Zoe Saldana: Tutto sulla mia pelle

È diventata famosa interpretando l’aliena blu del film Avatar. Poi è finita sotto accusa quando, per il ruolo della cantante afroamericana Nina Simone, si è fatta scurire la carnagione. Ora Zoe Saldana recita senza maschere per Ben Affleck. E a Grazia parla dei pregiudizi che affronta ogni giorno: come latina, come donna e come madre dei due bambini avuti con l’artista italiano Marco Perego

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Zoe Saldana è una stakanovista. Da cinque ore la 38enne attrice americana sta sotto i riflettori, mentre gli stylist la vestono, la mettono in posa, la pettinano, la girano, come una bambola. Non fa la diva, non si lamenta, anzi. Tra una posa e l’altra si sbaciucchia con il marito Marco Perego, lo scultore-pittore italiano dall’aria piratesca sposato nel 2013, poi chiama i due figli gemelli, Cy e Bowie, 2 anni, infine viene da me, vestita di nero, fresca e sorridente.
Nel frattempo, io e Perego (anzi, Perego-Saldana, perché l’artista ha aggiunto al suo il nome della moglie) chiacchieriamo e ci scambiamo consigli sul miglior modo di non far perdere l’italiano ai nostri figli che crescono in America. Quando arriva Zoe, lui la stringe, poi le dice molto serio che io le ho consigliato di parlare sempre in italiano con i gemelli, e lei ridendo: «Ma se abbiamo due gringos!».
L’intervista va avanti così, con Saldana che parla a ruota libera di uno dei film più attesi di quest’anno, La legge della notte di Ben Affleck (nelle sale dal 23 febbraio), di Marco, di femminismo, di razzismo, della sua vita di latino-americana nata negli Stati Uniti e poi trapiantata nella Repubblica Dominicana alla morte del padre. Zoe è nota per essere una che non si tira indietro di fronte a ogni tipo di domanda: in una recente intervista ha rivelato anche la sua posizione preferita quando fa sesso (se siete curiosi, le piace stare sopra). Con me, chiacchiera e spazia, e poi riflette: «Forse dovrei preoccuparmi di più di quello che pensa la gente di me».
Mi pare che questo suo ultimo personaggio, Graciela, nel film La legge della notte, le somigli un po’: moglie e madre devota, ma anche rivoluzionaria accanita.
«Mi sono riconosciuta molto in Graciela, abbiamo quasi le stesse origini. In più mi è piaciuta soprattutto la sua decisione di lasciare Cuba per venire negli Stati Uniti. Erano i primi anni del Novecento, un periodo difficile per l’America, con il proibizionismo e le diverse ondate migratorie. Gli irlandesi e gli italiani avevano preceduto i caraibici e i sudamericani e, quando questi ultimi sono arrivati, hanno trovato molta ostilità. Hanno dovuto imparare a convivere tenendosi a distanza. Del resto il razzismo, a chi veniva da un posto povero e violento come le isole dei Caraibi, sembrava un problema secondario».
Lo dice perché, pur essendo nata nel New Jersey, lei ha trascorso la sua adolescenza nella Repubblica Dominicana?
«Già, ma mi sono ritrovata anche nel ruolo di moglie devota: visti i trascorsi della mia vita privata, non è stato facile calarmi in quei panni».
Perché? Non è felicemente sposata?
«Sì, ma in passato mi riusciva difficile accettare l’amore come devozione. L’amore, per me, era fondato spesso sulla paura di perdere chi avevo accanto. Invece Graciela, nel film, ha un ex marito a Cuba, la cui vita non è molto diversa da quella del suo compagno in America, il personaggio di Ben Affleck, Joe. È un’esistenza violenta, governata dalla “legge della notte”. Nonostante tutto, però, Graciela è pronta ad accettare l’amore di Joe: perché lui è comunque un uomo diverso dal suo ex».
E per lei è stato facile accettare l’amore di Marco dopo i rapporti falliti del passato?
«Ormai non li considero nemmeno più rapporti falliti. Mi sento fortunata per aver condiviso il viaggio della mia vita con gli uomini che ho incontrato. Tutto ciò mi ha preparata a capire di più il mio partner e a far sì che lui scegliesse me. La vita di Graciela con Joe, nel film, per certi versi è un cammino parallelo al mio: amo i ruoli che sembrano richiamare quello che mi succede nella realtà. Del resto, la mia scuola di recitazione è stata l’esperienza: non ho frequentato corsi. Perciò accetto che sia la vita a insegnarmi tutto».
Parlando di mariti: lei è riuscita nell’impresa di convincere un uomo italiano a prendere il cognome della moglie. Come ha fatto?
«L’idea, in realtà, è stata sua. Non ho alcun merito. Non mi sarei mai sognata di sollevare un argomento del genere: una tale richiesta verrebbe presa dai più come un’offesa terribile».
Per un uomo latino, poi...
«Esatto. Ma mio marito è diverso. Lui ha un’idea molto chiara di che cosa significhi essere maschi. Combattere per difendere scelte arbitrarie come l’imposizione di un nome non è nel suo dna. È troppo intelligente».
Parlando di pari opportunità, di lei si sa che ha idee piuttosto chiare a riguardo. Recentemente ha detto: «L’uguaglianza è un mio diritto di nascita. Non mi va nemmeno di discuterne».
«Viviamo in un mondo pieno di violenza e discriminazioni. La rappresentazione di una donna trattata come essere inferiore è talmente seminata nell’inconscio collettivo che non viene neppure notata. Le donne sono discriminate sistematicamente, eppure la società ritiene che questo sia “accettabile”. A un maschio non si chiede mai di giustificare la sua libertà: non saprebbe nemmeno da dove cominciare, perché gli uomini sono inconsciamente liberi. Invece noi donne dobbiamo continuamente ribadire il nostro diritto di esistere. Non permetto più alle ingiustizie di ferirmi, ma non voglio nemmeno stare zitta».
Si ritrova a discutere spesso su questo tema?
«No, non tollero più la discriminazione, almeno nel mio piccolo mondo personale: tra agenti, manager, colleghi. Non voglio lavorare con qualcuno che pensa che le donne siano inferiori. Del resto, ancora oggi condizioniamo le nostre figlie a sentirsi “meno di”. Alle bambine diciamo: “Sii educata, saluta, non ti sporcare il vestitino, da’ un bacino”. Io non voglio contribuire a crescere una generazione di donne che si troveranno in difficoltà come è capitato a me».
Quando, per esempio?
«C’è qualcosa che non va quando mi sento dire: “Hai scelto una professione breve”. Il sottinteso è: la carriera di un’attrice dura finché sei giovane. Ma, secondo voi, le donne con più di 40 anni non sono più sexy? Tra due anni diventerò forse orrenda?».
No, credo che continuerà a essere circondata da maschi disposti a tutto solo per avere la fortuna di conoscerla.
«Lo sospetto anch’io!», ride. «Non dobbiamo lasciarci schiacciare dal peso del mondo, degli anni che passano, delle tante responsabilità che abbiamo come donne. Non possiamo permettere che le difficoltà ci trasformino, né rinunciare a ciò che amiamo. Invece dobbiamo continuare a divertirci e a essere ambiziose. E questo che tu faccia l’attrice, la mamma o la donna in carriera».
Parlando di mamme, lei ha due gemelli di 2 anni, Cy e Bowie. Che tipo di genitore è?
«Praticamente sono identica a mia madre. Faccio quasi paura: dico le stesse cose che diceva lei, mi comporto come lei, penso come lei. Solo ora capisco quanto possa essere stato difficile per lei crescermi: mio padre è morto che io avevo solo 9 anni. La lezione più importante che mi ha trasmesso è unica: il continuo desiderio di essere oggi una mamma migliore di quella che sono stata ieri».
E con la famiglia italiana di suo marito come va?
«Meravigliosamente. Siamo sempre insieme. Anche loro, come mia madre, abitano qui a Los Angeles. I genitori di Marco sono persone semplici, cortesi, generose, ospitali. Siamo simili e, forse perché in fondo siamo “latini”, vediamo il mondo allo stesso modo».
Lei recentemente ha interpretato la grande cantante jazz Nina Simone, nel film Nina, provocando un’enorme controversia.
«Sì, una tremenda... polemica» (Zoe lo dice proprio in italiano).
È stata criticata per aver “usurpato” la parte in quanto latina e non afroamericana, e poi per aver indossato un fondotinta marrone per apparire più scura di carnagione, una tecnica simile a quelle usate in passato, quando personaggi neri venivano rappresentati in maniera derisoria da attori bianchi truccati con un cerone scuro.
«Sono abituata a essere camaleontica, a trasformarmi anche fisicamente» (in Avatar era un’aliena blu, nella saga Guardiani della Galassia è tutta verde). «È stata una lezione inattesa quella di imparare che, in alcuni casi, un trucco non è accettabile. Ci sono ancora tante ferite aperte nella comunità afroamericana. Questa polemica mi ha ricordato che, anche se io non concepisco differenze razziali di alcun tipo, il mondo ancora lo fa. Quindi, a chi mi ha contestata, non ho detto: “Piantatela, sono sciocchezze”. Sarebbe stata una mancanza di rispetto. Però mi ha fatto male confrontarmi con tanta rabbia».
Se potesse tornare indietro, accetterebbe quel ruolo? Rifiuterebbe d’indossare il naso finto e il trucco scuro?
«Interpreterei ancora Nina, ma mi assicurerei che la produzione comprendesse meglio di stare lavorando con materiale molto delicato. Certo, mi piacerebbe vivere in un mondo in cui, oltre alle polemiche, si desse spazio anche al lavoro di chi, come me, fa qualcosa con le migliori intenzioni. Anzi, con amore».
Lei come vive il razzismo, la tendenza a voler incasellare tutti dal punto di vista etnico? Una donna dalla pelle scura, sposata a un bianco, con figli meticci - pur nella cosmopolita Los Angeles - non deve avere vita sempre facile.
«Reagisco malissimo quando qualcuno mi dice: “Hai un’aria esotica”. Ma che cosa significa? Siamo tutti esotici rispetto a qualcun altro. Il nostro mondo, però, paragona ancora tutti alle persone di pelle bianca e questo non riesco proprio a digerirlo. Quando qualcuno mi dice che i miei figli hanno la pelle scura, io vorrei rispondere: “Scura rispetto a chi?”. Mio marito e io possiamo essere aperti quanto vogliamo, ma appena varchiamo la soglia di casa, lì fuori c’è un mondo diverso. Spero che i miei figli sappiano difendere sempre i loro diritti».
Avrebbe mai pensato di diventare una star, quand’era bambina?
«No, non sapevo nemmeno che mi piacesse recitare. Poi, da ragazza, tutti mi dicevano: “Come sei melodrammatica! Dovresti andare a Hollywood”. Avevano ragione. Però la mia passione, allora, era la danza classica, che mi ha trasmesso il gusto di esibirmi di fronte a un pubblico, la disciplina e la concentrazione. È stata la mia salvezza al liceo, quando mi prendevano in giro perché ero la più brutta della classe».
Non ci credo.
«No, sul serio. Non corrispondevo all’ideale di bellezza allora in voga ed ero tutt’altro che popolare. Però, poi, andavo a danza e mi sentivo bella, grandiosa, forte. Fare la ballerina mi ha insegnato che, con impegno, posso raggiungere qualunque traguardo».

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«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli

Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.

Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.

Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.

È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».

Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.

Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.

Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.

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Grazia è in edicola con Maya Hawke

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Ecco cosa vi aspetta nel nuovo numero di Grazia, da oggi in edicola e su app

Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.

Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.

Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.

Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.

Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.

E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.

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Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"

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Jodie Foster festeggia al cinema 60 anni da star. Nel thriller Vita privata, da oggi nelle sale, è una psicanalista tormentata. Ma a noi racconta come, grazie alla sua carriera, ha capito che le donne over 50 hanno tutte le carte per vincere

Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.

Che rapporto ha con il passare del tempo?

«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».

Davvero?

«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».

Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.

«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».

Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?

«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».

Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?

«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».

Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…

«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare». 

Come mai?

«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».

Che cosa le disse al ritorno?

«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».

Ha fatto lo stesso con i suoi figli?

«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».

Che rapporto ha con la psichiatria?

«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».

Com’è andata?

«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».

E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?

«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il  corpo».

Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?

«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».

Che cosa di lei non hanno mai capito finora?

«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».


Com’è la sua giornata ideale?

«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».

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Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli

Elena Valzania x Alleanza
L'eredità di famiglia può assicurare un sostegno economico ai propri cari. Basta sottoscrivere una polizza di investimento adeguata, affidandosi a un bravo consulente

Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».

A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.

La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.

Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».

Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela

RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)

1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».

2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni? 
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».

Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com