Giorgio Armani: storia dello stilista che ha reso grande la moda e l'eleganza italiana


Giorgio Armani ci ha lasciato: l'annuncio della morte dello stilista, tra i nomi più celebri della moda Made in Italy è stato dato oggi, 4 settembre 2025, tramite un comunicato stampa ufficiale.
A poche settimane dalla Settimana della Moda di Milano che avrebbe celebrato l'opera del designer con una mostra evento e una sfilata esclusiva in Brera, abbiamo deciso di rendergli omaggio con un racconto della sua storia e della sua carriera, per ricordare l'uomo che ha cambiato profondamente la moda e l'eleganza italiana.
Stilista pragmatico e visionario, ha saputo intercettare e interpretare i bisogni profondi di una società in continuo cambiamento. «Non è mai stata mia intenzione consapevole fare il rivoluzionario della moda» ha più volte dichiarato. Eppure in cinquant’anni di carriera Giorgio Armani ha fatto molto di più che disegnare abiti.

Le sue giacche destrutturate, i tagli morbidi, i colori neutri - quel celebre greige sospeso tra grigio e beige - hanno dato vita a un nuovo modo di vestire e di essere: autentico, libero, disinvolto.
Il suo nome resta sinonimo di un’eleganza che non ha bisogno di essere ostentata, fatta di rigore, fluidità e sorprendente leggerezza.
Giorgio Armani, dagli esordi alla nascita di un mito
Nato a Piacenza nel 1934, Giorgio Armani cresce insieme ai fratelli Sergio e Rosanna in un’Italia attraversata dalle ombre del fascismo. L’infanzia è segnata dalla guerra: a dieci anni l’esplosione di un sacchetto di polvere pirica gli provoca gravi ustioni. Dopo il conflitto, la famiglia si trasferisce a Milano in cerca di un futuro più sereno.
Terminata la scuola dell’obbligo, si iscrive alla facoltà di medicina, seguendo un percorso accademico che però abbandonerà di lì a poco. L’interruzione è segnata dal servizio militare obbligatorio, al termine del quale decide di non riprendere gli studi.
Il resto è storia: inizia a lavorare alla Rinascente, prima come vetrinista, poi come buyer.

Nel 1961 viene notato da Nino Cerruti, che lo assume come designer per la Hitman, azienda di abbigliamento maschile. È l’inizio di una formazione sul campo, intensa e determinante, che lo porterà a mettersi in proprio.
Nel 1974 debutta con la sua prima collezione maschile a Palazzo Pitti. L’anno seguente presenta la prima linea femminile e, insieme al compagno di vita e d’affari Sergio Galeotti (che scomparirà prematuramente dieci anni dopo), fonda la Giorgio Armani S.p.A.

Prendono forma i tratti distintivi dello stile Armani: un’estetica che si nutre di cromie sofisticate - dal bianco ai toni della terra, dal blu al già citato greige - scandita da linee essenziali e tagli rigorosi, cui si aggiungono i richiami all’Oriente e le celebri giacche.
La giacca destrutturata
È sulla giacca che Armani lascia, fin da subito, la sua firma più audace. «È stata la prima cosa a cui ho desiderato mettere il mio nome», confesserà.
Stanco della rigidità del classico capospalla, ne rivoluziona la costruzione: via imbottiture, controfodere, strutture eccessive. I bottoni si spostano, le proporzioni si addolciscono: il risultato è una giacca leggera come una camicia, fluida come un cardigan.

In poco tempo la giacca destrutturata diventa l’emblema del brand e il manifesto di una nuova libertà. Un successo reso possibile - ha sempre tenuto a precisarlo - grazie all’adesione del pubblico, «quello vero, di donne e uomini comuni, e anche quello dello star system».
Nel 1978 Diane Keaton indossa una delle sue giacche destrutturate quando ritira l’Oscar per il film Io e Annie, mentre due anni dopo è Richard Gere a sfoggiarla nella pellicola cult American Gigolò, portando lo stilista alla fama internazionale.
Giorgio Armani e il cinema
L’iconica sequenza in cui l’attore statunitense, nei panni del gigolò Julian Kay, sceglie quattro giacche e le allinea sul letto, per poi abbinarle ad altrettante camicie e cravatte, segna l’inizio di un sodalizio indissolubile tra Armani e il cinema.
Oltre 200 film portano la sua firma nei costumi, da Gli intoccabili a Gattaca, da Il tè nel deserto a The Wolf of Wall Street. Ma Armani non si limita ai set: è il primo stilista a vestire gli attori anche sul red carpet, in un momento storico in cui il tappeto rosso è un territorio senza regole, dominato dall’eclettismo più sfrenato.

La svolta arriva nel 1988, con l’apertura della boutique in Rodeo Drive, nel cuore di Beverly Hills. La collaborazione con le stelle di Hollywood diviene così sempre più stretta.
Iconico il completo maschile indossato da Julia Roberts ai Golden Globes del 1990. «Non sapevo che sarebbe diventato uno statement outfit - ha raccontato l’attrice - pensai solo che era favoloso».

La consacrazione definitiva è la cerimonia degli Oscar dello stesso anno, con Jodie Foster, Michelle Pfeiffer, Jessica Lange e la stessa Julia Roberts immortalate in total look Armani. Il giorno seguente il Los Angeles Times titola: «Era la 62esima edizione degli Academy Awards, ma sembrava piuttosto una sfilata di Giorgio Armani».
Emporio Armani, il preludio di un impero globale
Nel 1981 Giorgio Armani lancia Emporio Armani inaugurando, per dirlo con le sue parole, una «inedita forma di democrazia». Pensata per i più giovani e per chi, pur amando la moda, dispone di risorse limitate, la linea rappresenta una scommessa audace.
Quei capi casual realizzati principalmente in denim e impreziositi dal logo dell’aquilotto - disegnato quasi per caso durante una telefonata di lavoro - si traducono nell’ennesimo trionfo e diventano, stagione dopo stagione, territorio di sperimentazione per lo stilista.

Lo stesso spirito guida anche A|X Armani Exchange, nata nel 1991 per rispondere alle esigenze delle nuove generazioni metropolitane. Il marchio si trasforma in un vero e proprio gruppo del lusso: nascono le collaborazioni con L’Oréal per il beauty - tra i cui bestseller campeggia a tutt’oggi il profumo Acqua di Giò - ma anche progetti di interior design, hotel, ristoranti e resort.
«La definizione di stilista mi sta forse un po’ stretta - si legge nella sua autobiografia edita da Rizzoli - ma è l’unica nella quale mi riconosco veramente. Perché uno stilista è, alla lettera, un creatore di stile e questo vale per un abito o un’automobile».
Giorgio Armani Privé, l’Alta Moda secondo Re Giorgio
Con questo approccio sperimentale, ma sempre coerente, nel 2005 lo stilista volge lo sguardo alla Haute Couture, dando forma a una nuova dimensione dello stile Armani, complementare e al contempo alternativa rispetto al prêt-à-porter, ma accomunata a quest’ultimo dalla ricerca di una sigla lineare, elegante e rarefatta.

Presentata a Parigi - culla indiscussa dell’Alta Moda - Giorgio Armani Privé è una celebrazione della maestria artigianale e del savoir faire con lavorazioni pregevoli, ricami gioiello e un glamour che trascende il tempo. Un sogno a occhi aperti popolato da «abiti fatti di fantasia e di grazia», recentemente omaggiato da una mostra negli spazi dell'Armani/Silos.
Sport, etica, estetica
Giorgio Armani ha inoltre intrecciato il suo nome con il mondo dello sport, disegnando nel corso del tempo uniformi iconiche, dalla Nazionale italiana di calcio ai Mondiali USA '94 alle Olimpiadi di Tokyo 2020, fino a quelle dell'Olimpia Milano, la squadra di basket di cui è patron dal 2008.

«Dello sport amo l’impegno, il confronto con i propri limiti, il non arrendersi mai, il duro lavoro di tutti. Amo la competizione con l’avversario, che è in primo luogo una sfida con se stessi al solo fine di migliorarsi, dare tutto quel che si può e non arrendersi mai. La gara come prova cui partecipare, indipendentemente dalla vittoria, che comunque arriva sempre quando metti in gioco te stesso e impieghi con intelligenza tutte le energie che hai a disposizione. E ancora, lo spirito di squadra: lavorare tutti insieme per raggiungere un unico fine, ciascuno investendo i propri talenti, rinunciando all’ego in nome di un più alto ideale».

Riflessioni che lo portano nel 2004 a fondare EA7, brand che fonde estetica e funzione - risultato di un’attenta ricerca tecnica - indossato da grandi campioni italiani e internazionali. Tra i suoi testimonial: la nuotatrice Federica Pellegrini, la pallavolista Paola Egonu e la sciatrice Sofia Goggia.
Le sfilate indimenticabili
Tante le sfilate che hanno scritto pagine memorabili nella storia della griffe. A partire da quelle degli esordi, lo show leggendario di Palazzo Pitti e il debutto della collezione femminile all’Hotel Palace di Milano. «Andò in passerella di tutto. Facemmo i tessuti in casa: ricordo che sul lino disegnammo i pois con il pennarello».

E poi il defilé newyorkese del 1980, andato in scena al Rockfeller Center un anno dopo l’attribuzione del Neiman Marcus Award - il primo di una lunga serie di riconoscimenti, tra cui le lauree honoris causa all’Accademia di Brera, al Politecnico di Milano, al Royal College of Arts, alla Central St. Martins di Londra e la nomina di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito - e la stagione targata autunno inverno 1981-82 con corsetti e abiti ispirati alle armature indossate dai samurai, passata alla storia con il nome di Kagemusha, come il film di Akira Kurosawa uscito nel medesimo periodo.

E ancora, le supermodelle degli anni ‘90 e la prima Haute Couture del 2005; la primavera estate 2019 di Emporio Armani nell’hangar dell’Aeroporto di Milano Linate, chiusa dal concerto a sorpresa da Robbie Williams; la passerella autunno-inverno 2020-21 senza pubblico, all’alba della pandemia.

E tornando all’Alta Moda, memorabili la serie Nude autunno inverno 2013-14 e la coloratissima primavera estate 2023 intitolata Rondò Armaniano - un omaggio agli interni rococò dei palazzi veneziani e alla figura di Arlecchino - presentata a Parigi e poi a Venezia durante la Mostra Internazionale del Cinema in occasione della One Night Only, l’evento itinerante che celebra l’universo Armani nelle più importanti città del mondo.

«Sono noto come un realista, un pragmatico della moda, ma ho anche un lato più eccentrico». Re Giorgio non ha mai mancato di ribadirlo. «Non mi riconosco nelle etichette di genere, nemmeno nelle scuole di pensiero, perché negano la varietà delle ispirazioni, appiattiscono i percorsi della mente, impongono obbedienza cieca a principi ben definiti. Voglio essere me stesso».
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