Antonio Moscogiuri: «Moda è eleganza del pensiero»
Ha fondato c.a.p. 74024 , una delle riviste più innovative della nuova scena editoriale italiana, e lo ha fatto a immagine e somiglianza delle sue passioni: moda, eros, civiltà dell'immagine e voyeurismo. Ecco Antonio Moscogiuri in un suggestivo ritratto di stile
moscogiuri
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Un'idea, magari una forma, sovente un colore, non di rado un ricordo. Vestire, e vestirsi, significa operare una scelta. Un gesto attraverso il quale mettiamo in relazione il mondo che abbiamo dentro con quello là fuori. Fin da piccolo, ricordo di non aver mai amato le etichette e di non essermi mai riconosciuto in un gruppo. Mi divertivo a indossare le enormi giacche di papà, i veli o le gonne della mamma. Trovavo quelle forme sublimi. Non mi appartenevano e perciò fremevo dalla voglia di sperimentarle. Plissé, tweed, pied-de-poule, ogni nome racchiudeva un segreto. E non so bene, ancora oggi, se sia nata in me prima la passione per la moda o quel senso di scoperta verso qualcosa di sconosciuto. Una curiosità che si è evoluta con il mio pensiero.
Come quando ho deciso di dare vita al mio progetto editoriale, c.a.p.74024, un punto di vista sull'eros, l'arte e la moda. In un momento di grandi cambiamenti, quale è quello che viviamo, l’apparenza come forma dell’essere risulta spesso distorta. Scavalcare perciò l’esterno e penetrare all’interno fornisce maggiori garanzie che ciò con cui si entra in contatto sia veritiero, attendibile, sicuro. La casa è il luogo in cui noi siamo più noi. E così anche io ho aperto la mia casa per raccontare di me. Attraverso i quadri, la musica e il mio disordine, immagini ed esperienze vissute sono diventate abiti.
Se mai dovessi rispondere alla fatidica domanda «Qual è il tuo stile di riferimento?», probabilmente deluderei il mio interlocutore rispondendo timidamente che «Non ho uno stile preciso, mi muovo di sbieco, come i tagli degli abiti di Madame Vionnet». Lo stile è un segno riconoscibile, che accomuna tutte le interpretazioni "simili" su un determinato tema alla medesima matrice. Punk, grunge, dandy, rockabilly e mille ancora. Una sicurezza per molti, un limite per tanti altri.
L'idea di non essere facilmente categorizzato mi tranquillizza. Amo indossare abiti già vissuti, carichi di storie e di profumi. Le scarpe le preferisco ben lucide, ma con un'aria vagamente adoperata. Il nuovo di zecca mi diverte, specie se stemperato in maniera intelligente. Mai troppi gioielli e mai accessori con griffe in vista. Abolita l'ostentazione.
Romanticamente bohémien, molto classico, raramente minimal, può darsi barocco. Posso essere arrabbiato, triste, convinto, trafelato, innamorato: voglio pensare che gli abiti raccontino il mio sentire, che parlino di me, di come sono o come vorrei apparire in quel momento. Una paglia rigida comperata al mare su un abito sartoriale doppiopetto in lino? Perché no?! Un pantalone scuro con le pince sotto una t-shirt anonima e una vestaglia di seta? Meraviglioso.
È la nostra personalità a decidere chi saremo sulla scena. E non c'è nulla di più divertente. Di quel bambino che girava su se stesso per far gonfiare le gonne a ruota della mamma, arrivando oggi a portare con naturalezza un kilt al posto dei pantaloni, il tempo ha custodito gelosamente la passione per il gioco. La voglia di sogni esagerati, l'amore, la libertà.
© Riproduzione riservata
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