mentre lei agisce con consapevolezza, con grande rispetto verso se stessa e quello che la circonda.
Lo si vede nel modo in cui si cura di Gianni, che spesso si prende qualche “raffreddore” e richiede tante attenzioni, nel modo in cui cerca di avere il minore impatto possibile sull’ambiente del paese che la ospita (Allegra ha 1 sapone da 10 usi biodegradabile, io penso di avere 10 saponi solo per struccarmi), per lei niente è usa e getta.
Scelgo a questo punto di non condividere le mie idee per un rinnovo di Gianni stile Pimp my Ride.
Durante il viaggio parliamo anche del mio lavoro.
Suggerisco ad Allegra di essere più attiva su instagram e di curare il suo profilo, perché la sua vita ricca di viaggi e arte può essere bella da condividere e Gianni è anche particolarmente fotogenico.
«Sono una vanlifer da prima che ci fosse l’hashtag #vanlife» mi risponde, mentre guarda divertita le foto che appaiono su instagram cercando l’hashtag, che ritraggono ragazze bionde della california che fanno yoga in spiagge deserte mentre sullo sfondo il loro fidanzato suona la chitarra su cuscini colorati (abbinati al tramonto) nel loro van e il loro labrador rincorre gli unicorni.
«Loro sono instagrammer, io mi considero una viaggiatrice».
A questo punto mi chiedo se si possa essere tutte e due le cose. Ma forse, come mi fa pensare Allegra, una cosa esclude inevitabilmente l’altra.
Su Instagram ogni giorno è Carnevale.
Migliaia di persone ogni mattina si svegliano e si travestono da qualcuno: basta un libro in mano per essere un intellettuale, uno scatto in palestra per essere uno sportivo, una foto di un avocado per spacciarsi per nutrizionista o farsi un selfie dietro a una scrivania per essere un uomo d’affari.
Tante copertine molto belle di libri che spesso contengono solo pagine bianche (o, peggio, codici sconto).
Allegra mi ricorda che nel mondo c’è ancora qualcuno che fa le cose soltanto per il piacere di farle.
E non ha sempre bisogno compulsivo di condividerle con un hashtag.
(Io ovviamente non sono tra questi).
Il collage in alto è di Rebecca Coltorti, le foto di Eleonora Proietti.
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