«Un corpo inadeguato per l'amore»: l'editoriale di Silvia Grilli
Anni fa, quando mi squadravano dicendo: «Sei troppo magra», aprivo la credenza e mi abbuffavo. Non capivo l’interesse ossessivo della gente per il corpo degli altri e il bisogno di mettersi a commentarlo, ma questo loro sguardo sul mio fisico era sempre qualcosa che mi faceva male e pensavo di essere io sbagliata. Correvo a guardarmi allo specchio, mangiavo nervosamente, mi dicevo: «Hanno ragione». Finché a un certo punto ho capito che il problema erano loro e non io.
Quando una famosa blogger mi definì «anoressica», non replicai e neppure me ne addolorai. Non mi aveva più ferita, ero guarita da tempo dai pregiudizi insiti nello sguardo degli altri. Provavo solo pena per lei. L’anoressia è una malattia seria, usare quella parola a sproposito era doppiamente sbagliato da parte sua. Uno: perché dimostrava il suo livore. Due: e se fossi stata davvero malata? Di anoressia si muore. Avete mai sentito urlare: «Cancro!», a una malata di tumore?
Ormai un anno fa, io e Giovanna Mezzogiorno ci siamo parlate a lungo per la prima volta, nonostante avessimo già lavorato insieme. Giovanna mi ha raccontato il bullismo che ha subìto sui set quando, dopo la maternità, il suo corpo è cambiato e lei non appariva più come la ragazza del film L’ultimo bacio.
Ho digitato il suo nome sui motori di ricerca e ho trovato: «Quanto pesa Mezzogiorno?», «Mezzogiorno gonfia», «Mezzogiorno malattia». Un’attrice bella e talentuosa di cui ormai contavano solo i chili e il gonfiore, mentre malignità sul suo conto si spargevano come sa spargersi l’erba cattiva. Ho pensato che avremmo dovuto realizzare un cortometraggio sulla sua storia.
Abbiamo lavorato un anno a questo progetto, ho chiesto a Giovanna di scrivere la sceneggiatura e di curare la regia, ho trovato in Manuela Cacciamani una produttrice sensibile. In Bulgari un partner che ha sposato con entusiasmo il messaggio contro la dittatura sui corpi. Carolina Crescentini, Ambra Angiolini , Fabio Volo, Massimiliano Caiazzo, Marco Bonini hanno riposto con entusiasmo alla mia proposta e si sono dimostrati interpreti generosi e appassionati. Il cortometraggio è qui, per voi, su questa copertina di Grazia. Inquadrando il QR code con il cellulare potrete vederlo. Spero vi piaccia, o almeno vi interessi, ci abbiamo messo l’anima.
Non è solo fiction. È realtà e non solo nel cinema, dove per contratto un’attrice deve come primo requisito piacere, mettendo in secondo piano il suo talento. È così, ovunque. Lo sguardo degli altri sul nostro corpo ci influenza la vita, spesso ci fa decidere di rinunciare noi stessi a ciò che avremmo desiderato, perché ci sentiamo inadeguati. S’intitola così il nostro cortometraggio: Unfitting, inadeguata.
Potreste facilmente obiettare da che pulpito viene la predica, cioè da un settimanale riconosciuto in un mondo, quello della moda, che propugna corpi perfetti. Ma la questione è molto più viscerale di questa, non è colpa della moda che anzi, in questi ultimi anni, sta cercando di includere fisicità tradizionalmente considerate imperfette. La questione ha a che fare con millenni di imposizioni sul corpo femminile e quello che ci hanno tramandato. E cioè che se siamo belle ci meritiamo tutto, se siamo brutte non ci meritiamo niente.
Dice Benedetta Barzini, una grande ex modella, scrittrice e giornalista, intervistata in questo numero di Grazia: «Alle donne fa paura invecchiare perché pensano di non essere più amate». Succede la stessa cosa se ti senti in sovrappeso, sgraziata, troppo magra, troppo alta, troppo bassa... Credi di essere inadeguata e non meritare l’amore.
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