Grazia.it talks with: Laura Zura-Puntaroni, founder di Festa Foresta

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Grazia.it punta i suoi riflettori su un brand tutto da scoprire attraverso le parole di chi l'ha pensato. Questa settimana chiacchieriamo con Laura Zura-Puntaroni, ideatrice del marchio di beachwear e intimo Festa Foresta

Con l'arrivo della bella stagione, in tv, sulle riviste e sui social veniamo bombardati dall'immancabile "tormentone" della "prova costume": le diete per affrontarla nella migliore dei modi, i trattamenti corpo in preparazione, i workout specifici per snellire, appiattire, rassodare... l'allenamento per una maratona sembra essere meno stressante.

Insomma, quello che dovrebbe essere un momento di gioia e spensieratezza, di vacanze e meritato relax, diventa complicato e, spesso, detestato: più si levano gli strati di vestiti che abbiamo addosso e più ci "mettiamo a nudo" e non parliamo solo di cm di pelle esposta ma di molto di più.

L'accettazione, ma più ancora, il piacersi, è un traguardo sempre più difficile da raggiungere, al di là della propria taglia e forma fisica, e il rapporto con il proprio corpo, si sa, non è assolutamente semplice e spontaneo. In questo tortuoso viaggio, esistono realtà che hanno molto lavorato sulla percezione di sé, sul creare prodotti che facciano sentire bene chi li indossa, confortevoli, pratici e, giustamente, belli e piacevoli! Insomma abiti pensati per il corpo e non viceversa!

Capi ideati per essere donanti non solo su modelle magrissime ma con le "curve nei posti giusti" (sia mai che queste benedette curve non si distribuiscano correttamente e lì la scelta delle parole cambia drasticamente) ma su una gamma di fisicità ampia e variegata come la natura umana stessa è nella sua essenza.

Questo è l'idea di partenza che ha guidato Laura Zura Puntaroni, la founder di Festa Foresta, nato nel 2020 come brand di beachwear "reale" e davvero inclusivo, a partire dai modelli proposti, realizzati in materiali sostenibili e morbidissimi, adatti a vestire corpi diversi, e dalla comunicazione fatta da immagini di donne che davvero possiamo incontrare ovunque, sulle spiagge come nei luoghi di vacanza, e non solo sulle pagine delle riviste di moda e nei post patinati e perfetti delle influencer. 

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A cinque anni dalla nascita di Festa Foresta e dell'inaugurazione del primo showroom e "spazio fisico" del marchio a Milano, dove poter toccare con mano e provarne in tutta tranquillità i costumi e i prodotti, abbiamo colto l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con Laura e farci raccontare com'è andata in questi anni e cosa ancora ci attende...

Partiamo dall'inizio: com’è nata l’idea di Festa Foresta?

«Festa Foresta è nata da un bisogno molto personale: quello di costruire qualcosa che mi somigliasse davvero, un progetto autentico al 100% in cui potessi far confluire le mie energie e le mie idee in modo libero e coerente. Ho una formazione da architetta, sono sempre stata affascinata dal tessile e dal progettare, e ancora oggi sento che il brand si muove più nell’ambito del progetto che in quello della moda.
C’è anche una componente affettiva e biografica: mio padre è stato rappresentante di beachwear per tutta la vita, quindi sono cresciuta in mezzo ai campionari di costumi da bagno. Ma erano capi pensati per corpi standardizzati, tutti uguali, tutti aderenti a un certo tipo di estetica. Festa Foresta è nata anche in risposta a quell’immaginario: volevo costruire qualcosa di diverso, che parlasse di corpi veri, tutti diversi, tutti degni di essere celebrati. Ho scelto di partire da un prodotto semplice come il costume da bagno proprio perché, al mare, ci ritroviamo spesso a spogliarci in uno spazio pubblico: è un momento in cui l’intimità diventa visibile, e non è sempre facile sentirsi bene nel proprio corpo. Mi interessa esplorare questo tema — il rapporto che abbiamo con noi stessə, con la nostra pelle — ed è da lì che nasce ogni collezione. Festa Foresta è, prima di tutto, un progetto che parla di pelle, di corpo, di identità».

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Il nome “Festa Foresta” è super evocativo — che significato ha e cosa rappresenta per il brand?

«La storia del nome è un po’ bizzarra: l’ho sognato! Quando stavo mettendo in piedi il progetto, mi stavo letteralmente ossessionando con il nome (un po’ come faccio con tutto) e compilavo liste su liste per trovare quello perfetto. Non volevo nulla di aulico o troppo impegnativo — sarebbe stato un controsenso rispetto all’autoironia e al senso di leggerezza che volevo, e voglio tuttora, trasmettere con il brand. Il nome giusto non doveva prendersi troppo sul serio.
Allo stesso tempo, ci tenevo che fosse in italiano e che rispecchiasse le basi con cui era nato il brand: essere sostenibili e mettere entusiasmo nelle cose. Non volevo nessun appellativo che lo definisse come “label” o “brand”, né qualcosa che lo legasse esclusivamente al mondo del mare — e se un giorno Festa Foresta producesse tavoli? Dopo infiniti elenchi, una mattina mi sono svegliata con in testa esattamente lui: Festa Foresta! Mi è subito sembrato perfetto: la parola Foresta rappresenta un omaggio al mondo naturale, che è al centro della filosofia e dell’estetica del brand; mentre Festa per me è lo stato d’animo dei momenti leggeri, quelli che chiamo “picchi di entusiasmo”. E poi funzionava anche graficamente: dentro la parola Foresta c’è la parola Festa, sembravano fatte apposta per stare insieme.

Un piccolo segreto che non confesso mai: poco prima di fondare il brand, io, mia madre e mia sorella ci siamo tatuate una foglia — rappresenta il nostro faggeto del cuore, a pochi passi dal paese in cui sono nata. Poco dopo, quella foglia è diventata naturalmente anche parte del brand».

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Dopo un accenno di inclusività nel periodo Covid, la moda sembra tornata a un’estetica più conforme. Tu come la vedi da designer e imprenditrice? C’è speranza che si torni a parlarne davvero?

«Per me il tema dell’inclusività è stato un punto di partenza. Non ci sono mai stati grandi piani di marketing o strategie studiate a tavolino — anche perché, quando ho cominciato, nonostante fossi molto preparata sul lato prodotto, non avevo ancora idea di tutte le strutture e le dinamiche del marketing.
Per il primo shooting, scattato a maggio 2020, ho semplicemente chiamato le ragazze che vivevano nel mio palazzo. Abbiamo scattato nel cortile, sulle scale, dentro casa mia. Complice il lockdown era difficile (e fuori budget) prenotare uno studio fotografico, ma soprattutto volevo che si vedessero dei corpi che puoi incontrare in spiaggia, per strada, in cui tutte si potessero riconoscere.
Penso che l’inclusività debba nascere come esigenza di chi crea, non come strategia. Non serve mettere davanti alla camera una modella strabica o senza una gamba, se poi è comunque una top model bellissima, che rispetta per il resto tutti gli standard estetici attuali. Quello che serve, a noi donne, è vedere corpi reali, banali, non eccezionali. Corpi nei quali potersi davvero riconoscere. Per il futuro, mi auguro che si vada verso una “normalizzazione” dei corpi — anche se il concetto di “normale” è ovviamente complesso. In generale credo che chi si avvicina oggi alla moda si aspetti più consapevolezza da parte del settore, e desideri sentirsi rappresentato in modo autentico».

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I tuoi costumi sono realizzati con fibre riciclate di qualità. Quanto è impegnativo orientare la produzione in questo senso?

«La difficoltà sta soprattutto nella fase di ricerca, che dev’essere molto meticolosa. I tessuti sostenibili sono uno dei punti cardine del brand: penso sia fondamentale conoscere a fondo il materiale che si sta utilizzando, testarlo, capire come reagisce agli stimoli e agli sforzi, “strapazzarlo”. È essenziale assicurarsi che sia effettivamente valido, oltre che sostenibile. Non è stato difficile orientare la nostra produzione in questa direzione, perché era l’obiettivo fin dall’inizio. Avevo un’idea molto chiara di cosa volessi fare e, non arrivando dal mondo della moda ma da quello dell’architettura — e da una certa ossessione per i dettagli e per la qualità — non avevo in mente un ventaglio infinito di opzioni, ma solo una: fare le cose come le volevo io. Ho fatto moltissime ricerche, ma ho anche avuto la fortuna di trovare fornitori eccellenti, che rispecchiano pienamente i miei valori. Continuo comunque a frequentare fiere e a tenermi aggiornata sulle novità, perché è un mondo in continua evoluzione». 

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Il brand ha compiuto 5 anni. Quali difficoltà hai affrontato come giovane imprenditrice e quali soddisfazioni ti porti a casa?

«Le difficoltà iniziali sono state soprattutto due: la burocrazia e il fatto di riuscire a essere presa sul serio.
Purtroppo, ancora oggi, una giovane donna di 28 anni che si presenta con un progetto proprio spesso non viene considerata davvero. Dopo il primo anno di attività, c’erano ancora fornitori e laboratori con cui mi interfacciavo che mi chiedevano se il brand fosse “vero”, nonostante avessi una società regolarmente registrata. La mia tenacia — e quell’attitudine testarda che nella mia regione chiamiamo “tigna” — mi ha permesso di andare avanti, e oggi finalmente vengo presa sul serio. Un’altra grande difficoltà, all’inizio, è stata la burocrazia: in Italia è davvero infinita, macchinosa, complicata. Ma sono molto fiera di aver fatto fin dall’inizio tutti i “compiti” giusti. 
Per quanto riguarda le soddisfazioni, ce ne sarebbero tantissime. La cosa che mi rende più fiera è senza dubbio la community che si è creata, in modo del tutto spontaneo, intorno al brand. Vedere, sentire, sapere che ci sono ragazze, amiche, donne che si sentono felici, soddisfatte e a proprio agio con i miei prodotti è una cosa che mi rende profondamente grata. E poi, un’altra grande soddisfazione è il nuovo spazio a Milano: lo showroom Festa Foresta. Un luogo che ho curato in ogni dettaglio e che rispecchia pienamente l’identità del brand. È il posto in cui lavoro, ma anche quello in cui accogliere la community — che finalmente può venire a provare i costumi!»

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I social ti hanno aiutata a costruire una community molto affiatata. Un aspetto positivo e uno negativo (se c’è)?
«Sì, i social — in particolare Instagram — sono stati fondamentali per la crescita del brand. Il processo è stato molto organico e spontaneo, e una delle cose più belle che mi siano state dette è che il brand mi rispecchia al 100% per come sono. Quello che amo di più dei social è la possibilità di avere uno scambio quotidiano con ragazze e donne che seguono il brand e condividono i nostri stessi ideali. Si aprono spesso chat interessantissime, ricevo spunti, richieste, suggerimenti. È successo tante volte che alcune clienti siano diventate amiche: ho conosciuto davvero persone splendide grazie a questo canale.
Un aspetto negativo — anche se non lo definirei propriamente tale — è legato alla mia timidezza. Ci metto tipo venti minuti per registrare una storia di pochi secondi! Ma poi mi ricordo che la mia community è genuina, non giudica, e mi sostiene sempre. Anzi, col tempo ho capito che è proprio quella timidezza a rendermi autentica, e forse anche per questo le persone si sentono libere di essere a loro volta sé stesse».

 

Sei partita con i costumi, poi hai incluso abbigliamento e intimo. Su cosa ti piacerebbe lavorare in futuro?
«Stiamo pensando a un prodotto invernale (ma in realtà a tantissimi)… però niente spoiler!
La verità è che quello che amo di Festa Foresta è proprio la libertà che mi concede: posso spaziare su ciò che voglio, su quello che cattura la mia attenzione, la mia curiosità, le mie ricerche del momento. In questo senso mi sento molto fortunata, è come avere a disposizione un enorme playground di possibilità. Ogni nuova direzione nasce in modo naturale, senza forzature: se decido di progettare un nuovo prodotto è perché mi interessa davvero, perché sento che può avere senso all’interno del percorso del brand. E ogni novità che introduciamo mantiene sempre il nostro approccio: cura maniacale per i dettagli, attenzione ai materiali, sostenibilità reale, e — soprattutto — un’idea di corpo accogliente e libera da stereotipi.
Quindi sì, ci sono tante idee in cantiere. Ma quello che davvero mi entusiasma è sapere che il brand può crescere insieme a me, seguendo i miei interessi e le mie fasi, senza dover mai tradire la sua identità».

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Se pensi a Festa Foresta, c’è una canzone o una musica che sarebbe una soundtrack perfetta?

«Difficilissimo sceglierne solo una! Però se dovessi pensare a una colonna sonora perfetta per Festa Foresta, immagino qualcosa che mescoli leggerezza e intensità, che faccia venire voglia di ballare a piedi nudi, magari in mezzo a un bosco. Una canzone che trasmetta libertà, autenticità, una bellezza un po’ scomposta. 
Direi "Solar Power" di Lorde. Ha quella vibra luminosa, spensierata e un po’ ribelle che racconta bene lo spirito del brand: la libertà, il rapporto con la natura, la leggerezza che però non è mai superficiale. È una canzone che fa venire voglia di camminare scalzə, tuffarsi in mare, ridere fortissimo, prendersi sul serio il giusto. E poi parla proprio di quel senso di potere che si prova quando si è a proprio agio nel proprio corpo, sotto il sole. Ed è esattamente quello che vorrei trasmettere con Festa Foresta.
Ma la verità è che Festa Foresta potrebbe avere una playlist intera. E cambierebbe di stagione in stagione».

Art Director immagini in apertura: Simona Rottondi 

 
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